Sia sempre in voi la radice dell' amore, perché solo da questa radice può scaturire l' amore.
Amate, e fate ciò che volete.
L' amore nelle avversità sopporta, nella prosperità si modera, nelle sofferenze è forte, nelle opere buone è ilare, nelle tentazioni è sicuro, nell' ospitalità generoso, tra i veri fratelli lieto, tra i falsi, paziente.
E' l' anima dei Libri sacri, è virtù della profezia, è salvezza dei Misteri, è forza della scienza, è frutto della Fede, è ricchezza dei poveri, è vita di chi muore.
Migrazione, provvisorietà, stato di necessità sono dimensioni costitutive dell' essere umano, creatura sempre immemore delle proprie alterne sorti e dell' oscurità improvvisa che può impadronirsi di ogni esistenza. Ma nell' ombra di ogni perdita e impermanenza, nel dolore che si annida in ogni vissuto, c'è un punto radioso che - se scavato con grazia - ha in sé un portato chiaro, radicato in un bene inestinguibile : figure femminili tutelari, sacralità dell' amore e del desiderio, fondali d' impronta celeste che racchiudono sogni vivi e lucenti nel proprio morbido grembo. La poeta non ignora il pianto, la separazione, ciò che finisce o fallisce ma - al mancato - si espone, si piega e conosce rifugi che ancora sanno l' incanto della gentilezza. L' amicizia, il ricordo, le abitudini condivise, le promesse e le transizioni esistenziali, affiorano dall' accostamento - o dallo scontro - della sfera pubblica e di quella privata, persino da quelle relazioni ipotetiche nate nel solco di affinità elettive mai realizzate : " Eppure non ci siamo mai incontrati / solo un suono che lega le palpebre / il nostro modo di parlare col vento ".
La " Guarigione del cieco nato " è l' ultimo dei miracoli di Gesù narrato da Marco, quello definitivo prima di entrare in Gerusalemme. Come a dire che per comprendere il senso della croce, abbiamo bisogno di guardarla con gli occhi della fede. Il cieco , consapevole della sua infermità, torna a vedere, mentre i discepoli restano ciechi pur avendo gli occhi ( Un conto è guardare, un conto è vedere ). Questo cieco che implora è icona di ogni uomo che mendica luce, compassione. L' evangelista Marco descrive non solo il racconto di una guarigione, ma anche il prototipo del discepolo e del suo cammino : l' ascolto, la preghiera, la chiamata, l' incontro personale con Gesù e la sequela. Nel Vangelo di Marco, il cieco guarito è l' unico discepolo che segue Gesù ad occhi aperti; poi - sul Golgota - sarà il centurione il primo a " vedere", mentre il giorno dopo la morte, saranno le donne a vederci. Gli Apostoli arriveranno a " vedere " molto dopo.
La Storia di Gesù di Nazareth è la storia di uomini che sono rimasti ciechi, che non sono riusciti a " vedere ", che non sono riusciti a penetrare il Mistero.
Battaglia persa nei campi, in cielo splende la vittoria...
La vita di Jànos Pilinszky - per quel po' di briciole, converge in un punto. Il ragazzo nato a Budapest nel 1921, rampollo di una famiglia di intellettuali, laurea in Legge e in Storia dell' Arte, viene arruolato durante la Seconda Guerra Mondiale. Dal 1944 segue i tedeschi in ritirata, attraversa diversi campi di concentramento, resta in quello di Ravensbruck. L' esperienza lo disintegra. Ammutolito, Pilinszky si scopre poeta per poter dire l' orrore, lo sradicamento umano - La sua parola - però - è scontennata : scandita da una semplicità che spesso deraglia in allucinazione. Come di labbra che dicano nonostante cerniere di filo spinato. Del verbo, il poeta mostra il lato inerte, il roveto, la corona d' ossa. Nel 1946 pubblica la sua prima Raccolta, che lo elegge - all' improvviso - fra i massimi poeti ungheresi dell' epoca. Per il resto fece vita ritirata, geloso della propria scintillante solitudine. L' Ungheria sovietizzata lo accusò di " pessimismo " e per anni gli fu interdetto il pubblicare.
In Francia, Pilinszky, ha trovò un geniale traduttore nel poeta Lorànd Gaspar, di cui riporto una recensione :
"La Poesia di Pilinszky sorprende, sconvolge, lascia attoniti, sprofonda. Emerge dalle profondità del nostro universo come la Verità dal proprio pozzo: fragile, nuda, invulnerabile e avanza sonnambula lungo i bordi del baratro. Nessun passo falso, la precisione del bisturi. Una disperazione che sorride. Ogni suo testo spalanca in noi un sentiero infinito e tortuoso, singolarmente ostinato. Ostinatamente singolare . "
LA PREGHIERA DI VAN GOGH
Battaglia persa nei campi
ma in cielo splende la vittoria.
