Io non so se tra le pallide rocce il tuo sorriso...
L' originalità di Amelia Rosselli non si basa sui temi di cui nella sua poesia si parla. Non è difficile verificare che i temi che caratterizzano la sua opera poetica sono tradizionalmente lirici, per quanto strano possa sembrare l'uso di questo aggettivo. Il punto è che questa sensazione di stranezza a parlare propriamente di lirica, deriva dal fatto che la strategia usata dalla poeta per affrontare dei temi tradizionalmente lirici ha ben poco a che fare con la lirica, così come essa ci arriva dalla tradizione. Se pure i temi sono quelli, troppo violento e straniato è il flusso verbale che li esprime, finendo per apparire in sé più pregnante dei temi stessi; finendo quasi per costruire la sensazione di una sorta di iperrealismo emotivo, comunque, crudo, scabroso, devastante nell'effetto.
Io non so se tra il sorriso della verde estate
e la tua verde differenza vi sia una differenza
io non so se rimo per incanto o per travagliata
pena. Io non so se rimo per incanto o per ragione
e non so se tu lo sai ch'io rimo interamente
per te. Troppo sole ha imbevuto il mare nella
sua prigionia tranquilla, dove il fiorame del
mare non vuole mettere mano ai bastimenti affondati.
L' alba si muove a grigiori lontana. Io non so
se tra le pallide rocce io incontravo lo sguardo,
io non so se tra le monotone grida incontravo
il tuo sguardo, io non so se tra la montagna
e il mare esiste pure un fiume. Io non so se
tra la costa e il deserto rinviene un fiume accostato,
io non so se tra la bruma tu t' accosti. Io non so
se tu cadi o tu tremi, tu non sai se io piango
o dispero. Disperare, disperare, disperare, è
tutto un fabbricare. Tu non sai se io piango
o dispero, tu non sai se io rido o dispero. Io
non so se tra le pallide rocce il tuo sorriso.
Amelia Rosselli da La libellula, panegirico della libertà- 1958
(...) Oggi posso dire : sono rimasto fedele a me stesso; ho fatto quel che potevo secondo scienza e coscienza. Se sia stato giusto o meno, questo non lo so . Soffrire è stato - in un modo o nell' altro - inevitabile. Ma io voglio soffrire per cose che mi appartengono davvero. Chiunque viva la sua vocazione e la realizzi secondo il meglio che sa e può, non ha motivo di avere rimorsi . (...)
Carl Gustav Jung dall ' anteprima del libro di Aniela Jaffé " In dialogo con Carl Gustav Jung "
"Il memento mori di Dedja, caustico e ossessivo, che ritma la scansione dei testi nelle tre parti della raccolta: negli " Autoritratti" sul filo della memoria della prima sezione, nel divertissement scanzonato delle prose poetiche della terza, ma soprattutto nel " museo delle cere" della seconda, si manifesta come interesse per un'umanità riportata continuamente al grado zero dell'evoluzione, alla sua mortalità animale; è la voce del medico, dello scienziato che riconosce tutti gli esseri uguali nella contingenza, li riassume nella costante della deperibilità, della sconfitta biologica, che sola li accomuna in un'umanità democraticamente condivisa. Da qui scaturisce una poetica dal " basso" umore rabelaisiano perseguita con gli strumenti di un' ironia a tratti malinconica ( " sorridono come Charlot alle madames "), a tratti macabra e scoppiettante ( " su e giù con il morto di turno" ).
( Dalla prefazione di Mia Lecomte )
EVVIVA!
Facendosi largo tra gli escrementi
entrò nella tenda dove partorivano
le deportate gravide
aiutate da una vecchia con voce stridula
e sangue fino ai gomiti.
Dal confine occidentale e da quello orientale
della tendopoli si intravedevano ombre di eserciti
nemici però così bravi a barattarsi
tra loro le maschere antigas appena il vento mutava
direzione per mandar giù la puzza
delle carogne umane non seppellite
sprofondate nelle loro feci.
Ma lui il suo sguardo rivolse
verso le fiere montagna e
con aria insalubre si riempì il petto.
***
SALMONE
Rete d'acciaio
dove sussultavamo
mentre si placavano
le nostre sette anime
ribelli
era la fibra
del cuore del marinaio
nostro implacabile Dio.
Adesso al mercato
al calduccio tra frammenti
di ghiaccio del Nord
semplicemente sorridiamo
come Charlot
alle madames.
***
IL RACCONTO DEL MEMBRO DEL POLITBURO
Agli inizi pranzavano e cenavano spesso
insieme
per i compleanni dei bambini delle mogli
poi cominciammo a incontrarci raramente
poi ancora di meno
( in pratica ogni cinque anni per la Festa della Liberazione )
poi soltanto per porgere le condoglianze
per la morte dei nostri genitori
a poco a poco cominciammo a morire anche noi
malattie incidenti
invecchiavamo intanto e le morti aumentavano
ancora malattie incidenti qualche suicidio
e fu così che aprimmo una parcella a parte al cimitero
poi allestimmo un servizio speciale di becchini
poi mettemmo delle guardie armate
per difenderli dai branchi di lupi
poi decidemmo di mollare picconi e pale
poi ordinammo ai becchini di tenere con sé un materasso
poi non inchiodavamo neanche più il coperchio della bara
Luigi di Ruscio fu un poeta che scrisse di miseria, di lavoro, di vita vissuta in fabbrica e di morti sul lavoro. I suoi testi sono un esempio di umanità vera e attualità, un lascito crudo ma veritiero, reale e schietto. Di certo non scrisse né selezionò per le sue raccolte poesie belle a leggersi o che si attenevano ad uno standard di solennità nello stile e nel linguaggio, ma piuttosto che ci riportano alla violenta ( a volte ) concretezza del lavoro. La sua è - quindi - una poesia " di testimonianza" fatta di versi che si ispirano a fatti accaduti in un momento storico per l' Italia e per il mondo.