lunedì 20 marzo 2017
OLTRE LE PASSIONI TRISTI 1 ( Le nuove sofferenze psi: soffro di solitudine)
(...) Un lamento ricorrente nell'espressione della sofferenza
quotidiana è legato alla solitudine. Tale lamento giunge
- insieme ad altri - alla consultazione psi. I pazienti si sentono
paradossalmente " soli" mentre sono sempre circondati da
altre persone. Una solitudine che vivono come un'ingiustizia,
senza smettere al contempo di chiedersi perché sia così
difficile per loro legarsi agli altri. E' vero che esistono
differenze culturali, ma al di là di queste, la denuncia della
solitudine si ritrova in tutte le democrazie occidentali
" avanzate" e rimanda a una realtà sociale comune.
Si sa che è impossibile per un essere umano vivere nell'
isolamento - utilizzato infatti in alcuni servizi di " sicurezza"
come metodo di " tortura fredda".
Ma la solitudine equivale all'isolamento?. L'esperienza clinica
dimostra che il fatto concreto di " essere solo" non rimanda
necessariamente ad una separazione. Questa rimanda ad una
rottura con ciò che ci fonda: una persona può essere
fisicamente sola rimanendo al contempo pienamente in
relazione: come un artigiano, un artista, uno che legge con
passione o che ascolta la musica: tutti solitari e tuttavia in
relazione. Il legame indica il contatto con gli strati profondi
che strutturano il nostro essere come quello degli altri.
Al contrario, la ricerca di un'intersoggettività ad ogni costo,
ci fa stare per la maggior parte del tempo in una condizione
di " separazione condivisa ".
Con l'ossessione di superare la solitudine senza porsi la
questione della separazione, i nostri contemporanei rimangono
abbagliati dalle possibilità di contatto attraverso Internet e i
social network. Certo, si formano persino delle coppie in
questo modo. Ma finchè dura la separazione da se stessi,
l'intersoggettività non fa che riunire dei separati in quanto
" separati ". Il legame a ciò che ci accomuna deve poter essere
innanzitutto trovato all'interno di sé. Senza questo passaggio,
io sono nell'illusione che con l'altro potrei realizzare una
serie di sogni inadempiuti. Il rapporto con l'altro sarebbe la
condizione perché io abbia un lavoro, perché io abbia voglia
di alzarmi al mattino, perché io viaggi... Ora, l'esperienza
clinica mostra che - quando appare - questo altro così
desiderato, può diventare un alibi per non suonare il
pianoforte, non viaggiare, non alzarsi al mattino...
Tutto accade come se il paziente cercasse di avere conferme
del fatto che l'altro è responsabile delle sue impotenze.
L' altro diventa a questo punto, non la salvezza della mia
solitudine, ma il colpevole della separazione della mia potenza
d'agire.
La solitudine che sta a fondamento delle nuove sofferenze
psichiche è di natura ontologica: una solitudine come
incapacità di sentirsi in collegamento. Il che aggiunge
un'ulteriore sofferenza rispetto a quella già presente. (...)
Miguel Benasayag da Oltre le passioni tristi
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