sabato 31 agosto 2019
UN SOFFIO DI VITA ( Introduzione )
Libro postumo, libro testamento, ma anche intrepido e scherzoso libro di vita, debordante di frasi sconnesse come in sogno, di idee allo stato grezzo, formato da " resti di demolizione di un'anima" e di " estasi provvisorie ", questo testo mette in scena due personaggi: l' Autore e la sua " creatura" ( Angela ) che dialogano affrontando tutti i temi sui quali l'autrice si è incessantemente interrogata nel corso delle sue opere: le parole, il tempo, il mondo, la storia, la preghiera, gli esseri viventi e quelli inanimati. E infine: la grazia.
La scrittrice (qui ), non nasconde affatto le proprie intenzioni e- perentoria come sempre - esordisce : " Voglio scrivere movimento puro". Quel che si propone - infatti - non è una stesura coerente o una qualsivoglia trama, bensì il definitivo esorcismo dell'indicibile.
Quando compone gli ultimi frammenti, le è stata diagnosticata una malattia mortale ( cancro dell'ovaio ) e la morte pervade questo testo, che lei stessa confessava essere stato " scritto nella sofferenza ".
IL SOFFIO DI VITA DI CLARICE 1
Bianconiglio: " A volte solo un secondo" (Lewis Carrol )
(…) Questo non è un lamento, è un grido di uccello rapace. Iridato
e inquieto. Il bacio sul volto morto.
Scrivo come se fosse in gioco la vita di qualcuno.Probabilmente
la mia stessa vita. Vivere è una specie di follia che la morte
commette. Che vivano i morti perché viviamo in loro.
D'improvviso le cose non hanno più bisogno di avere un senso.
Mi accontento di essere. Tu sei? Sono sicura di sì. Il non senso
delle cose suscita in me un sorriso compiaciuto. Senza dubbio
tutto deve continuare ad essere quello che è.
Oggi è un giorno da nulla. Oggi è tempo zero. Esiste per caso
un numero che non dice nulla ? Che è meno di zero? Che
comincia in ciò che non è mai cominciato perché era da
sempre ? Ed era prima di sempre? Mi appiglio a questa assenza
vitale e ringiovanisco interamente, al contempo contenuto e
totale. Rotondo senza inizio né fine, sono il punto prima dello
zero e del punto finale. Dallo zero all'infinito camminerò senza
fermarmi. Ma allo stesso tempo tutto è così passeggero. Io sono
sempre esistito e di colpo non ero più. I giorno là fuori scorre
a caso e ci sono abissi di silenzio in me. L'ombra della mia
anima è il corpo. Il corpo è l'ombra della mia anima.
Sono felice nel momento sbagliato. Infelice quando tutti ballano.
La vita non è mai stata così al presente come oggi: in un batter
d'occhio è il futuro. Tempo per me significa disgregazione della
materia. L'imputridimento di ciò che è organico, come se il
tempo fosse un verme dentro a un frutto e andasse rubandogli
l'intera polpa.Il tempo non esiste.Ciò che chiamiamo tempo è
il movimento di evoluzione delle cose, ma il tempo in sé non
esiste. Oppure esiste, immutabile, e in esso ci trasformiamo. Il
tempo passa troppo in fretta e la vita è così corta. Dunque -
affinché io non venga inghiottita dalla voracità delle ore e dalle
novità che fanno passare il tempo in fretta, coltivo un certo
tedio.Mi assaporo così ogni detestabile minuto. E coltivo inoltre
il silenzio vuoto dell'eternità della specie. Voglio vivere molti
minuti in un solo minuto. Voglio moltiplicarmi per arrivare ad
abbracciare territori desertici che diano un'idea di immobilità
eterna. Nell'eternità il tempo non esiste. (…)
Clarice Lispector da Un soffio di vita
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IL SOFFIO DI VITA DI CLARICE 2
(…) Essere felici è una responsabilità enorme. Pochi ne hanno il
coraggio. Io il coraggio ce l'ho, ma anche un po' di paura. Le
persone felici sono quelle che hanno accettato la morte.Quando
sono troppo felice, mi viene un'angoscia che mi imbavaglia: mi
spavento.
