L' anima è ancora mia...
" Mi regalarono un fazzoletto di gigli / e i miei occhi prosciugarono i campi ".
è scritto sulla lapide della poeta lucana : sono gli ultimi versi da lei dettati a questo scopo da un letto d'ospedale. La lapide si trova nel cimitero di San Fele, piccolo borgo montano del Vulture dove Assunta era nata. Nell'impudico trasporto delle invocazioni poetiche della nostra, pare di sentire la voce della grande mistica : il lamento dell'anima sempre protesa verso la luce dell'amore, ma sempre - su questa terra - disamata, quando nessun uomo può essere all'altezza dell'assoluto di passione che solo Dio sa cogliere e contenere. E la poeta lo chiama, quel suo Dio, lo apostrofa con invettive che, dal lamento che le infiamma corpo e anima, si ergono a compianto per l'intera umanità costretta a un'esistenza di dolore.
La malattia che afflisse gli ultimi anni di Assunta, la riportò - dopo anni passati a Roma - a casa, dai suoi cari : " Restate qua... nun me lassate sole, / adducumuate stu delore ca me mange / cume nu verme da u muatine a sere / e de notte quasi sembe venge ille..."
***
Io ti condanno o Dio
a vivere come gli uomini della Terra,
scalzi, ignudi, sempre a faccia in giù,
a dirti grazie della vita che gli hai dato;
ti condanno perché non sai niente,
non sai che il cane morde lo straccione,
non sai che Mariaddolorata
gli occhi abbassa a noi e non ci vede;
io ti condanno per le inquietudini
e per quelli che sono nati malaticci
a bocca piena tu li chiami figli
il tuo però ha gli occhi azzurri e sani.
***
Vuole vedermi morta la gente,
vuole che non respiri più
perché il mio respiro
dà fastidio al sole,
a quel sole che tutti chiamiamo padre
e nessuno ha visto mai.
Morta, sette palmi sottoterra
così non rompo le scatole
a quanti ho creduto amici
e la mano hanno messo sotto il cuore
per raccogliere le lacrime
che sempre va spargendo.
Ma io non muoio
perché sono un brutto ferro,
ho tutto arrugginito
la pancia, il sangue, il cuore,
quel cuore morto ucciso
schiacciato sotto il maglio dei giorni
e ridotto come pelle di ciuccio.
Se è ciuccio,
il destino ha voluto così,
nella corsa con la vita è rimasto indietro
e il sole non ha visto il suo pianto
che gli è arrivata acquasanta
in quel cielo che non crede ai fessi.
Piange, e come piange il ciuccio!
anche se ci sono le margherite
e sbocciano il mese della Signora
il mese delle rose
sono sempre fiori di ciuccio...
Perciò nessuno conosce il suo dolore
quando sogna la morte
e la vede bella come una stella,
come una cometa,
ma la paura lo fiacca
e facesse presto giorno - dice -
per respirare ancora
e dar fastidio al sole.
***
Perché non sono andata innanzi a Dio
quando bimbetta parlavo con gli uccelli,
tagliavo con l'accetta ramoscelli
e le api mettevo nel bicchiere?
Perché m'è rincresciuto farmi fuori
visto che dopo aspettavano al varco
tormenti come pietre nelle scarpe
e una bisaccia addosso per equilibrio?
Perché della terra ho dimenticato i frutti
e di mio padre se mi voleva bene,
perché, perché mi sembra una prigione
la libertà che oggi chiamo padre?
***
Gli uomini per me sono stati chiodi,
cadaveri di sole sopra il fiume,
cerchi di fuoco per stringere la luna
e bruciarla non appena la guardavo.
Se avrà una mala vita cristo mio,
falla morire adesso ancora bambina,
così mamma pregava giorno e notte
pensando di fermare la malasorte.
O mammarella mia, destino e cazzo,
oggi sono una farfalla inamidata,
una donna che non può cambiar la muta
perché il sale, di pietra gliel'ha resa
Quale amore, quale morte, nessuno
può aiutarmi, sono acqua passata,
ramo di pesco dal vento snervato
e finito per condanna a stare in vita.
***
... e abbùffati Padreterno,
hai voluto anche questa prova
non bastavano gli anni passati
che mi hai fatto penare,
adesso puoi star contento
con la Vergine Maria,
Giovanni e Zaccaria,
Michele a roba varia
da chi ora cerchi aiuto?
Il collo mi fa male
e il catetere spodesta
la vena giugulare
la testa sta impazzendo,
mi sento rincoglionita
sono meno di un fantasma
e tu pensi ancora a me...
Ma scordati ch'esisto
hai le tue santarelline
che ti ricordano il mondo,
che ti profumano i piedi
e girati di spalle
l'anima è ancora mia
e il giorno che te la rendo
non sarà una festa
perché la solitudine
ha voluto che diventasse
una mosca cavallina
sulle ferite infette
e non sai che la mia rabbia
come riccio di castagne
punzecchia la paura
facendola lievitare
fino a farmi sentire misera,
una nobiltà fallita,
una stella morta in terra
e spina di baccalà...
E abbùfati Padreterno
ohi lì ohi lì ohi là
e abbùffati Padreterno,
quando mi vuoi, sono qua.
Assunta Finiguerra da Il coraggio del sole
Versi davvero potenti che mi arrivano dritti, dritti per scoppiare proprio dentro all'anima.
RispondiEliminaBelli
Proprio com'era lei: forte e vera.
RispondiEliminaGrazie.