Giuseppe spiega i sogni a Faraone - Dipinto di Scuola Veneta
Nella Genesi si racconta di come il faraone d' Egitto, non riuscendo a interpretare un sogno inquietante, avesse mandato a chiamare - sotto suggerimento di un cortigiano - un giovane ebreo di nome Giuseppe, figlio di Giacobbe, recluso in una cisterna nelle prigioni di palazzo. Grazie alla scintilla di Dio viva in lui, infatti, Giuseppe era in grado di sciogliere ogni dubbio sul mondo delle visioni, e così fece anche con Faraone il quale, per ringraziarlo, lo liberò associandolo al trono.
Attorno a questo episodio, Stefano Raimondi ha costruito " Il sogno di Giuseppe ". Il libro però non racconta la vicenda biblica: l'autore la usa per creare un contesto, uno sfondo; la raccolta è infatti priva di ogni dimensione narrativa. Al centro del quadro a cui l'esergo biblico ci conduce, c'è solo Giuseppe in cella ( la cisterna ), visitato regolarmente da sogni di fuga, naufragi e morte: un viaggio onirico lungo i trentanove componimenti disseminati di visioni, comparse e apparizioni di cui egli è - a un tempo - protagonista e voce narrante. La visionarietà di Giuseppe è associata ad una predisposizione all'ascolto, a sua volta legata all'esilio silenzioso in cui si trova. La sua figura è anche assimilabile agli indovini dell' antica Grecia, come Tiresia, ai quali il dono della comunicazione col dio è data ad un prezzo di grandi sofferenze, e come Tiresia, Giuseppe - Raimondi si muove in una dimensione ubiqua, a cavallo del mondo sensibile e di un mondo " altro", in un moto inesausto tra una dimensione orizzontale e una verticale.
E come Giuseppe, Tiresia e ogni indovino ( comunicatore del profondo ) è il poeta.
Il sogno di Giuseppe
diventò di pietra : divenne
cisterna, poi casa e fondale.
A fuggire sarebbe riuscito solo
il corpo sottile di sabbia.
Le sue caviglie erano portali
soglie, dove liberare fratelli e padri.
La casa era sempre più vicina al sogno:
sarebbe crollata con il giorno
con il suo ritorno, indietro, nelle stanze.
La cisterna si fece casa, pelle
voragine di ascolti. Entrarci
era sognare, partire.
***
Non tutti i sogni sono uguali:
alcuni vengono per ferire
altri per avvisare.
"Sono qui e penso a salvarmi.
Qualcuno verrà a togliermi
i polmoni dall' acqua
il legno da sotto le unghie.
Sento ancora le voci
dall'ultimo sogno: abbracciano
le madri intarsiate di luci.
Nessuna parola tiene più
a galla i corpi."
***
" Ho fatto un sogno solo
aveva poche cose da dirmi
come sono poche le ore
che finiscono vicino alle cantine
e per niente e per poco respiro
stanno a guardia delle loro ombre."
Si resta nel sono come in amore, quello
che si tiene vicino per non dimenticarsi
per non lasciare il punto da dove si è partiti
insieme alle sembianze.
" E cambiano le cose sparse sopra i tavoli. "
Sopra le cisterne passano i mercanti
e i sogni devono essere raccontati
per salvarsi.
***
" E' un'altra frase sulle pareti
incise, di questa cisterna
che mi tiene come una preghiera, come
una maledizione che non smetto
di ascoltare. E sono loro ancora
a gridare dai rifiuti, loro
le voci che non approdano
che fanno paura, loro
i làsciti, i lasciàti stare
che tengono a bada l'umano
che tolgono bende; che sono il taglio
e la guarigione insieme".
La sentinella diventa un'ombra;
da qui sembra la faccia conosciuta
di qualcuno.
***
" Mio padre non è mai partito:
il suo restare è come un'anfora voltata.
Ma a chi domando spazio qui
se è solo un sogno ad ospitarmi?
Lasciare che l'abbandono faccia doni
è quello che mi resta."
La luce ritagliava mezzogiorni a picco
sulle coste, senza muoverle mai.
Era da lì che i morti passavano
uno alla volta, per farsi riconoscere
e i padri per ultimi come spalle voltate.
***
"Non ci sono deserti grandi abbastanza
come questo respiro. Liberate
tutti gli sguardi, tutti
gli angoli delle case ; che giri
la luce su ogni pietra; che passi
il sangue in ogni paura, sopra
ognuna delle travi che tengono
i soffitti rivoltati dalle cantine. "
Diceva così Giuseppe prima di sognare
prima che al buio potesse domandare
altro buio ancora.
Si tengono ombre in serbo
prima di morire, prima di lasciare
che l'acqua si faccia più madre
di un fondale.
Stefano Raimondi da Il sogno di Giuseppe