Sono così paurosa. Ho paura di essere viva perché chi ha vita,
un giorno muore.E il mondo mi fa violenza.Gli istinti prepotenti,
l'anima crudele, la crudezza di chi è senza pudore, le leggi a cui
obbedire, l'assassinio - tutto questo mi dà le vertigini, come le
persone che svengono alla vista del sangue : lo studente di
medicina, con il volto pallido e le labbra sbiancate di fronte al
primo cadavere da sezionare. Mi spaventa se, in un colpo d'
occhio, vedo le viscere dello spirito altrui. O quando, senza
volere, cado nel profondo di me stessa e vedo l'abisso
interminabile dell'eternità,abisso attraverso il quale,
fantasmagorica, comunico con Dio. Ho paura della legge
naturale che chiamano Dio. Il timore. I suicidi molte volte si
uccidono per la paura di morire. Non sopportano la tensione
crescente della vita e dell'attesa del peggio - e si uccidono per
liberarsi dalla minaccia.
Si va da un'alfa a un omega, ci si distrugge e si lavora e ci si
diverte, e... A che scopo? Camminiamo verso una voragine -
inesorabilmente.
Non fare nulla potrebbe essere una soluzione.
Sembrerebbe il suicidio, ma è una pura coincidenza.
Ha senso correre tanto dietro alla felicità ?Basterà essere felici?
Essere felici è una questione di tolleranza? (…)
Clarice Lispector da Un soffio di vita
IL SOFFIO DI VITA DI CLARICE 3
(…) Se mi chiedete se esista la vita dell'anima dopo la morte,
rispondo- misteriosamente,certo, e perché no, visto che la cosa
è proprio un mistero -rispondo con uno schema incerto: esiste,
ma non mi è dato sapere in che forma quest'anima vivrà.
Nessuno ha ancora scoperto lo stato delle cose dopo la morte -
perché è impossibile immaginare quale sarebbe il
comportamento di Dio, quello stesso Dio che, inspiegabilmente
per noi, fa germogliare un seme. Io non so come germoglia il
seme, non so perché questo cielo azzurro, non so perché questa
mia vita, perché tutto questo accada in un modo che la mia
mente umana ignora. Vivo senza spiegazione possibile. Io, che
non ho sinonimo.
Vita, vita ricoperta da un velo di malinconia. Morte: faro che
mi guida sulla buona strada. Mi sento magnifica e solitaria fra
la vita e la morte.
Tutto il mondo sa tutto.
L' umanità sta diventando dura. I fatti stanno diventando
contundenti.
Il mattino è un fiore prematuro.
Il mattino del mai più.
L'incomunicabilità con se stessi è un grande vortice del nulla.
Se io non trovo un modo di parlarmi, la parola mi si soffoca
in gola, come una pietra di traverso che non va giù. Voglio
avere accesso a me stessa quando lo decido, come chi apre la
porta ed entra. Non voglio essere vittima del caso liberatore.
Voglio avere la chiave del mondo e attraversarlo come chi
passa dalla vita alla morte e dalla morte alla vita. (…)
Clarice Lispector da Un soffio di vita
venerdì 30 agosto 2019
TROVIAMO LE PAROLE ( Lettere 1948- 1973 ) 1
Ingeborg Bachmann a Paul Celan
Natale 1948
(…) Caro, caro Paul,
ieri e oggi ho pensato molto a te, se preferisci a noi. Ti scrivo
non perché voglio che tu risponda, ma perché ora mi fa piacere
e perché voglio. Mi ripromettevo anche di incontrarti in questi
giorni, da qualche parte a Parigi,poi però, il mio sciocco, vuoto
senso del dovere mi ha trattenuta qui e non sono venuta. Che
significa da qualche parte a Parigi?Non lo so proprio, ma in un
modo o nell'altro sarebbe stato certamente bello.
