Accoglierti, lasciarti fiorire...
Questa porzione d' aria che mi vive
e che sorvola lenta
appena oltre un giogo di colline
la lunga cavalcata della luce
fino al suo largo respiro di crepuscolo,
le danno il nome d'anima, di voce
che varca e che riassume in un'immagine
la distesa vischiosa dei frammenti
attraversata dal vento.
Anima sarebbe invece
ridursi alla clausura del mio limite,
trovare la misura della carne,
il suo ostinato indossare la vita.
Se la materia è immobile, conclusa,
bisogna essere esatti, definirsi,
per imparare dalle creature minime
la geometria segreta della croce.
***
Sapersi limitati, gravitati
occupare spazio, essere d'ingombro.
Sapienza remotissima del corpo,
del suo non essere
se non in opposizione.
Te lo dice quel poco d'acqua e schiuma
che sborda dal profilo della vasca
e si fa lago in terra, superficie
specchio; il volume della carne
e del principio di Archimede svela
che si è impermeabili, organismi
rigorosi, ermetici.
( Domani Cristo lo appendono alla croce,
lo innalzano, vessillo o banderuola,
al legno che si flette sotto al peso.
Eppure le Scritture, se non mentono,
raccontano che altri insieme a lui
se ne stanno coi chiodi nelle vene,
figli e fratelli dello stesso male.
Corpo vile,
materia su materia, legno e ferro,
come la spoglia ammollo nella vasca.
Materia su materia, corpo vile
che non si oppone al mondo, lo contiene ).
***
Guardiamo un porno abbracciati nel letto.
Quell'aldilà del corpo sullo schermo
si fa specchio convesso, corrisponde
in maniera puntuale a quel che siamo,
una creatura che fa violenza all'altra,
un amore gigante che non sa essere
che la negazione di se stesso, lo sfogo
di una grossa nevrosi di controllo.
Se tocco la tua pelle la confondo
con la mia, non so dove finisca e dove tu
hai luogo.
Dovrebbe essere questo amore,
qualcosa come il vertere espirazione
in inspirazione, uno spazio scomparso
di cui però percepisci l'esistenza.
Accoglierti, lasciarti fiorire dentro e ai lati
di questa mia galera di rigore,
come la sillaba che fora il verso
e lo trasforma in ritmo naturale e vivo,
una balbuzie sciocca e incomprensibile
che dà senso alla vita, la riforma.
***
Sulla barca tu dormi. Dormi e una coppia
di anziani si protende nell'ardire
di un bacio oltre il bianco di ringhiera
che ci salva dall'acqua.
Le mie mani
rimangono distanti dal tuo sonno
nascosto dal cappello e dal pareo
che copre nero per metà il tuo candore.
I cerotti si imbrattano di sangue sulla barca,
i tagli delle dita ricompongono
la tua costellazione di dolore.
Lo scafo sminuzza la spuma
mandandola in frantumi come il vetro
che poche ore di qua da questo imbarco
mi conficcavo in mano come chiodi
per immobilizzarmi, per avere
un idolo da infrangere in contraccambio
della tua liberazione da me stesso.
Sono queste le firme che mi restano
del tuo passaggio di cometa, una lama appuntita
che corrode e squarta, scuoia e sbrana
fino all'osso della mente.
Dicevano di scrivere col sangue,
ma adesso che la penna è insostenibile e cadendo
imbeve d'inchiostro la pagina bianca
mischiando il nero al rosso, il rosso al nero,
adesso che le bende mi si staccano e rimargina
la cruna di dolore sulle impronte,
ricordo quella volta quando, dopo
l'amore, per gioco mi scrivesti
con le unghie il tuo nome
fra le scapole aperte, impreparate
al bisturi feroce dell'affetto.
Sulla barca tu dormi. Forse ignara
di me che guardando le mie mani rosse
ricerco fra le scapole il tuo nome.
Siamo stati anche questo, segnature
profonde nella pelle, cicatrici dell'epidermide.
Michele Bordoni da Poesia contemporanea