domenica 4 marzo 2018

COSì TI VEDO

 
 
                          
                                              E da lì, dal tuo tempo distante...


Di cosa ti dovrei raccontare, se non di ciò che so di certo.
Ebbene tu, che da un lato e dall'altro
nel silenzio rurale tieni sopra due cavità assorte
la forma convincente dei suoni deposti,
mi chiedi dell'angusta apertura del dire, cosa vedo?

Ora ascolta dunque:
io vedo il tuo viso, ascetico osservare,
è nudo accadere, poiché nient'altro ti circonda.
Così la tua fronte è un campo calato
che pesti in lento salire fino a casa - la sera.
E lì, sotto al campo due cardi taglienti,
sono gli occhi di una vita raccolta.
Solitudini in fiore lasciate lì a terminare il settembre.

Ostensione il tuo viso, è quantità dei giorni riscossa
in fascio,
ha in mezzo un monte e lì un sacrificio accolto
con due solchi di pastura che nulla sanno di odori
e profumi.
Questo vedo e non oltre.
Mi basta la tua sacra immagine del vero.





Ho compreso, colmato di carezze il silenzio,
ho trasportato il suo acume dalla tua carità alle mie orecchie,
per non ricusare, oppormi alla tua quiete.
Mi hai portata nella tua mancanza di suono,
nel non dire, tra le pause della tua voce
e mi hai accompagnata fino all'assenza totale dei rumori.
Ho capito l'astensione del parlare,
la muta esistenza del corpo.
Mi hai dato in mano il suo accordo all'abbandono
delle richieste, dei tuoi desideri.
Mi hai consegnato tutto nella tua privazione
e senza rimpianto e senza nostalgia da un giorno all'altro
non hai più detto, non hai proferito, non risposto, non hai capito.
E da lì, dal tuo tempo distante, coerente luogo il tuo,
non hai cambiato silenzio, non lo hai più tradito.


            Roberta  Dapunt    da     Le beatitudini della malattia


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