Tre mesi fa qualcuno, senza che me l'aspettassi, mi ha regalato
la tua raccolta di poesie. Non sapevo che era uscita. Proprio
così… il suolo ha cominciato a oscillare leggermente sotto i
miei piedi e la mano un pochino, appena, appena un po' ha
tremato. Poi a lungo più nulla. Alcune settimane fa a Vienna è
circolata la voce che gli Jené si erano recati a Parigi. Anch'io
allora ho ripreso a viaggiare.
Anche adesso continuo a non capire che cosa ha significato la
primavera scorsa - tu sai che voglio capire tutto nei minimi
particolari. - E' stata bella - come le poesie e la poesia che
abbiamo fatto insieme.
Oggi ti voglio bene e ti sento così presente. Questo voglio
dirtelo assolutamente - allora, spesso, non l'ho fatto.
Appena ho tempo vengo per qualche giorno.
Vorresti anche tu vedermi? Un'ora o due.
Molte, molte cose care! (…)
Tua
Ingeborg
Ingeborg Bachmann - Paul Celan da Troviamo le parole ( Lettere 1948- 1973 )
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TROVIAMO LE PAROLE (Lettere 1848-1973 ) 2
Paul Celan a I. Bachmann
Parigi, 20 Giugno 1949
(…) Ingeborg,
" impreciso" e tardi arrivo quest'anno.Sì, forse soltanto perché
vorrei che nessuno - tranne te - fosse presente, quando io
pongo papavero, moltissimo papavero e memoria, altrettanta
memoria, due grandi mazzi di fiori luminosi sul tavolo del
giorno del tuo compleanno.
Da settimane penso con gioia a questo istante. (…)
Paul
Ingeborg Bachmann - Paul Celan da Troviamo le parole ( Lettere 1948 - 1973 )
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TROVIAMO LE PAROLE ( Lettere 1948-1973 ) 3
Paul Celan a I. Bachmann
Parigi, 20 Agosto 1949
(…) Mia cara Ingeborg,
dunque non verrai prima di due mesi - perché? Non dici neppure
per quanto tempo, non dici se ti concedono la borsa di studio.
Intanto - come tu consigli - possiamo, perché no, " scambiarci
lettere ". Ingeborg, sai perché in quest'ultimo anno ti ho scritto
così poco? Non soltanto perché Parigi mi aveva imposto un
terribile silenzio dal quale non riuscivo ancora una volta a
liberarmi, ma anche perché non sapevo cosa tu pensassi di quelle
brevi settimane a Vienna.Cosa potevo mai capire dalle tue prime
righe scritte frettolosamente, Ingeborg?
Forse mi inganno, forse è vero che noi ci schiviamo proprio
quando vorremmo tanto incontrarci, forse colpevoli siamo tutti e
due. Ma talvolta mi dico che il mio silenzio è - in qualche modo -
più comprensibile del tuo, perché il buio che mi impone è più
antico.
Come sai: le grandi decisioni bisogna prenderle sempre da soli.
Quando è arrivata quella lettera in cui mi chiedevi se era meglio
per te Parigi o gli Stati Uniti, non avrei esitato un istante a
dirti quanto sarei stato felice se fossi venuta. Riesci a capire,
Ingeborg, perché non l'ho fatto? Mi dissi che, se davvero ti
importava qualcosa ( ovvero, più di qualcosa ) di vivere nella
città in cui anch'io vivevo, non saresti venuta prima da me a
chiedere consiglio, proprio no.
Un anno intero adesso è trascorso, un anno durante il quale ti
sarà successo senz'altro qualcosa. Ma tu non mi dici quanto
lontani sono, dietro quest'anno, il nostro maggio e il nostro
giugno…
Quanto lontana o quanto vicina sei, Ingeborg?
Dimmelo, così saprò se tu chiudi gli occhi quando adesso io ti
bacio… (…)
Paul
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TROVIAMO LE PAROLE ( Lettere 1948-1973 ) 4
I.Bachmann a Paul Celan
Vienna, 24 Novembre 1949
(…) Caro, caro Paul,
adesso siamo a Novembre.La lettera che avevo scritto ad agosto
è ancora qui - è tutto così triste. Forse allora l'hai attesa. Oggi
l'accogli ancora ?
