giovedì 19 dicembre 2024

QUARANTADUE LAMENTAZIONI DI GEREMIA

 


                                                  Con una nebbia che sfuma e poi sfuma...



La felicità è inafferrabile, la sofferenza si può abitare, ha un volto, non ti abbandona. E in fondo c'è la soglia ultima di un " dopo " irrevocabile, che porta altrove l' immaginazione o la annichilisce. Nel testo di Beatrice Zerbini la morte appare quale impulso metafisico capace di abbracciare la vita con tutte le paure e le sofferenze che impastano questo nostro stare al mondo. La parola poetica , d' altro canto, è capace di portare a presenza e di mescolare l' accaduto con il non accaduto, trattenendo un corpo di ricordi tanto ostinato quando doloroso, oppure scandito dall' aperura e dalla compassione per il flusso che continua. La morte è paura di morire, perdita di una persona cara, con tutto il dolore che questo comporta, seppure nella poeta prevale il senso di un voler bene, in una vicinanza di spirito che non si estingue.




Il compleanno dei morti

si festeggia da soli

in un segreto

che non fa scalpore.


I pasticcini sono mòniti e puntelli

di cose fatte

e indietro

e spente;


i salatini polpastrelli

esausti

che mollano la presa;


i cappellini degli invitati ignari

sono abusi

di fantasie.


E sui bicchieri bianchi

sparsi

alla tavola dei restanti

c'è scritto :

perché

perché

perché,

da non confonderci.


Al compleanno dei morti, i regali

implodono, mine

sulle vetrina da fuori

sono colori che ti piacevano

e ossessioni tue

e prese in giro che se tu fossi...

Ma non sei.


Al posto

degli applausi, stare zitti,

al posto delle orecchie

da tirare, gli occhi

che sono cento o forse

uno solo, immenso ;


dei cappotti sul letto,

un vago freddo ;

delle risate in sala

una fitta;

al posto degli auguri

una poesia non letta.



                                                  ***


Ti scrivo da un aeroporto,

dal margine

della sala d' attesa. Fra poco

sarò così vicina 

a te che ti sperdi

fra le nuvole, che spargi

ciò che era il movimento

in ciò che non si muove.


Sto arrivando, sto

per mettere la testa negli azzurri.


Ti mando questo 

pensiero come a dirti

spero dove sei tu ora, che

tu stia bene e che il tuo cuore

continui a battere veloce, che tu

abbia tempo 

per riposare e che mi pensi

ogni tanto e sappia

con chi parlo quando è a te

che non posso parlare.



                                              ***


Il cadavere dei cani non è

come quello di noi umani.


Nessun pallore,

la bocca non è aperta

e non è bocca;

solo il respiro si assomiglia,

l' abbassarsi del petto

come una nebbia che sfuma e poi sfuma,

finché tutto

all' improvviso è chiaro.



                                                ***


Tu che non sei

tu c'eri un giorno;


non scuoto, trattengo immobile

il tuo miracolo disabitato

adesso


sfiori di te

quel che rimane : fredda

la tua febbre

sul mio termometro.



                                                   ***


Ho paura che sia

per dolori differenti,

ma le guance sono tiepide

come le pietre prima

che si spezzi il lago; sono forse

le nostre infanzie che non si incontrano.

Vestiamo insieme queste bambole

che non vogliono mangiare.




                   Beatrice  Zerbini    da    Quarantadue



3 commenti:

  1. In questi versi leggo - come viene sottolineato - ostinazione. Quasi fastidiosa infine. Come si dovesse sottolineare a più riprese l'assenza, il non esserci. Paura di dimenticare e quindi un infinito sottolineare? Non riesco a mettere a fuoco le esigenze, il fine ultimo, o lo confondo io con bisogni che non mi appartengono e che i versi di Beatrice non riescono a far sentire miei. Ad esempio io so a chi parlo mentre parlo a chi non potrei parlare, e lei mi ascolta. Ma ripeto, sono suggestioni personali, punti di vista soggettivi, condivisibili o meno.

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  2. Sono condivisibili, almeno da parte dei critici, che convengono che questo testo non è' del tutto convincente perché ci sono ripetizioni di uno stesso concetto del tutto superflue ( come giustamente hai sottolineato anche tu ).
    Dirò a te - però - e al lettori, il significato di questo numero come titolo della raccolta , spiegato dall' autrice stessa :
    " Il titolo viene da una serie di fatti che mi sono capitati, a seguito di un grave lutto che ha sconvolto la mia vita. A un certo punto ho cominciato a vedere dappertutto il numero 42, persino ad ascoltarlo. Un giorno, nel pieno del dolore paralizzante, mentre mi trovavo in un negozio, è partita in sottofondo una canzone che mi ha fatta sentire accarezzata ; era 42, del Coldplay, un brano che dice così : " I morti non sono morti / ma vivono sempre nei miei pensieri/ E da quando sono caduto in quell' incantesimo ci vivo anch'io / 42 ". Ed ecco apparirmi quel numero su tabelloni, orari, scontrini, cartelli, targhe e chilometri a segnare momenti decisivi. Sono arrivata a convincermi che i miei morti continuino a dirmi che mi amano e che lo facciano con il linguaggio dei numeri. Questo libro perciò è un dialogo aperto con chi è assente, con chi non risponde, ma non lo fa fino in fondo ".

    Ti ringrazio - Franco - per questo commento che mi ha dato l' opportunità di fornire qualche altro chiarimento, il che - in fondo- è anche uno degli scopi di un dialogo.
    Buona giornata !

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  3. L'avrei postata a questo punto 42 dei Coldplay, che amo (come tutti i Coldplay.. ).
    E hai ragione, si dialoga amabilmente..

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