giovedì 30 gennaio 2025

LA DOMANDA DI BONHOEFFER

 


                                                        Chiunque io sia - o Dio - io sono tuo !



C'è una domanda che percorre tutta la nostra vita, a volte gridando, più spesso insinuandosi nei dubbi e al bivio delle scelte più importanti da prendere: chi sono io? Le strade per trovare una risposta sono tante quante le persone che abitano il mondo. Spesso la si cerca nel lavoro, nel successo professionale, nella fama. Oppure all' interno del perimetro degli affetti - in famiglia - svolgendo al meglio il proprio ruolo. Dal canto loro i credenti alzano l' asticella del cuore fino al cielo, a Dio, trovando in Lui la soluzione alla loro ricerca di senso. M è questa una sfida impegnativa che interpella tutto il nostro essere e che chiede di superare la differenza tra ciò che siamo davvero e come ci presentiamo agli altri. Lo esprime con chiarezza e dolente coraggio Dietrich Bonhoeffer, teologo e pastore luterano ucciso nel campo di concentramento di  Flossemburg, il 9 Aprile 1945, a 39 anni.

Il brano proposto è tratto da "  Resistenza e resa  " raccolta di lettere e testi scritti nel carcere berlinese di Tegel tra il 1943 e il 1945.




Chi sono io ? Spesso mi dicono

che esco dalla mia cella

disteso, lieto e risoluto

come un signore dal suo castello.

Chi sono io ? Spesso mi dicono

che parlo alle guardie

con libertà, affabilità e chiarezza

come spettasse a me di comandare.

Chi sono io ? Anche mi dicono

che sopporto i giorni del dolore

imperturbabile, sorridente e fiero

come chi è avvezzo alla vittoria.

Sono veramente ciò che gli altri

dicono di me?

O sono soltanto quale io mi

conosco?

Inquieto, pieno di nostalgia, malato

come uccello in gabbia,

bramoso di aria come mi

strangolassero alla gola,

affamato di colori, di fiori, di voci

d' uccelli,

assetato di parole buone, di

compagnia

tremante di collera davanti

all' arbitrio e all' offesa più

meschina,

agitato per l' attesa di grandi cose,

preoccupato e impotente per

l' amico infinitamente lontano,

stanco e vuoto nel pregare, nel

pensare, nel creare,

spossato e pronto a prendere

congedo da ogni cosa ?

Chi sono io?

Oggi sono uno, domani un altro ?

Sono tutt'e due insieme ? Davanti

agli uomini un simulatore

e davanti a me uno spregevole

vigliacco ?

 Chi sono io ? Questo porre domande

da soli è derisione.

Chiunque io sia, tu mi conosci, o

Dio, io sono tuo !



                   Dietrich  Bonhoeffer  da    Resistenza e resa



martedì 28 gennaio 2025

MI TROVERAI VIVO

 


                                                        Fuori, le ombre m' inseguono...



L' Autore - con questo testo - dona ai lettori una poesia umana, vera, provocatoria e sincera; scandisce il tempo del coraggio; affronta la desolazione e la dignità della disperazione; declina il senso della morte con il sussurro della responsabilità e della consapevolezza efficace di un  processo naturale e significativo in un dialogo empatico. Afferra la finalità dell' operare umano orientato tra l' assistere e l' includere l' esigenza di liberarsi dall' angoscia e il superare l' etica dell' egoismo. Muove infine a compassione ( nel senso letterale del termine latino " cum patior " ) l' universo, unendo il desiderio di alleviare la pena con l' espiazione dell' inquietudine e il riscatto dal disorientamento.





Sono tetri i pozzi in cui cadono i piedi

quando il verbo è cucito nella carne

- nell' illusione di essere amati -

ci si immagina d' organza sulla spalla

nuda.



                                               ***


CAMERA 1


Diagnosi è una parola vuota,

è nella descrizione dello stadio

la scelta di remare nell' acqua melmosa.


Resta vano il pianto e la speranza

nel fango non vedi il fondale

anche indossando una maschera.


Il sangue s' aggruma a rosario.



                                            ***


Amo l' uomo che respira lento

guarda il mare e non lo giudica ;

la foglia che cade dal ramo

e s' affida al vuoto per tornare origine.


Amo il pensiero del serpente

l' ignoto ipotizzato che solo lui conosce

e le donne che ridono forte

gli amici che sanno di  muffa


perché nel vecchio si riposa ad occhi chiusi.



