Oggi - 8 Marzo - per la Giornata Internazionale della Donna, propongo la lettura di alcune poesie forse inconsuete : non si tratta della Donna Angelicata dei poeti dello Stil Novo; o della Donna Regina del Focolare di tante fiabe di un tempo ormai passato; né della Donna celebrata dal Romanticismo ispiratrice ( a volte ) di tragiche passioni; né del prototipo della Donna in Carriera o quella onnipresente alle Sfilate di Moda a dettar legge su come dovremmo esteticamente essere; e neppure della Donna - Barbie ( come usa adesso ) sempre ferma ai trent' anni... ma di quella che è composta dalla parte più nascosta ( o forse indicibile ) della sua essenza di femmina...
INNO ALL'UTERO
La prima cosa
che ho saputo di te
è stato un discorso di fretta:
ti chiamavano casetta di
carne,
ti avrebbero abitato
strani bambini trasparenti
fatti di vene e pelle
sottilissima;
spiati per un attimo
sull'enciclopedia ho
saputo di te
quando già
mi avevi rigato le gambe
di sangue caldo:
ero una giovane bestia
con la testa scurissima
i sogni malati
il corpo sordo,
ero piccolissima
o forse mai nata e tu
eri già l'utero
di una donna avevo
paura di te,
la violenza del pene
era la giusta risposta
alla tua schifosa
dimostrazione di esistere è
successo di colpo
non hai sanguinato più,
il mio seno è ingrossato
il mio stomaco ha avuto
fame
e nausea
nausea
e fame
canzone monotona
e assurda
domande notturne
lunghe ore
di corpo nudo
di profilo
allo specchio,
non eri mai morto
stavi fabbricandomi
un bambino
il mio cervello
è partito di corsa
dopo tante amicizie
e alleanze
contro di te,
se n'è andato
senza un saluto
ho fatto l'aborto
anche se amavo
quel bambino abbozzato
incosciente
identico a me
e tu da sasso
sei diventato ghiaia
e poi sabbia
e poi acqua
e poi fiume
e poi sangue
e ho parlato co
e ho capito te,
ti ho sentito
e difeso
e la mia nuova coscienza
è nata dal tuo sangue
che è il mio
e la nuova coscienza
è fatta finalmente
anche di carne
e tu sei una bomba
dentro di me
pronta a vendicare
il mio lungo sonno
schizofrenico
e tu ora
non devi più soffrire,
combatterai con la mia testa
ma questa volta
sarete dalla stessa parte.
Chandra Livia Candiani da Ascolta: questa voce non può essere perduta. Poesia femminista.
***
PER LA MIA ULTIMA MESTRUAZIONE
allora ragazza, arrivederci,
dopo trentotto anni,
trentotto anni e non
sei mai arrivata
- splendida nel tuo vestito
rosso -
senza qualche problema
da qualche parte, per qualche
motivo.
adesso è finita,
e mi sento proprio come
quelle nonne che,
dopo che la ragazzaccia che
erano se n'è andata,
siedono tenendo la sua foto
tra le mani,
sospirando " non era
bellissima?" non era
bellissima?".
Lucille Clifton da Nuovi poeti americani
***
DONNA SENZA FIGLI
L ' utero
scuote il guscio, la luna si
separa
dai rami e non arriva.
Il mio ambiente è una mano
senza le linee, vie
strette in un nodo, io
io la rosa che adempi, io -
sono il corpo,
sono l'avorio
empio come uno strillo.
Questo ragno che sono
crea specchi docili alla mia
figura.
Emissioni di sangue
e basta - Prova il rosso!
E questo bosco funebre
questa collina e questo
effetto luccicante
delle bocche dei morti.
Sylvia Plath ( Trad. di M. Sannelli )
***
IL CICLO
a quanto pare è una
mancanza di tatto
dire pubblicamente che ho il
ciclo
perché l'effettiva biologia
del mio corpo è troppo
concreta
è accettabile vendere ciò
che sta fra due gambe di
donna
più di quanto non sia
accettabile
nominarne i meccanismi
interni;
l'uso ricreativo di
questo corpo è ritenuto
bello mentre
la sua natura è
ritenuta brutta.
Rupi Kaur da Milk and honey
***
SANGUE
Le ragazze indiane
cominciavano prima
a mestruare. Così diceva mia
madre.
( O così mi pareva avesse
detto ).
E mi raccontò di Neema
che un certo solenne
pomeriggio,
era venuta in visita, anni
prima,
si era seduta nel giardino
roccioso
e aveva dato il mio nome alla
sua bambola.
Una ragazza graziosa e
raffinata, cui
era presto toccato
quell'incredibile
gocciolìo su una specie di
benda,
nominata solo per le sue iniziali,
che si portava
misteriosamente tra le gambe.
E io, ero più indiana o più
inglese?
Ero confusa, come sarei
sempre stata
ogni volta che il mio sangue
gocciolava
regolarmente nel mondo
esterno.
Avrei persino corso con
quell'impaccio,
goffa, nella gara con l'uovo nel
cucchiaio,
l'avrei trattenuto nello sforzo di
passare
un'arancia stretta sotto il
mento,
le mani legate dietro la
schiena.
Moniza Alvi da Un mondo diviso
Nessun commento:
Posta un commento