giovedì 27 luglio 2023

LA POESIA DI HILDE

 


                                                                Scherziamo con gli addii...




Hilde Domin, nata nel 1909 e morta all'età di 96 anni, vinse quasi tutti i premi letterari e culturali tedeschi. Indubbiamente la sua storia di vita ha contribuito a questo ampio fascino: figlia di un avvocato, Hilde Lowenstein è cresciuta in una ricca famiglia ebrea a Colonia, studiando poi all'Università di Heidelberg e  Berlino. Si sposò e visse col marito per un certo periodo a Roma e a Firenze, dove conseguì il dottorato in politica rinascimentale. L' avvento della guerra, però, cambiò tutto e Hilde e il marito fuggirono in Inghilterra dove entrambi insegnarono nel 1939- 40. L' offerta del sonnifero Veronal da parte di un medico inglese, con il suggerimento di non farsi catturare dai nazisti, li convinse ad andare più lontano e così si stabilirono a Santo Domingo, dove Hilde insegnò all' Università, e dove assunse il nom- de- plume Domin in onore alla patria che l'aveva salvata.





PAROLE


Le parole sono melograne

mature,

cadono a terra

e si aprono.

Tutto l'interno si volge

all'esterno,

il frutto denuda il proprio

segreto

e mostra il suo seme,

un segreto nuovo.



                                                 ***


PAESAGGIO IN MOVIMENTO


Si deve saper andare via

e tuttavia essere come un

albero:

come se le radici rimanessero

nel terreno,

come se il paesaggio si

muovessero e noi restassimo

fermi.

Si deve trattenere il fiato,

finché si calma il vento

e l'aria estranea inizia a

girarci attorno,

finché il gioco di luci e ombre,

di verde e di blu

crea gli antichi disegni

e siamo a casa,

ovunque essa sia,

 e possiamo sederci e

appoggiarci,

come se fossimo alla tomba

di nostra madre.



                                               ***


CON L'AVALLO DELLE NUVOLE


Ho nostalgia di una terra

in cui non sono mai stata,

dove tutti gli alberi e i fiori

mi conoscono,

dove non vado mai,

dove però le nuvole

si ricordano bene

di me,

straniera,

che non ho casa in cui

piangere.

Vado

verso un'isola senza porto,

butto in mare le chiavi

già alla partenza.

Non arrivo da nessuna parte.

La mia tela è come una

ragnatela al vento,

ma non si strappa.

E oltre l'orizzonte

dove i grandi uccelli

asciugano le ali al sole

alla fine del volo,

c'è una terra

dove mi si deve accettare

senza passaporto,

con l'avallo delle nuvole.



                                            

                       Hilde Domin   da   Con l'avallo delle nuvole



2 commenti:

  1. Commovente la sua storia (tipica degli ebrei più "fortunati") e belle le poesie con quell'inequivocabile timbro di esule alla ricerca di un luogo mai completamente suo.

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  2. Mi piace rispondere al tuo commento con un passaggio del Saggio " Il componimento poetico come attimo di libertà " del 1993 che può chiarire quale fosse per Domin la " necessità di scrivere" ( anche dopo il nazismo. La prima poesia della poeta risale infatti al 1951, in occasione della morte della madre ) . Farà ritorno in Germania nel 1954 :

    (...) A quale scopo leggere poesia? A quale scopo scrivere poesie? E quando si chiede così, sembra quasi che si dica " ancora oggi? ". Come se ieri avesse avuto un senso ciò che oggi necessita di giustificazione. Due risposte estreme vengono subito alla mente, entrambe in senso negativo. La prima nega nega la domanda in sé : qui non ci va nessun " a quale scopo" come l'arte tutta: la poesia è fine a se stessa, oggi e sempre. Ma è proprio questo il punto : ciò che ha a che fare con la verità è fine a se stesso, il che vuol dire inutile e necessario al tempo stesso. E qui si tratta di provare questa necessità. La seconda risposta nega l'oggetto della domanda in sé : in una società come la nostra bisognerebbe fare qualcosa di utile " cambiare davvero" la realtà. Ma l'arte non cambia la realtà. Meglio studiare la pagina politica dei quotidiani piuttosto che leggere o scrivere poesie. Il che non solo non è una vera alternativa, ma in sostanza è solo la ripetizione della logora e da tempo constatazione di Adorno che scrivere liriche dopo Auschwitz sarebbe impossibile. E cioè che la lirica, di questi tempi, non basta più per agire sulla realtà . (...)

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