Uccelli, sole, ancora uccelli.
Di notte, cosa resta di me ?
Di notte, una fila di lanterne
il muro di argilla bianca, brilla,
e nel giardino - dopo gli alberi -
come candele in fila, i vetri;
ho abitato lì, una volta, per poco -
non posso più vivere dove vivevo allora :
allora , mi copriva un tetto. Allora
mio Signore, eri tu a coprirmi.
***
SCRITTO SUL MURO DI UN CAMPO DI CONCENTRAMENTO
Dove sei crollato, resti.
In tutto l' universo, questo
posto è l' unico posto
che è davvero tuo.
I campi corrono ovunque.
Casa, mulino, pioppo - ogni
cosa lotta, ed è qui, con te,
come se fosse mutilata dal nulla.
Ma sei tu che non ti arrendi.
Ti abbiamo saccheggiato ? Ora sei ricco.
Ti abbiamo accecato ? Ci fissi ancora.
Futile testimone senza più verbo.
***
QUANDO ARRIVERAI
Sono solo. Arriverai
e sarò il solo ancora vivo.
Piume in un nido vuoto.
Stelle che hanno divorato
il cielo.
L' orfanatrofio resiste :
come in una discarica invernale
rovisto fra i suoi rifiuti
per trovare frammenti
della mia vera vita.
Sarà una pace impareggiabile.
Inaudita perfino per il mio cuore.
Intorno a me, le estatiche
muraglie del silenzio.
Nuda eternità.
Ed è tua. E' impotente ed è tua.
Un regale candore
creato per te, fin dal primo giorno.
Il tempo siede, non ha
più parole, come un manichino
di corde. Il desiderio
ha perso le braccia, non è
che un tronco che ansima.
Quando sarai qui, avrò perso
tutto - Nessuna casa - neanche
un letto. Potremo abitare
indisturbati nella pura estasi.
Non fare razzia di me - ti chiedo
soltanto questo : non abbandonarmi.
Se sei debole, morirò.
E' terribile svegliarsi
tra i cuscini quando non c'è
altro che il rumore della strada.
***
AMORE, DESERTO
Un ponte, poi una strada di cemento, calda -
il giorno svuota le tasche
e mostra a tutti i suoi rari averi.
Sei solo nel catatonico crepuscolo.
Panorama pari al greto di un letto:
cicatrici che brillano, brilla l' oscurità.
La sera si fa bosco. La luce del cieco
sole mi intorpidisce. Non lascerò l' estate.
Estate. Caldo bulimico.
I galli immobili come cherubini
nell' aia dei recinti rovinati.
Le loro ali non tremano.
Sete. Chiedo acqua.
Ancora oggi sento quel febbrile
muovere la bocca : impotente
come una pietra metto a tacere
i miraggi. Gli anni
passano. Ancora anni. La speranza
è una tazza di latta rovesciata sulla paglia.
***
PRIMA DI
Del futuro non so molto
ma il giudizio universale lo vedo innanzi a me.
Quel giorno, quell' ora, sarà la glorificazione
della nostra nudità.
Nella moltitudine nessun reciproco cercarsi.
Il Padre, come una spina, si riprende
la croce, e gli angeli, gli animali
del paradiso, scoprono del mondo l' ultima pagina.
" La poesia somiglia alla preghiera. Victor Hugo diceva che ci sono momenti in cui, qualunque sia l' attitudine del corpo, l' anima è in ginocchio. La poesia è raccoglimento, offre una possibilità di ascolto di sé stessi, ci consente di raggiungere e di scoprire una parte di noi, affina il nostro udito e la nostra sensibilità. Quindi ci rende presenti a noi stessi e agli altri. E imparare ad ascoltare noi stessi, può essere un buon inizio per imparare ad ascoltare anche gli altri ad essere reciprocamente presenti." ( C.C. )
E' un trionfo di luce questa raccolta di Massimiliano Mandorlo, un inno alla gioia che si cadenza attraverso i momenti di una tetralogia ( Cantico terrestre - Terra incognita - La gioia - Finestre ) in cui il poeta compie un viaggio nel gran mare dell' Essere ; un viaggio in parte orizzontale ( in una dimensione terrestre e marina )e in parte verticale ( la dimensione celeste ). Ed è in questa composizione che si rivela la versatilità di un poeta che ha fatto della sensibilità e della discrezione i suoi stigmi peculiari. La grazia che trapela da questi versi si risolve a contatto con sequenze invise alla poesia gridata dei nostri giorni, e che rimanda piuttosto a una dimensione favolosa, come quella delle cartografie medioevali, dove improbabili mostri dalle fauci spalancate custodivano confini terrestri e acquatici oltre i quali non si poteva accedere.