Sento che ti dico troppo poco quando dico che non posso aiutarti.
Dovrei venire, guardarti, tirarti fuori, baciarti e sostenerti, per
non farti scivolare via. Ti prego, credimi, un giorno verrò e ti
porterò via con me. Piena di paura, vedo che vieni spinto alla
deriva in un mare immenso, ma io voglio costruirmi un vascello e
ricondurti a casa lontano dal tuo smarrimento. Devi anche tu
metterci del tuo e non rendermi il compito troppo difficile. Il
tempo e molte cose ancora sono contro di noi, ma il tempo non
ha il diritto di distruggere ciò che da lui vogliamo salvare.
Scrivimi presto, ti prego, e scrivi se vuoi ancora una mia parola,
se puoi ancora accogliere la mia tenerezza e il mio amore, se
qualcosa ancora può aiutarti, se tu ogni tanto tendi ancora la
mano verso di me e mi oscuri con il sogno pesante, nel quale
vorrei splendere come una luce.
Tenta, scrivimi, rivolgiti a me, allontana da te - scrivendo - tutto
ciò che ti opprime!
Ti sono vicinissima (…)
Tua
Ingeborg
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TROVIAMO LE PAROLE ( Lettere 1948-1973 ) 5
I. Bachman a Paul Celan
Monaco,22 Novembre 1957
(…)Sette anni fa abbiamo festeggiato insieme - per l'ultima volta -
il tuo compleanno. Stupidamente e tristemente.
Ma adesso vengo a sedermi per un po' vicino a te e ti bacio sugli
occhi. Fino all'ultimo volevo mandarti qualcosa a Parigi, ma poi
ho capito che è impossibile, che lì io non posso mandarti nulla.
Dovresti nasconderlo oppure tornare a fare del male.
Ho qui pronto il regalo per te e lo cercherai quando verrai da
me. ( Le nostre ultime lettere si sono incrociate - che possano
tornare a farlo di nuovo o addirittura si incrocino per la prima
volta ! ).
Io penso a te, Paul, e tu pensa a me! (…)
Ingeborg
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TROVIAMO LE PAROLE ( Lettere 1948- 1973 ) 6
Paul Celan a I. Bachmann
Parigi, 13 Dicembre 1957
UN GIORNO E UN ALTRO ANCORA
Sciroccoso tu. Il silenzio
procedeva con noi come una seconda,
distinta vita.
Io vinsi, perdetti, credevamo
ad oscuri prodigi, ci reggeva, inscritto
grande nel cielo, il ramo, e crebbe
fino alla luna, un mattino
si alzò nell'ieri, cogliemmo
quel lume, io piansi
nella tua mano.
Paul
Ingeborg Bachmann - Paul Celan da Troviamo le parole ( Lettere 1948-1973 )
TROVIAMO LE PAROLE ( Lettere 1948 -1973 ) 7
I. Bachmann a Paul Celan
Zurigo 1959
(…) Proprio adesso è arrivata la tua lettera - espresso, grazie a
Dio. Si torna a respirare. Ieri ho cercato, nel mio sconforto, di
scrivere a Gisèle ( moglie di Cela, n.d.r.) : la lettera sta lì
abbandonata,incompiuta, io non vorrei turbarla, ma attraverso
te pregarla adesso con l'ardore di un sentimento di sorella, un
sentimento che può farti capire la mia pena, il conflitto - e
l'imbarazzo della mia lettera, una lettera cattiva, lo so, alla
quale non riesco a dare vita.
Gli ultimo giorni qui, dopo la tua lettera, sono stati terribili:
tutto vacillante, vicino al crollo, adesso ognuno infligge all'
altro continue ferite,ma io non posso e non devo parlare di qui.