                                       

                                             ***


SALA D' ATTESA


Il silenzio ha la dignità del fiore

è nell' apice che cela il seme

fluttuante al vento - senza foglie

attendendo la schiusa.



                                           ***


Nella luce che attraversa l' asola

d' impone lo sconforto del dito

che ne occlude il passaggio.


Mia madre dice sempre

che il bottone alla giusta altezza

concede al tempo il suo respiro.


La qualità di un abito

è la meiosi tra chi cuce e ch' indossa.



                                            ***


SCELGLI


Puoi essere fiore d' orchidea

cadere intero staccandoti dal ramo

o essere rosa anche peonia

sfiorendo ad ogni petalo caduto

o ancora hybiscus gigante

dove il pistillo rimane adeso.


Morire è una scelta scaduta.



                                              ***


CORRIDOIO


Fu troppa luce incanalata

a rendere abisso il mio guardare.

Dimenticai il dovere di morire

nidificando tra le grondaie del cielo,

quelle nuvole sospese e incastrate

nel citoscheletro di un insaturo celeste.



                                             ***


L ' EREDITA'


Ho immaginato di raccontarti il mio dolore

almeno cinque gocce al risveglio

e venticinque prima del sonno.


Ho preferito poi

usare una matita 2B per scriverne poesie .



                                       ***


Misi il fuoco al centro, era rosso

sfocato di vita, accomodavo la rosa

al giusto grado di curvatura del cristallino.


Dietro le inferriate i ricordi,

fuori - le ombre m' inseguono.



                                                

                           Antonio  Corona    da     Mi troverai vivo



lunedì 27 gennaio 2025

PER NON DIMENTICARE, OGGI

 


                              Dal Film  La Tregua  del 1997 diretto da Francesco Rosi




" La prima pattuglia russa giunse in vista del campo verso il mezzogiorno del 27 Gennaio 1945 : erano quattro giovani soldati a cavallo che procedevano guardinghi, coi mitragliatori imbracciati...A noi parevano mirabilmente corporei e reali, sospesi ( la strada era più alta del campo ) sui loro enormi cavalli, fra il grigio della neve e il grigio del cielo, immobili sotto le folate di vento... "


                                           

                                                    ***


"  Come se un argine fosse franato, proprio in quell' ora in cui ogni minaccia sembrava venir meno, in cui la speranza di un ritorno alla vita cessava di essere pazzesca, ero sopraffatto da un dolore nuovo e più vasto, prima sepolto e relegato ai margini della coscienza da altri più urgenti dolori : il dolore dell' esilio, della casa lontana, della solitudine, degli amici perduti... "



                          Primo Levi      da       La Tregua



venerdì 24 gennaio 2025

LE VORAGINI DI AZZURRO DI ADRIANA

 


                                                              La tua voce dice flebile : fine...



Nella presente raccolta, Adriana Tasin affronta il tema dell' esistenza avvalendosi di una metafora solida e incantata : la montagna. Esploratori, sciamani, alpinisti , poeti - pazzi ? - si inabissano ciechi nel labirinto dell' ignoto, si inerpicano e scendono dalle pareti dell' impervio. Il tempo profondo della Terra non coincide con il ciclo umano e ciò che - osservato in un tempo breve - pare eterno , in un tempo geologico si manifesta come transitorio. Così è la montagna, così è il corpo. Un visionario, in dialogo con una voce, sporto nel vuoto, sfida - scalando pareti scoscese - le leggi della gravità e del dolore : il percorso è rischioso, aleggia la morte intorno. L' alta quota è l' interregno di vivi e di morti, apparizioni e sparizioni, illuminazioni e stupori. Al tramonto, affaticato, si cala - a tratti precipitando - ma non per tornare al punto di partenza, alla casa,  ma alla forma primigenia del mondo : all' acqua, al grembo. Il profilo delle vette lascia spazio a un luogo piano dove le montagne sono memoria e il mare è vastità. E l' amore ?





è proprio necessario il viaggio ?[ ... ] necessario rinnovare il dolore del corpo

così stanco quasi morto

salire per ricadere al centro della Terra

fino al ferro ai chiodi dell' introvabile via

tracciando e cancellando traccia

che nessuno la possa seguire ?


e in fondo [ rispondi ] ciascuno deve

calarsi in solitaria nel proprio sentire.



