venerdì 7 luglio 2023

L' ULTIMO CANTO DI SAFFO

 


                                                                                     Saffo






Placida notte, e verecondo 

raggio

della cadente luna; e tu che

spunti

fra la tacita selva in su la

rupe,

nunzio del giorno; oh

dilettose e care

mentre ignote mi fur l' Erinni e

il fato,

sembianze agli occhi miei;

già non arride

spettacol molle ai disperati

affetti.

Noi l'insueto allora gaudio

ravviva

quando per l'etra liquido si

volve

e per i campi trepidanti il

flutto

polveroso de' Noti, e quando

il carro,

grave carro di Giove a noi sul

capo,

tonando, il tenebroso aere

divide.

Noi per le balze e le profonde

valli

natar giova tra' nembi, e noi

la vasta

fuga de' greggi sbigottiti, o

d'alto

fiume alla dubbia sponda

il suono e la vittrice ira

dell'onda.


Bello il tuo manto, o divo

cielo, e bella

sei tu, rorida terra. Ahi di 

cotesta

infinita beltà parte nessuna

alla misera Saffo i numi e

l'empia

sorte non fenno. A' tuoi

superbi regni

vile, o natura, e grave ospite

addetta,

e dispregiata amante, alle

vezzose

tue forme il core e le pupille

invano

supplichevole intendo. A me

non ride

l' aprico margo, e dall'eterea

porta

il mattutino albor; me non il

canto

de'  colorati augelli, e non de'

faggi

il murmure saluta; e dove

all'ombra

degl' inchinati salici dispiega

candido rivo il puro seno, al

mio

lubrico piè le flessuose linfe

disdegnando sottragge,

e preme in fuga l'odorate

spiagge.


Qual fallo mai, qual sì

nefando eccesso

macchiommi anzi il natale,

onde sì torvo

il ciel mi fosse e di fortuna il

volto?

In che peccai bambina, allor

che ignara

di misfatto è la vita, onde poi

scemo

di giovinezza, e disfiorato, al

fuso

dell'indomita Parca si

volvesse

il ferrigno mio stame?

Incaute voci

spande il tuo labbro: i

destinati eventi

move arcano consiglio.

Arcano è tutto,

fuor che il nostro dolor,

negletta prole

nascemmo al pianto, e la

ragione in grembo

de' celesti si posa. Oh cure,

oh speme

de' più verd'anni! Alle

sembianze il Padre,

alle amene sembianze eterno

regno

diè alle genti; e per virili

imprese,

per dotta lira o canto,

virtù non luce in disadorno

ammanto.


Morremo. Il velo indegno a

terra sparto,

rifuggirà l'ignudo animo a

Dite,

e il crudo fallo emenderà del

cieco

dispensator de' casi. E tu cui

lungo

amore indarno, e lunga fede,

e vano

d' implacato desìo furor mi 

strinse,

vivi felice, se felice in terra

visse nato mortal. Me non

asperse

del soave licor del doglio

avaro

Giove, poi che perir gl'inganni

e il sogno

della mia fanciullezza. Ogni

più lieto

giorno di nostra età primo

s'invola.

Sottentra il morbo, e la

vecchiezza, e l'ombra

della gelida morte. Ecco di

tante

sperate palme e dilettosi

errori,

il Tartaro m' avanza; e il

prode ingegno

han la tenaria Diva,

e l'atra notte, e la silente riva.




              Giacomo Leopardi  da   Canti 



2 commenti:

  1. Insuperata, anche dopo due secoli di poesie.
    Amo moltissimo questo monologo, questa riflessione, questo MORREMO. che rimbomba come un'eco, come l'ultimo rintocco di una campana.

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  2. Hai detto bene : insuperato rimane questo Canto, monologo accorato sul senso della vita( " Arcano è tutto, fuor che il nostro dolor , negletta prole nascemmo al pianto..." ) e della morte ( " Morremo. .. rifuggirà l'ignudo animo a Dite... ) nonché il penoso senso di ingiustizia ( " In che peccai bambina ancorché ignara di misfatto è la vita... " ). Il tutto visto dall'alto con indifferenza ( motivo caro e consueto in Leoperdi ,"Placida notte e verecondo raggio della cadente luna... già non arride spettacol molle ai disperati affetti..." ). Insuperabile ancora la musicalità di questa lirica, anche ( o forse proprio a causa di ) per l'uso di termini ed echi arcaici che tanto pregni di significati espressi e reconditi giungono ai nostri orecchi e al nostro cuore.

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