Di noi devo parlare. Adesso non dobbiamo perderci di nuovo -
questo mi distruggerebbe.Dici che non sono più con me stessa,
ma... nella letteratura ! No, ti prego, dove ti smarrisci con i
tuoi pensieri! Sono dove sono sempre, soltanto nello sconforto,
vicina al crollo a causa degli oneri: è difficile sostenere anche
un solo uomo che l'istinto di autodistruzione e la malattia
conducono alla solitudine. Devo potere ancora di più - lo so -
e lo potrò.
Ti ascolterò, ma anche tu aiutami, ascoltandomi. Adesso invio
il telegramma con il numero e prego perché noi troviamo le
parole. (…)
Ingeborg
Ingeborg Bachmann - Paul Celan da Troviamo le parole ( Lettere 1948 - 1973 )
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mercoledì 28 agosto 2019
FOLLIA E SALVEZZA ( introduzione )
" Siamo tutti imbarcati ", diceva Pascal.
Dove? Sulla nave dei folli, risponde Hieronymus Bosch. A inseguire vanità delle vanità, dominati dai maledetti miraggi dell'invidia e dell'avarizia.
Ci salveremo dalla perdizione e dal naufragio? Sarà la misura dell'ironia o la ragionevole fede dell'umanista Erasmo a offrirci una speranza? O soltanto la follìa nella fede del Cristo deriso e crocifisso potrà riscattarci?
Ma negli inverni e nei sinistri carnevali di Bruegel il Vecchio regnano unicamente la violenza e la lotta per sopravvivere, in un gioco tremendo e crudele che nessuno ormai ha la forza di trascendere.
FOLLIA E SALVEZZA ( Tra Bosch e Bruegel il Vecchio )
TRA IMMAGINE E PAROLA
(…) Perché una riflessione sulla Nave del folli di Hieronymus Bosch ? Qual è il suo tratto perenne? E che cosa ci comunica?
E poi: qual è la relazione sincronica tra quest'opera di Bosch e i
dipinti di Bruegel il Vecchio che raffigurano l'inverno e la loro intrinseca de- sacralizzazione della vita ?
Tra Bosch e Bruegel il Vecchio emerge l'evento fondamentale che caratterizza la pittura tra la fine del XV secolo e la seconda metà del XVI, ossia la conquista del mondo come immagine di senso e come funzione. Tale conquista implica una stretta interazione tra forma e senso e segna il trapasso a una concezione unitaria dello spazio e della narrazione che incrina la gerarchia tra sacro e profano.
Si tratta di due casi tipici ed emblematici. Uno incarna una forma di follia come perdizione, come effetto di una condotta di vita moralmentedissoluta. L' altro l'idea che la violenza quotidiana ( Vedi Strage degli innocenti ) non solo è consustanziale alla vita sociale, ma gode perfino di un'impunità, mentre la speranza di salvezza è ricondotta ai margini.
Entrambi gli artisti sono precursori di vie di ricerca poiché sperimentano l'attrito critico tra le forze contrapposte in un'età di transizione, e allo stesso tempo incarnano un distacco consapevole dalla tradizione e dalle forme codificate. Non a caso in Bruegel il Vecchio la morte e la follia appaiono espressioni di un'esperienza quotidiana e perfino i grandi, tradizionali episodi sacri sono marginalizzati e normalizzati nel più ampio contesto di scene di genere, come accade nel Censimento di Betlemme, ove la fuga in Egitto di Maria e Giuseppe, cioè l'evento che salva la nascita di Cristo ponendo le premesse per la redenzione dell'umanità compare come un dettaglio dell'insieme.
Censimento di Betlemme
Che cosa significa o che cosa resta dunque dell'esperienza umana quando essa viene sciolta da ogni trascendenza? Ma non solo. Che cosa accade quando il significato è nell ' arte visiva?