                                              ***


e dunque ci dissero di partire, di tenere

a mente [ al buio ] sequenze appoggi

appigli e settanta gesti

ripetere tutto X volte nella testa

il corpo poi avrebbe echeggiato

- questo disse           nient' altro

eravamo tra le montagne

                               ripetizione discendenza.



                                                    ***


la parola urlata illeggibile [ solo sentita

nel vago ]

diseppellirono i poeti gli alpinisti i

dissensi, ritrassero le carte copiative

nel secchio occhi recisi sassi lungo

i ghiaioni, la montagna matrioska

partorì frane, voci d' acqua cascate da

grotte buie, ciechi ci addentrammo 

a tentoni nel labirinto carsico

disponendoci con torce di fuoco.



                                                         ***


sebbene fossimo ciechi

ci fu assegnato il potere di vedere

con le dita - per un tempo breve

l' incendio dello sciame di pietre


osammo acrobazie per annodarci alla

morte nostra sposa.



                                             ***


le tenebre chiodarono il tempo

al legno; fu difficile per lo sciamano

seguire la direzione, scendere il secolo

a ritroso, oltrepassare i limiti stabiliti

dalle sue stesse mani, dai tanti fuochi

accesi, dai laghi temporanei sospesi,

tacere come pietra l' ululato del lupo


" hai detto qualcosa ? "

                ma lui non rispose

per un millennio tacque, poi disse :

               " che cosa volete sapere ? "



                                               ***


nella sala cinematografica

un alpinista arrampica sullo schermo

lembi limpidissimi di montagna

frammenti di vento spalancarono visioni


galleggi con lo sguardo perso

nel luogo così spesso nominato

[ dico ] ma ti sei visto ? riconosciuto ?

si spegne la luce nella sala

il buio fa il resto, oscura tutto

di colpo corpo e ricordo


la tua voce rimane, dice flebile : fine.




                    Adriana Tasin  da     Voragini d' azzurro



lunedì 20 gennaio 2025

50 TENTATI SUICIDI

 


                                                 Le presine da forno sentiranno la mancanza...



Questo libro di Carnaroli mette in versi, con un immaginario macabro - quotidiano  50 tentati suicidi di " casalinghe disperate " o di una sola la cui immaginazione si faccia carico di tutte le donne, tra paste sfoglie, lavatrici, rubinetti pieni di calcare, supermercati. Nonché 50 descrizioni di oggetti di uso domestico trasformati in armi letali per altrettanti omicidi : un cavatappi, un barattolo di pelati, il guinzaglio del cane... Dunque, omicidi o suicidi sono le facce di una stessa medaglia, a seconda che lo sconforto prenda la piega dell' autolesionismo o dell' impulso omicida; un mondo femminile - dunque - con tutte le sue paure, frustrazioni, costrizioni, desideri repressi ( come se li immagina l' autrice ).

A questo punto però mi chiedo : per chi è stato scritto questo libro? Chi mai saranno le possibili lettrici ? E qualche dubbio mi assale : le casalinghe disperate penso di no , in quanto questa immagine della donna tra le mura di casa mi sembra rimandi a uno stereotipo ormai superato ( e anche perché - dal tipo di versificazione non propriamente  chiarissima - probabilmente non sarebbero in grado di comprenderlo-).Le donne emancipate, nonché quelle " in carriera" neanche, perché si sentirebbero lontane anni luce da simili personaggi ( e non avrebbero neppure il tempo di leggerlo e di farci qualche riflessione..).

Adunque, questo libretto edito da Einaudi , " cui prodest? ". Ai lettori ( se vorranno ), l' ardua sentenza...




nella gabbia dei leoni

coi bambini che guardano

la mia testa

muoversi

come coda di

lucertola il corpo

continua a scattare

foto ricordo.



                                      ***


dentro il garage 

dove ho passato l' infanzia a

separare i chiodi dalle viti

per mostrare a mio padre

di valere almeno quanto gomma

da bagnato mclaren

abbassare il finestrino

sgasare.



                                               ***


preparo il giorno

del mio trapasso stendo

la pasta sfoglia passo

passo

come dice benedetta

detto cotto

le presine da forno

sentiranno 

la mancanza quando

cadrò

di sotto.



                                           ***


raggiungere lo stato profondo

che solo dash bucato lavatrice

di sporco

fare il cambio - scheletro nell' armadio

partorire pelle

come le cicale.



