lunedì 9 settembre 2024

CARO BABBO

 


                                   Si dimentica spesso quanto un padre ti abbia generato...




I temi del lutto e della morte di un padre - proseguendo un filone letterario che viene da lontano - vengono vissuti in questo libro come una possibilità di trasformazione e di luce, di distacco anche ironico dall'inesorabile avvicendarsi del tempo. Le vicende di un padre che scompare si raccontano in uno squadernato diario poetico del figlio, rimasto a gestire le burocrazie emotive della sua assenza. Un racconto che nasce ascoltando i luoghi che si fanno voce e i corpi che si fanno sasso, inseguendo defunti che guardano sé stessi, andando a visitare tombe che sono telefoni senza fili. La perdita è qui vissuta e rappresentata come una metafora personale anche nel linguaggio e nello stile. E' un' assenza che diventa capacità di pienezza, un  kit  "in caso di perdita " e una nuova educazione alla vita.





QUELLA TUA PIETRA


La morte è l'equazione

in cui anima e corpo - se sussistono

diventano unica pietra, cristallo opaco


oggi mamma ha detto di cremarti

perché tu lo volevi,

l'ha detto con le lacrime ancora liquefatte

ma quella tua pietra

che sei adesso, la farei monumento

di questa stessa famiglia

di questa stessa pelle


si dimentica spesso quanto

un padre ti abbia generato

pezzo per pezzo

dalla punta del piede all'intestino

a te affine polvere

che poi si fa pietra, che poi muore

in un'amara eternità.



                                        ***


Non è mai abbastanza

il tempo che ho dimenticato

di passare con te

ora che la premura che

ti riverso non è niente

perché non ti salva

vorrei ricordare la tua

stretta di babbo, babbo

i tuoi occhi tondi e docili

su di me, magari ricorderò

solo gli schiaffi i rimproveri gli improperi

perché sì sei stato severo

in quegli anni di tua maturità

volendo dimostrare la tua autorità

ma ora mi stai creando un vuoto

un vuoto di questa mia mano

a mio figlio stringerò la mano

fortissimo, così che quando non ci sarò

sentirà anche quel male buono

il dolore che rimbalza fra di noi

e salva il tempo il tempo d'uomo.



                                              ***


La lenta lama

della routine che

ci scoperchia la testa

nella sensazione che ho di vuoti

e di estraneità col tuo io prima di me

tu che non sei più eppure

ti tumuleranno il sabato

ti celebreranno nei molti modi fiacchi

e poco spettacolari,

della nostra famiglia spartana


dove porteremo

questo vascello nominale

senza la tua  acribia?


Il dolore ci frega

e s'indolcisce

rientra nel porto,

si fa impossibile

ossessione geografica del dove sei - dove vai - con chi

morire è stata la tua mossa

più inaspettata

è stato veloce, indolore

un lancio col paracadute nel vuoto

più puro come quando si sogna

di cadere al limite della notte

e si sobbalza

( noi giù ad aspettarti in eterne in caduta

e non arriverai )


conto quanti passi di

te non concessi non ho percorso

e quanti invece te li ho concessi

sebbene i tuoi ultimi fossero dei

pesanti inani passi sulla neve più dura


soppesare i tuoi ultimi giorni

ma è necessario come un'esplorazione

in una giungla mentale e molecolare

prima inaccessibile che il tuo corpo caduto

come ha aperto, senza ombre.



                                           ***


Posta la tua foto alla tua lapide

sei come balzato fuori

dalla pressione di quella scortesia

hai preso a rivolgerti a me

"Ale, ma chi me l'ha fatto fare, eh ?"

pareva che dicessi,

facendo gesti scaramantici

eri incredulo lì davanti alla tua tomba

con me che ti piangevo e

a un tempo ridevo,

ridevo del tuo essermi accanto

pronto a sconfessare quel rito

di mettere la foto, di scegliere la più bella,

mentre tu sei espanso nell' universo

altrove - mi pare di averlo visto in un film di Linch...

che per tornare devi aver passato

mille disgusti tra i quali quello

di vederti fotografato.

" Non ci siamo proprio, Ale ", mi bisbigli

e prendi in giro il Te che lì di te non c'è

chiuso dal marmo.



                       Alessandro Raveggi   da   In caso di perdita



3 commenti:

  1. Credo non sia mai abbastanza, il tempo che dimentichiamo - trascuriamo - di passare con chi amiamo. Anche se facciamo sforzi mentre crediamo di essere in tempo.
    In realtà ci muoviamo spesso per fugare rimpianti futuri, non per reale necessità.
    Non voglio intendere una cattiveria così pragmatica, arida. In realtà dopo anni, decine di anni, quello che si doveva o è stato fatto o comunque non ci sarà abbastanza tempo, evidentemente troppo distanti gli uni dagli altri, i figli dai padri.
    Io già ce l'ho la foto della lapide. Forse ti guardo già come guarderò quella foto, incapace tutt'ora di dirti cose che non ti ho mai detto, e ascoltare cose che mai hai pronunciato.
    p.s. Babbo mi piace, Lulù chiamava così il suo, nata e cresciuta a Pisa, anche se per pochi anni.

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  2. Mai come ora mi mancano le parole che mio padre avrebbe voluto dirmi : di fronte alla mia stupida indifferenza scriveva bigliettini che non leggevo ( e adesso chissà cosa darei per averli... adesso che capisco quanta tenerezza c'era in quei tentativi di dialogo disatteso...).
    Della mamma mi manca la docile pazienza. Non L' ho mai sentita dire di " no" . ( anche se poi ho letto libri del genere " I no che fanno crescere " ). Ma andava bene così : oggi le sono grata.

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    1. La gratitudine resta punto fermo per entrambi. Io sono loro, praticamente, e non immagini la fatica ad ammetterlo, ma questo credo una delle loro maggiori soddisfazioni. E anche mia.

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