Con una nebbia che sfuma e poi sfuma...
La felicità è inafferrabile, la sofferenza si può abitare, ha un volto, non ti abbandona. E in fondo c'è la soglia ultima di un " dopo " irrevocabile, che porta altrove l' immaginazione o la annichilisce. Nel testo di Beatrice Zerbini la morte appare quale impulso metafisico capace di abbracciare la vita con tutte le paure e le sofferenze che impastano questo nostro stare al mondo. La parola poetica , d' altro canto, è capace di portare a presenza e di mescolare l' accaduto con il non accaduto, trattenendo un corpo di ricordi tanto ostinato quando doloroso, oppure scandito dall' aperura e dalla compassione per il flusso che continua. La morte è paura di morire, perdita di una persona cara, con tutto il dolore che questo comporta, seppure nella poeta prevale il senso di un voler bene, in una vicinanza di spirito che non si estingue.
Il compleanno dei morti
si festeggia da soli
in un segreto
che non fa scalpore.
I pasticcini sono mòniti e puntelli
di cose fatte
e indietro
e spente;
i salatini polpastrelli
esausti
che mollano la presa;
i cappellini degli invitati ignari
sono abusi
di fantasie.
E sui bicchieri bianchi
sparsi
alla tavola dei restanti
c'è scritto :
perché
perché
perché,
da non confonderci.
Al compleanno dei morti, i regali
implodono, mine
sulle vetrina da fuori
sono colori che ti piacevano
e ossessioni tue
e prese in giro che se tu fossi...
Ma non sei.
Al posto
degli applausi, stare zitti,
al posto delle orecchie
da tirare, gli occhi
che sono cento o forse
uno solo, immenso ;
dei cappotti sul letto,
un vago freddo ;
delle risate in sala
una fitta;
al posto degli auguri
una poesia non letta.
***
Ti scrivo da un aeroporto,
dal margine
della sala d' attesa. Fra poco
sarò così vicina
a te che ti sperdi
fra le nuvole, che spargi
ciò che era il movimento
in ciò che non si muove.
Sto arrivando, sto
per mettere la testa negli azzurri.
Ti mando questo
pensiero come a dirti
spero dove sei tu ora, che
tu stia bene e che il tuo cuore
continui a battere veloce, che tu
abbia tempo
per riposare e che mi pensi
ogni tanto e sappia
con chi parlo quando è a te
che non posso parlare.
***
Il cadavere dei cani non è
come quello di noi umani.
Nessun pallore,
la bocca non è aperta
e non è bocca;
solo il respiro si assomiglia,
l' abbassarsi del petto
come una nebbia che sfuma e poi sfuma,
finché tutto
all' improvviso è chiaro.
***
Tu che non sei
tu c'eri un giorno;
non scuoto, trattengo immobile
il tuo miracolo disabitato
adesso
sfiori di te
quel che rimane : fredda
la tua febbre
sul mio termometro.
***
Ho paura che sia
per dolori differenti,
ma le guance sono tiepide
come le pietre prima
che si spezzi il lago; sono forse
le nostre infanzie che non si incontrano.
Vestiamo insieme queste bambole
che non vogliono mangiare.
Beatrice Zerbini da Quarantadue
In questi versi leggo - come viene sottolineato - ostinazione. Quasi fastidiosa infine. Come si dovesse sottolineare a più riprese l'assenza, il non esserci. Paura di dimenticare e quindi un infinito sottolineare? Non riesco a mettere a fuoco le esigenze, il fine ultimo, o lo confondo io con bisogni che non mi appartengono e che i versi di Beatrice non riescono a far sentire miei. Ad esempio io so a chi parlo mentre parlo a chi non potrei parlare, e lei mi ascolta. Ma ripeto, sono suggestioni personali, punti di vista soggettivi, condivisibili o meno.
RispondiEliminaSono condivisibili, almeno da parte dei critici, che convengono che questo testo non è' del tutto convincente perché ci sono ripetizioni di uno stesso concetto del tutto superflue ( come giustamente hai sottolineato anche tu ).
RispondiEliminaDirò a te - però - e al lettori, il significato di questo numero come titolo della raccolta , spiegato dall' autrice stessa :
" Il titolo viene da una serie di fatti che mi sono capitati, a seguito di un grave lutto che ha sconvolto la mia vita. A un certo punto ho cominciato a vedere dappertutto il numero 42, persino ad ascoltarlo. Un giorno, nel pieno del dolore paralizzante, mentre mi trovavo in un negozio, è partita in sottofondo una canzone che mi ha fatta sentire accarezzata ; era 42, del Coldplay, un brano che dice così : " I morti non sono morti / ma vivono sempre nei miei pensieri/ E da quando sono caduto in quell' incantesimo ci vivo anch'io / 42 ". Ed ecco apparirmi quel numero su tabelloni, orari, scontrini, cartelli, targhe e chilometri a segnare momenti decisivi. Sono arrivata a convincermi che i miei morti continuino a dirmi che mi amano e che lo facciano con il linguaggio dei numeri. Questo libro perciò è un dialogo aperto con chi è assente, con chi non risponde, ma non lo fa fino in fondo ".
Ti ringrazio - Franco - per questo commento che mi ha dato l' opportunità di fornire qualche altro chiarimento, il che - in fondo- è anche uno degli scopi di un dialogo.
Buona giornata !
L'avrei postata a questo punto 42 dei Coldplay, che amo (come tutti i Coldplay.. ).
RispondiEliminaE hai ragione, si dialoga amabilmente..