                                               ***


questi pois bianchi su lenzuolo

dove ricalca la mia guancia

una forma di fetta

arancia o carne

fanno malattia infantile

lamento voglio pappa

la mia guancia dicevo

aderisce

come sangue

alla mutanda

solo con acqua calda

si leva

o sveglia.



                                        ***


il barattolo

dei pelati appoggiato sul piano

da lavoro della cucina

ancora chiuso

che nessuno 

ha voglia di mangiare

si sa nella carneficina.



                                               ***


una cornice

d' argento dove prima

c'era tuo babbo che ti teneva

per un braccio

eri vestita di bianco

con un mazzolino

scialbo di fiori

ridi

non sapevo ancora

come gridi.



                                            ***


penzolare dalla trave

che mio padre

ha aiutato a costruire

i muratori

scelti

dall' ingegnere

premio

ditta miglior cantiere.



                                              ***


chiedo malattia terminale

melanoma almeno macchia sospetta

sul tallone dove batte l' adidas

in promozione

di un numero più piccolo

del mio reale dolore.



                 Alessandra Carnaroli  da   50 tentati suicidi più 50 oggetti contundenti 




venerdì 17 gennaio 2025

LA NOSTALGHIA DI TARKOVSKIJI

 


                                                  Scordammo d' aver cura...



La poeta ci offre - con questo testo - una silloge di struggente bellezza, incastonata nel mistero della memoria che sempre plasma il presente, e che a volte si perde in una ferita dell' esistenza, negando all' essere umano il dialogo fondamentale con l' altro da sé. Ogni parola è un passo coraggioso verso l' amore, ma un amore troppo vicino alla dimenticanza, sempre prossimo alla fine e al suo negarsi. Avvicinarsi ad esso accende la poesia di una sincerità e di un sentimento ancora più disarmanti. Che nessuna malattia e nessun evento - implacabili sulle persone più care - potrà mai davvero spegnere.





BIGLIE


Non  comprendevo il percorso

sul quale camminavano le ombre.

Poi le ho guardate.

Erano così simili al mio passato.

E allora mi sono voltata

lanciando occhi spietati

verso quell' ultimo noi.

Le ho viste tutte.

Erano proprio lì.

Ordinate come discepole

in fila come anime bianche.

E non erano più ombre.

Erano sorrisi senza corpo

biglie d' amore caduto.



                                                 ***


FELICITA'


Non arrendere la felicità

padre.

Lascia uno spazio tra i rami

per i sorrisi che fioriranno.

Dipingi le parole che non sai

per i racconti che svaniranno.

Canta il riposo che non conosci

per innamorare l' inquietudine.

ma ti prego

padre

non arrendere mai la felicità.




                                               ***


CAOS


Più dell' amore

meriti momenti

fughe inaudite

inedito caos.

E poi

credimi

più dell' amore

meriti una casa

che assomigli

a tutti i posti

in cui non sarai.



                                                ***


DEDIZIONE


Stringemmo fieri

l' intesa clandestina

dell' indifferenza.

Scialbatura di baci.

Non sapevamo però

la crudeltà delle comete

che trascinano il rancore.

Trapasso inevitabile.

Scordammo d' aver cura

dei luoghi della dedizione

seppellendoci come stelle

ancora fluorescenti d'oro.

Guarigione immeritata.

Non v'è peccato più atroce

che perdersi amando.



                                          ***


GENESI


Ti ho visto

sprofondare nel vuoto

indicare gesti ai pensieri

approdare sfinito

sulla riva dei ricordi

boccheggiare

( come quando si muore da vivi )

e tornare genesi dalle acque.

Padre, arrivo.


Ti ho visto

franare nell' indecenza

lesinare vita alla materia

attraccare esausto

all' orlo del mio amore

distenderti

( come quando si vive da morti )

e strappare attimi al nulla.

Padre, resto.



                                Selene  Paacasi   da    A un ricordo da te



giovedì 16 gennaio 2025

LA QUANTITA' DI PERDONO

 


                                                                 Dove  incontrarti ora...



Cercano i mesi

nell' androne,

a bassa voce,

compiono così il

destino

di quest' ultimo

pomeriggio. La

sabbia del tempo

batte sulle tempie, il

pensiero è un ricordo.



                                     ***


Siamo nati in una

pausa

dell' infanzia, nella

dolcezza

della prima volta.

Angeli custoditi

nella disciplina,

angeli in una ferita.



