mercoledì 20 giugno 2018

LA CRISI MISTICA DI CESARE PAVESE

 
 

                                                                  da  " Lavorare stanca "



(…)Torino fu sempre la città più amata da Pavese, città degli studi,
      del lavoro, degli amici, degli sfortunati amori.
    " Città...dove sono nato spiritualmente, arrivando di fuori: mia
     amante, e non madre né sorella".
     Cittadino sino al midollo, sentiva Torino come sua città ideale.
     Torino era il Po, la collina, la " barriera" non più città e non
     ancora campagna, osterie che si chiamavano " Far West" e
     cinema dove si proiettavano film americani.
   " Quest'è il giorno che salgono le nebbie dal fiume / nella bella
     città, in mezzo a prati e colline / e la sfumano come un ricordo".
     E poi l'Hotel Roma nella centralissima  piazza Carlo Felice
     dove Pavese, esaurita la sua stagione di uomo e scrittore, giunto
     ad un drammatico crocevia tra la vita e la morte, gettò i dadi e
     scelse la via verso il nulla.
     Una camera d'albergo, le telefonate alla disperata ricerca di
     una voce amica, le ultime parole sul suo libro più amato, l'
     avvelenamento con i barbiturici.
     Era il 27 Agosto del 1950 : fuori l'aria distratta e anonima della
     città - la sua città - deserta nel caldo torrido di quella fine
     estate. Com'era lontano il mare - mai amato - come lo erano
     invece stati i due fiumi della sua vita ( il Belbo e il Po ): quello
     ligure di Varigotti che fa da sfondo alla storia de La spiaggia
     e di Bocca di Magra dove si riuniva la casa editrice Einaudi o
     quello calabro dell'esilio dove compose i suoi " tristia ".
   " Uomo solo dinanzi all'inutile mare / attendendo la sera, 
     attendendo il mattino ".
     E come apparivano lontane, sfumate nel ricordo, le sue amate
     Langhe: i sentieri tortuosi, le curve morbide e sensuali delle
     colline, le rive, le vigne che si perdono nel cielo, i campi di
     granoturco ondeggianti al vento.
     Com'erano lontani i tempi di Casale Monferrato, dove Pavese
     trascorse uno dei periodi più tormentati della sua vita in un
     momento tragico per l' Italia devastata dalla guerra civile, da
     sfollato. Nel collegio Trevisio, retto dai Padri Somaschi, dava
     lezione sotto falso nome agli studenti.
   " Quel giro di portico intorno al cortile, quelle scalette di
     mattoni per cui dai corridoi s'andava sotto i tetti, e la grande
     cappella  semibuia, facevano un mondo che avrei voluto sempre
     più chiuso, più isolato, più tetro…"
     Le lunghe ore trascorse nella biblioteca del collegio sono
     dedicate alla lettura e allo studio dei testi mitologici.
     A Serralunga di Crea, ospite nella casa del cognato, trascorse
     lunghi periodi. In questi luoghi, impregnati di religiosità, gli
     parve di trovare la strada che conduce a Dio.
     In questo ambiente, con le suggestioni e la complicità del vicino
     Santuario, nacque prepotente il bisogno di un colloquio con
     Dio e la crisi mistica è puntualmente registrata nel diario del
     29 Gennaio 1944: " Ci si umilia nel chiedere una grazia e si
     scopre l'intima dolcezza del regno di Dio. Quasi si dimentica
     ciò che si chiedeva: si vorrebbe soltanto godere quello sgorgo
     di divinità. E' questa senza dubbio la mia strada per giungere
     alla fede, il mio modo di essere fedele.Una rinuncia a tutto, una
     sommersione in un mare di amore, un mancamento al barlume
     di questa possibilità. Forse è tutto qui : in questo tremito del
    " se fosse vero! ". Se davvero fosse vero… (…).

     
  Franco Vaccaneo  da   La scoperta del mito con Cesare nel Parco

2 commenti:

  1. Tristezza e malinconia mi trasmette questo scritto, però mi piace il finale col riferimento alla sua ricerca di Dio, che, però, sembra non terminare in un incontro personale vista la scelta di porre fine alla sua vita, la depressione lo ha vinto ed è molto triste...

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  2. Sì, davvero.
    Ho provato anch'io la stessa sensazione: sarà perché sono da poco rientrata da quei luoghi che amo molto; sarà perché sta arrivando l'estate, con le sue giornate afose, assolate e deserte, comunicanti un senso di solitudine e di vuoto (proprio come devono essere apparse all'autore il giorno di agosto in cui decise di porre fine ai propri giorni…)

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