Sia in Bosch che in Bruegel il Vecchio, siamo di fronte a figure concettuali che esprimono un aspetto costitutivo dell'esistenza umana consustanziale alla nostra civiltà. Tra l'opera di Bosch e quella di Bruegel il Vecchio si estende un arco lungo il quale si consuma l'idea che l'esperienza umana ( della morte, della dannazione e della salvezza ) non è strettamente dipendente dal giudizio divino, da un destino extratemporale, mentre si fa strada faticosamente un tentativo di emancipazione dalla trascendenza del soggetto e dell'oggetto. (…)
Maurizio Ghelardi da Follìa e Salvezza
lunedì 26 agosto 2019
ODE A ORLANDO SORA ( prefazione )
(…) Essere ,la gemma poetica che qui viene presentata, è il salmo
di Fabio Tombari, una cristallina meditazione sul miracolo
dell'esistenza. Come nel Paradiso di Dante e nel Faust di
Goethe, i versi di questo poemetto si dilatano in spirali
vertiginose ai limiti della sopportazione sintattica, fino ad
espandersi in concatenazioni di verbi all'infinito che danno un
senso di eternità e assoluto.Tuttavia, come tutti i filosofi mistici
sanno,l' Essere con cui Tombari si mette in ascolto, non è realtà
metafisica e vuota, inattingibile e atemporale, ma è vicinissimo
a noi, è hic et nunc, è sia dentro che fuori di noi, è fluido che
irriga le nostre umili vite terrene.Tombari canta infatti il mistero
dell'incarnazione, il nascere innocente come uomo, animale o
fiore, come humus, terreno fertile su cui germoglia il soffio
vitale e fuggente dell' Essere. In noi - dunque - l' Essere si fa
carne, prende forma e corpo, e ritrovarlo, sentirlo, viverlo " fino
a morirne " è il nostro compito di veri esseri umani, così da aver
" l'aurora dentro e risvegliarla in chi dorme ".
Altrimenti neanche sbocceremmo come farfalle alla luce dell'
autentica vita, ma resteremmo sempre e soltanto bozzoli, larve,
" tetri ospiti " di una pallida Terra. (…)
Giuseppe Panicucci da Essere
ODE A ORLANDO SORA 1
Essere
fino a morire
ed essere in tutte le cose.
***
Perdersi in chiarità, in leggerezza
nella luce, nell'aria;
dileguare, diffondersi
e rifletter l'incanto.
Una goccia, una sola,
sospesa
alla massima altezza,
festosa di iridi.
Sentirsi umili, puri,
nuovi a tutte le cose,
fino a stupire di sé:
frantume di specchio
in mille frantumi
e vedersi - miracolo - in tutti.
***
Calar sulle rose in rugiada
col venir della brezza
e rapir con la brezza il profumo alle rose.
Quell'essere e non essere più :
dissolversi, sparire.
E apparire improvvisa
in ogni giardino - di sera -
in visita, a palpiti,
fra tante stelle, una lucciola:
una nota d'oro, una sola,
e sentirsi - oh, stupore ! -
in gola a una rana,
gargarizzata laggiù dentro un fosso
a presagire la pioggia .
***
Indugiare per sponde fiorite
e trasparire, traslucere
fino a brillare sul muschio:
non avere meta, non avere stanza;
venire dal cielo e dal mare
per tornare al mare dal mare
come un bambino in vacanza.
***
Far come l'aria che passa
e rimuove le fronde
- nel respiro lo spirito
l'anelito stesso del tempo -
volare sui vanni del canto,
tumultuar con le onde.
Effondersi in tutto, in ciascuno,
nel seme nel suono.
Essere dentro le leggi del mondo:
gli elfi il drago le fate,
negli esseri che stanno dietro le leggi,
le furie la brama,
nel lampo nel tuono
nelle sere d' estate.
Fabio Tombari da Essere ( su dipinti di Orlando Sora )
ODE A ORLANDO SORA 2
Ma morire senza compiacersi,
per amore.
Spegnersi in cielo per morire anche in terra;
declinare con l'autunno, appassire:
con la cicoria, l'aconito, con l'erbe più amare.
Subire ogni oltraggio ogni insulto ogni sputo ogni calcio;
confondersi alla terra con tutto il suo orrore,
con le colpe, col grave, la gravità della Terra:
e portare il peso fino al Calvario.