                                      ***


Tutto sembra intimo

nei ritorni,

in questo ascolto

fedele alla prigionia,

tutto

è intimo. Ma dove

incontrarti ora, dove

incontrarti ? Pietra sul

polso, pane spezzato

sillaba dopo sillaba,

seme di luce nel

frutto più duro.



                                          ***


E che nome dare a

questo incendio ? Le

pareti

della stanza tremano

nel bicchiere, non c'è

altro

che spazio. E' troppo

tardi per la prima

volta.

Caro taglio, incidimi.



                                      ***


Questa è la tua

stanza d' attesa,

è una faccenda di

passaggio, non

somiglia.

Non c'è altro che

spazio, opera astratta

della

coscienza. Accanto

al letto, un bicchiere

d' acqua.



                     Giuseppe  Martella     da   Quantità di perdono



NON SI SBAGLIA IL CUORE DI SELENE

 


                                                               Andare non è perdersi...



La raccolta di poesie di Selene Pascasi si presenta come un'opera di profonda introspezione, in cui l' autrice esplora la complessità dell' esistenza umana attraverso una serie di versi che oscillano tra desiderio, malinconia , memoria , fragilità della vita e ricerca di felicità. L' abilità della poeta sta nel catturare l' essenza di momenti fugaci, rendendo tangibili le emozioni attraverso una scrittura raffinata e ordinata. Con questa silloge Pascasi sembra navigare in mare aperto : ne coglie la tempesta, la calma piatta e ogni movimento mutevole trova spazio nelle sue parole. Sono quaranta brevi poesie che toccano il cuore.





ANDARE


Andare non è perdersi

è solo chiudere gli occhi

nascondersi nel tempo

chiedere voce alla luna

restare muti fra i battiti.

Il ponte non divide.

Ti trovo ancora, giuro,

e ancora ti respiro

come quando eravamo

ombra e luce silenti

dietro la curva del noi.

Paziente mi attendi.



                                                ***


ANGELI


Costruire l' eterno

è gesto antico di millenni

sapiente frangia di fede

incisa tra rughe empiree.

Ecco.

Attendo il tuo nome

iniettarsi ancora nel mio

svelare misteri agli angeli.

L 'immenso parla all' amore.



                                                  ***


BUSSOLA


L ' infinito ha smarrito

la bussola del tormento.

Ma se mi sfiori appena

si rinnova il pegno della terra.

Piangeranno stupore

anche le primavere.

Sai, l' amore è fatto di attimi

che durano migliaia d' anni

solo per svanirti addosso.

Profughi del risveglio

giochiamo a carte la vita.



                                                ***


INTESE


Sono fatta per i crepuscoli

per i respiri declinati

per le intese bianche.

Sono ferma nel tempo.

Scandaglio i tuoi sensi

mentre indago nei miei.

Resto immobile a te.

Avrò cura di amarti.



                                         ***


QUADRI  MUTEVOLI


Si traspone il respiro

dal petto al collo

si sofferma appena

nell' incavo riflesso

che ospita la bocca.

Sul mio volto riposa

la luce dei secoli.

Ci siete tutti, ancora.

Usate la mia pelle

per consacrare la vita.

Quadri mutevoli

ci attendiamo le ossa.



                                                ***


UN TEMPO MINIMO


Sarà un tempo minimo

sfuggito all' universo

a dichiarare carità -  mi credi ?

Estranei di pelle

sapevamo amarci

come lettere inattese - ricordi ?

Non rendermi ciò

che conservi di me.

Cedilo al respiro.



                      Selene Pascasi     da    Un tempo minimo



martedì 14 gennaio 2025

L ' AMICO DI GIAMPIERO

 


                                                                      Giampiero Neri



(... ) Essendo un sommo peccatore, fatico a capire la semplicità. Il verbo lo vedo sempre come una poiana che scava il cielo, non come una zappa che dilata la terra. Amo quella variante celeste- la pioggia - la stola del sole ; mi è difficile saggiare gli argini, il greto di un volto. Eppure Pasternak, il mio idolo, tra le letture particolari di Giampiero Neri, insegna che il poeta è colui che si costruisce la casa, che si prende cura dei suoi, che lavora sei ore per sgrossare un pezzo di legno o zappando la terra sotto il cielo aperto. Questo, per dire che per anni ho fatto fatica con la poesia di Neri, schietta come un legno intagliato, nuda come la terra appena smossa. Mi affascinava l' appartato essere di Giampiero, l' appartenenza a un mondo proprio di ricordi puri, senza tracce di rimorso o di rancore che giacciono spesso tra le anticaglie dei poeti. L' opera del Bene agiva in lui con ordinata sapienza - quanto all' ordinario, sapeva tradurlo nella tenaglia degli sgargianti dettagli. Nelle poesie, spesso , Neri - senza reticenze - cita i suoi Maestri : Melville, Conrad, Fenoglio, Pasternak, e li cita con la stessa rigorosa audacia con cui parla degli animali : sono le sue bestie sacre, in solidale amicizia verso tutte le cose del creato.[...]

