Provo a scrivere parole
su cui posare il capo; viso
che cede al minimo gesto.
Non ha avuto terra la mia costola,
né occasioni di cospargersi
nel bianco dell' ultimo occhio.
Sono senza storia le mie ferite:
uno sguardo nel vuoto, l' altro
nel petto.
***
Mi somigli nei tagli delle mani,
lungo la linea della bocca,
nello spazio che ti rende vivo
e quello che ti strugge.
Piccolo corpo, sei, dentro il mio.
Quantità assoluta
di un bene mai provato.
Cordone,
anima, pancia.
Ancora di salvezza
senza nemmeno arrivare a fondo.
***
Voglio adottarmi intera,
imparare a tremare,
vedermi unita, mai più separata
un pezzo a destra, l' altro,
a sinistra - combattuta
pure di me stessa.
Accogliere la paura
fiorire in trasparenza,
voglio smettere di morire
un po' alla volta.
***
C' eravamo quasi.
Potevo scegliere un nome,
immaginare un volto,
sollevare in alto le pietre.
Stavo per trasformarmi
in madre - la tua.
Fatta di vetro,
in abito di carta; madre
come onda di fiume.
***
Esiste un tempo in cui la morte
abbraccia attenta pure i vivi.
Col passo levigato come marmo,
essa ci appartiene - ci è madre.
Lo sai. C'è stato un tempo in cui
anch'io avrei potuto esserlo.
Ti immagini, figlio caro,
con quali braccia, occhi,
gambe, cuore, lo sarei stata.
Patrizia Baglione da Madre che resta
Un dolore attento, desto, posato su parole mature e soffici. Eppure è crudo e meglio colpisce perchè gentilmente espresso.
RispondiEliminaFossi quel figlio, amerei mia madre senza condizioni. E anche se per breve tempo, penso l'abbia fatto.
Bello e molto intenso il tuo commento nella descrizione di questa madre mancata, che dà parola a chi non è stata concessa questa gioia. Mi ha colpito molto l' aggettivo che hai usato per definire le parole dell' autrice " soffici ". Definire soffici le parole che esprimono un dolore di tipo materno,
RispondiElimina(viscerale ), è un' intuizione che solo una donna può avere.
Grazie, Sari.