***
Spalancare il Mistero,
trovare regi i pastori,
scoprire amico il nemico
sullo stesso sentiero.
Esser la via a rintracciare chi s'è perso,
la verità negli errori
e portare l'universo a coscienza:
la vita, e morire.
***
Tutto è chiaro di fuori
per chi si è chiarito di dentro,
e ogni giorno è Natale.
Per un solo nato innocente,
saper l'innocenza passata
per oscure esperienze.
***
Avere l'aurora dentro
e risvegliarla in chi dorme
perché chi è morto si desti
dai secoli spenti.
Scendere in tutti gli abissi,
irradiare gli orrori.
Accender le lotte
per suscitarne gli eroi.
Sfolgorar coi tesori
e dare unità ai firmamenti.
Infrangere tutti i sigilli,
riscattare tutti i pegni,
sulle terre, sui mari.
E rapir tutto l'oro alla notte.
***
Far d'ogni notte la vigilia:
dare a ogni ordito la trama,
a ogni causa l'effetto
e generar meraviglia.
Fuggire da sé all'infinito
per sempre per sempre
e vedere all'incontro se stesso
in un cerchio perfetto.
Fabio Tombari da Essere ( su dipinti di Orlando Sora )
domenica 25 agosto 2019
LA FOLLIA E' ANCHE IN NOI 1
/
( … ) Come conoscere e riconoscere le emozioni, le passioni ( che
sono emozioni che persistono nel tempo ), che vivono in noi, e
quelle che vivono negli altri da noi? Come avviarsi lungo i
sentieri che ci portano nei vortici della nostra interiorità? Solo
se sappiamo educarci a cogliere qualcosa di quello che si
muove nei segreti della nostra interiorità, ci sarà possibile ri-
conoscere la cascata infinita e non di radio inafferrabile delle
nostre emozioni, e allora non stanchiamoci di guardare dentro
di noi: in questa ricerca continua - a volte faticosa e a volte
angosciante - di quello che noi siamo nelle vaste regioni delle
nostre emozioni. Le conosciamo sguscianti e serpeggianti solo
se sappiamo vivere in noi la solitudine, e a questo proposito
vorrei ricordare le parole del poeta Rainer Maria Rilke : " C'è
solo UNA solitudine,e quella è grande e non è facile a portare ",
e ancora : " Questo solo è che abbisogna: solitudine, grande
intima solitudine. Penetrare in se stessi e per ore non incontrare
nessuno - questo si deve poter raggiungere ". (…)
Eugenio Borgna da La follìa che è anche in noi
LA FOLLIA E' ANCHE IN NOI 2
(…)La fenomenologia non può non guardare alla sofferenza
psichica e alle esperienze psicotiche in particolare,se non nella
loro fragilità, e nella loro nostalgia di gentilezza umana.
Così,cosa solo apparentemente banale o rapsodica,è necessario
che ad un paziente o ad una paziente, se vogliamo avere la loro
fiducia, non siano fatte domande che possano essere vissute
come indagini: come ferite alla loro timidezza; ma è anche
necessario considerare quale significato i pazienti diano ai loro
deliri e alle loro allucinazioni. Sono sintomi - questi - di solito
facilmente riducibili, in misura più o meno radicale, dai farmaci
neurolettici, ma nondimeno la loro cancellazione non è talora
consigliabile: quando i pazienti si siano adattati alla presenza
di deliri e di allucinazioni,la loro scomparsa fa talora riemergere
angosce e inquietudini che possono rinascere improvvise e
possono portare al suicidio. Non potrei non concordare - a
questo riguardo - con la tesi di uno psichiatra svizzero del secolo
scorso ( Jung? ) : " meglio combattere nel delirio con il mondo
intero che non essere soli. "
Costatazioni, certo, che sono possibili solo nella misura in cui ci
si immerga nella vita interiore di queste persone, alla ricerca dei
significati che hanno deliri e allucinazioni. (…)
Eugenio Borgna da La follìa che è anche in noi.