Giampiero fu lucido fino a poco prima di morire, la notte tra il 14 e il 15 Febbraio 2023 : leggeva la Genesi e l' Esodo, era affascinato del Libro dei re e incontrava gli amici più cari. Di quei giorni - che furono anche di lunghi silenzi - tenni un diario e da quell' esperienza sono nate queste poesie. Il protagonista è un Giampiero / Giobbe, in cui la realtà si mescola alla creazione letteraria : un omaggio e un ringraziamento a un maestro che per più di vent' anni mi ha indicato la strada (...).

                           Alessandro  Rivali




VII


Prediligeva i poveri in spirito,

chi claudicava nella vita,

gli amori difficili, non corrisposti.


La sua Itaca era Piazza Libia

con i suoi sconfitti, i platani

e la gioia delle forsizie in Aprile.


Lo avevano accostato a Omero,

così attento ai dolori degli uomini,

ai loro sogni contrastati.



                                             ***


VIII


Aveva letto di una benedizione

che poi augurava ad ogni amico :

dormire senza soprassalti,

con lente carezze sul viso,

vedere le tenebre diventare aurora,

rivivere lo slancio del primo amore

ed esaudito ogni disegno del cuore.



                                                ***


IX


Come era chiaro il libro di Giobbe

che sognava ancora l' aurora,

la vita chiara come il mezzogiorno,

i sogni senza ombra di serpenti,

le carezze lontano dalla fossa,

dagli uomini tarlati come legno,

con la pelle erosa dalla talpe.


Aveva a lungo negoziato con Dio

per rivedere l' acqua del giardino

ed estinguere quella lenta arsura.



                                             ***


X


Non aveva compreso la risposta,

temeva il ritorno di una sentenza amara.


Quella frana nel buio si attenuava

quando incontrava le parole di Osea :


" Egli ci ha straziato ed Egli ci guarirà.

Egli ci ha percosso ed Egli ci fascerà ".


E la battaglia continuava.



                                                   ***


XI


Aveva strappato la copertina del libro :

era più leggero per le sue braccia

segnate dal lividi e dagli aghi.


Si emozionava alla vista d' un amico

o di una stilografica color del mare.


Nell' ultimo tratto di strada

lo confortavano le piccole cose:


voleva lasciare l' ospedale

per rivedere i primi alberi in fiore.



                                                    ***


XII


Voleva dialogare con Dio

come Mosè di fronte al roveto.


Eppure, vedeva le carovane

deviare dalla sua tenda,

preferivano smarrirsi nel deserto

più che incontrare tanto dolore.


Restavano caligine e scorpioni

e il timore della parola di Dio.



                                                  ***


XIII


Il pittore di ghiacciai

gli aveva donato un disegno :

un paio di scarponi disfatti

che emanavano fatica e verità

come le sedie impagliate di Van Gogh.


Aveva voluto quel carboncino

di fronte ai suoi occhi

per prepararsi al grande salto.


Perché per lui la semplicità

era un punto di arrivo,

un segno per ritrovare la via.



                                                 ***


XIV


Avrebbe voluto vedere Dio

in sogno come Salomone

per ogni esigenza del cuore :

una lunga discendenza,

il nome inciso su una stele

e poi giorni e opere feconde.


E il corredo di giorni felici.


Ma su tutto cercava un amore

più forte della morte, un astro

che incendiasse ogni ora della vita.



                                Alessandro Rivali



ARMI E MESTIERI DI GIAMPIERO NERI

 


                                               Giuseppe Ferrata -  Paesaggio lombardo



Una poesia - quella di Neri - dal carattere rarefatto in cui agisce, sempre più trasfigurata e rappresentata per emblemi e stemmi finemente cesellati, una memoria che risale molto indietro nel tempo, intrecciando e facendo coincidere memoria personale e Storia del Novecento. Centrale è il ruolo della natura e dei paesaggi lombardi, così come esemplare  è la capacità del poeta di essere trasparente nei modi e nella lingua, lieve nei toni eppure ambiguo, insinuante e drammatico nel fondo dei suoi testi.




