lunedì 12 maggio 2025

LA MADRE CHE RESTA

 



                                                                   Stavo per trasformarmi in madre...




Nominare la perdita, dare voce al non vissuto. Risemantizzare un presente negato, un corpo che cresce e langue nella deflagrazione della mancanza. Non conosce retorica la scrittura di Patrizia  Baglione, è carne viva che sanguina, è vetro di carta che germoglia in un vuoto che fa male. E' il corpo che si fa verbo e che in questo verbo poetico si scopre parola di pietra, voce che è tutto ciò che resta alla madre, un corpo mutilo che cerca se stesso in un grembo vuoto.






Chiedo in modo semplice

di essere figlia tra le rovine,

madre che supplica

l' aria che respira;

attenta alla bocca

intrisa di luna

moltiplicando il verbo

all' infinito.


                                                     ***


Provo a scrivere parole

su cui posare il capo; viso

che cede al  minimo gesto.

Non ha avuto terra la mia costola,

né occasioni di cospargersi

nel bianco dell' ultimo occhio.

Sono senza storia le mie ferite:

uno sguardo nel vuoto, l' altro

nel petto.



                                                 ***


Mi somigli nei tagli delle mani,

lungo la linea della bocca,

nello spazio che ti rende vivo

e quello che ti strugge.

Piccolo corpo, sei, dentro il mio.

Quantità assoluta 

di un bene mai provato.

Cordone,

anima, pancia.


Ancora di salvezza

senza nemmeno arrivare a fondo.



                                              ***


Voglio adottarmi intera,

imparare a tremare,

vedermi unita, mai più separata

un pezzo a destra, l' altro,

a sinistra - combattuta

pure di me stessa.

Accogliere la paura

fiorire in trasparenza,

voglio smettere di morire

un po' alla volta.



                                                 ***


C' eravamo quasi.


Potevo scegliere un nome,

immaginare un volto,

sollevare in alto le pietre.


Stavo per trasformarmi

in madre - la tua.


Fatta di vetro, 

in abito di carta; madre

come onda di fiume.



                                                ***


Esiste un tempo in cui la morte

abbraccia attenta pure i vivi.

Col passo levigato come marmo,

essa ci appartiene - ci è madre.

Lo sai. C'è stato un tempo in cui

anch'io avrei potuto esserlo.

Ti immagini, figlio caro,

con quali braccia, occhi,

gambe, cuore, lo sarei stata.



                    Patrizia Baglione   da   Madre che resta



2 commenti:

  1. Un dolore attento, desto, posato su parole mature e soffici. Eppure è crudo e meglio colpisce perchè gentilmente espresso.
    Fossi quel figlio, amerei mia madre senza condizioni. E anche se per breve tempo, penso l'abbia fatto.

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  2. Bello e molto intenso il tuo commento nella descrizione di questa madre mancata, che dà parola a chi non è stata concessa questa gioia. Mi ha colpito molto l' aggettivo che hai usato per definire le parole dell' autrice " soffici ". Definire soffici le parole che esprimono un dolore di tipo materno,
    (viscerale ), è un' intuizione che solo una donna può avere.
    Grazie, Sari.

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