LA FOLLIA E' ANCHE IN NOI 3
LA POESIA DI MARGHERITA
(…) Margherita è stata una giovane schizofrenica che ho seguito
dagli anni in cui sono giunto a Novara,e che morirà poi suicida.
Vorrei ricordarne non la sintomatologia allucinatoria e delirante,
ma una poesia che sgorgava dal suo cuore dilaniato dall' angoscia
della morte, e dal desiderio della morte. Sono parole ferite che
dicono la sensibilità e la ricchezza della sua vita interiore, che la
malattia non è riuscita a devastare.Sono la testimonianza bruciante
di dolore e di speranze infrante, che andavano alla vana ricerca di
schegge impossibili di luce. (…)
Si tocca il fondo
quando si diventa indifferenti
anche al proprio dolore.
Quando ci si aggrappa alla morte
per ricevere un po' di affetto
postumo.
Quando non si ha più niente da ascoltare,
più niente da dire, più niente da vedere.
Quando una bocca parla
e non se ne sentono i suoni.
Quando l'indifferenza
ti strappa alla vita
negli acquitrini del nulla.
Quando il disgusto è tanto forte
che non dà spiegazioni.
Quando il dolore tace sommesso
e, annientato dal suo stesso silenzio,
diventa come pietà.
Quando hai le braccia distese
e non sai che fartene.
Quando le lacrime si sono come rapprese negli occhi.
Quando quell'urlo di disperazione
è diventato afono,
e tu gridi, gridi,
ma non ti sentono.
Ma continui a sprecare la tua lealtà
e aspetti nel tempo
con umiltà.
Eugenio Borgna da La follìa che è anche in noi
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sabato 24 agosto 2019
LA VOCE DEL SILENZIO 1
I nomi si raccontano nella loro nudità…
Ancora un'ansia di parole
si aggrappa agli stipiti
oltre il vedere e il sentire.
Svelarmi, svelarti
nel buio dell'esistere
oltre ogni trama di percorso,
oltre ogni capacità della mente
le domande ad accogliere
ultime e prime.
***
Ogni giorno ci trasforma :
tu appari ciò che non eri,
io scopro margini nuovi
irraggiungibili.
E' dolorosa la natura fossile dei giorni
che non sono più,
i segnali delle promesse,
la luce degli amori,
l'oscura eccitazione della mente.
***
Spiegami questo dolore
che dentro di me impazzisce
logorando il pensiero,
dagli un volto, una luce
che lo colori del senso della terra,
della saggezza del cielo.
Accogli questa mano di pietra
e dalle il senso dell'intelligenza.
Ancora ascoltami, tu che ti nascondi
nel silenzio:
spogliati della nube che ti copre,
ed esci dalle forre della notte.
***
Traducimi tu l'imperfetto dei giorni,
quella corsa nel prato dove sorrido bambino,
e quel fuoco acceso da un'estate infinita;
quel movimento dei visi fissati
per sempre in uno sguardo,
e gli attimi, le cesure, le derive -
Che cosa è vivo in me,
che cosa è morto?
E dove sono i nessi
che il pensiero cerca sulla fronte?
Poi anche l'oggi traducimi,
tutto il precipitare degli occhi
negli orizzonti persi.
***
Seduto sulla soglia,
sento che il tuo silenzio non è un inganno,
ma la trama segreta di un racconto
e scopro che vocaboli nuovi
attraversano i luoghi del silenzio
per un dono di vicinanza e di ascolto.
I nomi si raccontano
nella loro nudità.
Una leggera brezza
trasporta un appello di preghiera,
spezza la distanza.
***
Di fronte a te
duole l'infermità costante della mente
ferma nel suo cerchio,
ma è stupendo il vivere la terra,
il sangue che accelera il suo corso.
Il lampione acceso sulla via
è segno di speranza,
un punto che chiama, quasi una voce
giocoliera di luce nel mio cerchio.
Bruno Piccinini da E ancora ti parlo
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