22


Da un camminamento

sotto la volta degli alberi

si arriva a un recinto.

Si erano alzati due vitelli

dal loro letto di paglia

una strana luce

passava tra le foglie.



                                            ***


23


Da quell' intrico di rami

si tendeva il germoglio di un kiwi

incontro al ramo di una betulla.

Si formava un nuovo viluppo

come un piccolo arco di trionfo

che vede il kiwi prevalere

la betulla vicina a soccombere

e l' ospite a meditare nel giardino.



                                           ***


24


Delle figure e dei fregi

si osservano sulle ali delle farfalle

e in altre specie diverse

ornamento e difesa insieme,

simili a cerchi e disegni

detti anche macchie ocellari,

sono una varietà di mimetismo

l' immaginario occhio di Dio che guarda.



                                              ***


25


Di quel teatro all' aperto

delle sue figure disperse

era difficile trovare i fili.

Rimaneva il nome di qualche negozio

qualche angolo di strada somigliante

e i pesci a nuotare sotto riva

nelle acque morte del lago.



                                              ***


26


Da quali nemici si difende

la rivestita di spine ?

E' tenace la memoria delle piante

non abbassa la guardia.

Se torneranno le specie a loro avverse

le troveranno pronte, ad aspettarle.




                  Giampiero Neri   da    Armi e mestieri



mercoledì 8 gennaio 2025

L ' IMMENSO PRIMIGENIO DI UNGARETTI


                                            


                                              Caspar David Friedrich - Alba lunare sul mare



In  " Mattina"  il poeta riesce a percepire il desiderio d ' immensità dell' uomo e descrive questa  incomunicabilità in sole quattro parole:

M ' illumino 

d' immenso.


                                       ***


In precedenza Ungaretti aveva scritto un testo poetico simile " Cielo e terra " , da cui poi fu tratto - per contrazione di tre versi - la poesia che tutti conosciamo. Questa lirica primigenia fu inserita nella raccolta " Allegria " ( 1915 - 1919 )



CIELO  E  MARE


M ' illumino

d' immenso

con un breve

moto

di sguardo.


                                            ***


MATTINA


M ' illumino

d' immenso.




                         Giuseppe  Ungaretti


martedì 7 gennaio 2025

DI GENNAIO , DI NOTTE


                                    L' anima si tiene appena, che non frani nel vuoto...



In questa poesia, Mario Luzi, in un momento di profonda riflessione, ripensa al senso vero della vita e dell' esistenza. La vita scorre inesorabile e il mese di gennaio si pone come crocevia del tempo, l' inizio che guarda alla fine e viceversa, in un continuo e indefinito scorrere di ombre e di luci. Vecchiaia e giovinezza si contrappongono attraverso il ricordo - lontano, ma sempre presente - di una donna amata.





Di Gennaio, di notte

quando lungo le sue vene

lo spazio

trepida per un vento

inesauribile, ravviva

negli alberi speranze

ancora vane

e li sveglia a una vita

ancora incerta,

troppo remota oltre le

cime

e oltre le radici;


nei giorni incerti ai

crocevia del tempo

nelle ore dopo la passione

quando

anche il dolore ha fine

e l' anima si tiene appena

che non frani nel suo vuoto

e si chiede stupita più che

ansiosa

s'è quella l' agonia ch'è in 

ogni inizio

o il termine, il temine di tutto,


e accade che qualcuno

per certezza. per afferrarsi

a un segno

mormori il suo tra il nome

dei suoi cari

ed è strano come murare

lapidi

su case per memoria d' un

passaggio,

d' una sosta nel transitare

eterno,


viso di molto amata un

tempo

che tra pagina e pagina del

libro

 sfogliato senza termine

degli anni

hai la pace che dà l'essere

fiochi

e spenti come la crudele

patina

qualcuno soffia nelle tue

fattezze,

t' eccita , ti richiama al mio

tormento

quale fosti d'età in età,

puerile,

puerile sotto nuvole di

marzo,

giovinetta sgusciata da

anni informi

tra infanzia e pubertà,

donna nel vento.

Frattanto siamo divenuti

grigi.


Esco, guardo addossato ai

muri alti

la mia patria ventosa e

montuosa,

prendo fiato, poi seguo la

via crucis.



                   Mario  Luzi    " Di Gennaio, di notte "  ( 1947 )




giovedì 2 gennaio 2025

LE STAZIONI REMOTE DI STEFANO

 


                                           Sento che è ancora qui l' aria che hai respirato...




Non sono più quello che sembra ritorni

da un lungo viaggio portandoti in regalo

il cappello parigino con le piume

che avevi sognato, ma

sono nel gelo dell' imbarcadero

esattamente dove volevo ti allarmassi

non vedendomi arrivare : il cappotto blu

da chauffeur zuppo di pioggia e nevischio,

il cuore in tumulto per la corsa a perdifiato

tra il finimondo del mercato, il muschio

tra i capelli di chissà quale presepio...

Avevi ragione : resterò per sempre

il ritardatario dall' aria trasognata

che guarda passare le nuvole,

lo scolaro che non sorride

in fondo alla fotografia.



                                                    ***


Rimanga soltanto tra noi

quello che oggi ti scrivo

dai confini del nulla.

Chi l' avrebbe mai detto

la prima volta che ti ho vista

così piccola, timida e spaventata

che ti sarebbe piaciuto fino a questo punto

il rischio estremo di restarmi accanto,

affacciarti ogni giorno sul baratro,

sopportarmi quando dò di matto,

accompagnarmi nella tenerezza,

nella gioia, nella malattia, nel pianto

proteggendomi come se fossi il figlio

che abbiamo desiderato e mai avuto.

Insomma : che ti amassi così tanto.



                                                      ***


Mi piacerebbe aspettarti 

con l' impazienza di un tempo

dalla finestra da cui guardo

la sera scendere tra le barche,

tentare il solitario di carte

che non ti veniva mai,

preparare due ciotole di riso,

del tè cinese e indietreggiare

fino a raggiungere l' attimo

preciso in cui ho gridato

per casa il tuo nome

e mi hai risposto.



                                                   ***


Subdolamente tra le tenebre

stropicciandomi gli occhi,

origliando ( " più in qua,

più in là " ). Chi parla?

Chi mi sfiora la fronte ?

Sono nel labirinto magico

di un luna park accampato

ai margini di un sogno

o è davvero il posto

che immaginavi ? " Un hotel "

dicevi . Sulle palafitte delle tenebre.

Là ci incontreremo ".

Cerco tracce :

le boccettine dei profumi,

le creme per il viso, la cerniera

che non funziona del beauty case,

la pila che usavi per leggere di notte.

Accendila, mandami un segnale.



                                                   ***


Soltanto quando dormo ritorni

con fruscii nel soppalco,

respiri stascicati

e luci di torce in lontananza

come transitassero cacciatori di frodo


o frontalieri. Ma dov'è il confine di gelo

che devo attraversare con il mio zaino

stracolmo di sensi di colpa e neve

fradicia ? E' grande - sostengono -

il desiderio di raggiungerti dove non c'è più luce.


E' per questo allora

che mi danno a rovistare

nel buio dei cassetti con dentro

il tuo leggero profumo di gelsomino ?



                                                      ***


Una fessura dovrà esserci da qualche parte,

una ferita mai rimarginata o spiraglio

dove sgusciare per raggiungerti

adesso che sei pura energia nell' aria.


Forse dovrò aspettare il prossimo inverno

(ti piaceva immensamente l' inverno ),

la cruna del suo gelo da cui passare

con il mio cappotto di cammello

o un percorso più caldo e sinuoso :

l' impianto idraulico, le tubature

che corrono dentro i muri

e lungo i pavimenti


fino ai radiatori

nella cui corrente immobile e calda

potrò nuotarti accanto

evaporando.



                                                 ***


Non ho più bisogno dei morti

volevo scriverti l' altro giorno,

ma oggi sono ritornato

di nascosto nella casa sul porto

e rovisto nel buio dei tuoi cassetti,

tocco alla cieca gli abiti nell' armadio,

la coperta bianca del letto e il comodino

con le macchie incancellabili dei caffè

che non bevi da tanti, troppi risvegli

e sento che è ancora qui l' aria

che hai respirato e respiro

con immutata gioia

e tormento.




                         Stefano  Simoncelli   da   Stazioni remote ( Poesie 2004 - 2020 )