(...) Riflettere sulle strutture a priori dell'odio significa mettere in
luce i contesti della giustificazione passata e del consenso futuro
senza cui queste strutture non potrebbero prosperare. Analizzare
concretamente le varie forme di cui si nutrono l'odio e la violenza
significa sfatare il mito secondo cui l'odio sia una cosa naturale,
come se fosse più autentico del rispetto. L'odio non è già dato:
l'odio si crea. Lo stesso vale per la violenza, che viene preparata.
In quale direzione odio e violenza si scateneranno, contro chi
saranno diretti, quali soglie e ostacoli verranno giocoforza
oltrepassati, tutto questo non è un caso o una realtà preesistente:
sono elementi che vengono incanalati. Condannare l'odio e la
violenza - quindi - non è abbastanza. Bisogna sforzarci di
analizzarli nella loro modalità operativa, mostrare dove sarebbe
stato possibile qualcosa di diverso, in che momento si sarebbe
potuto decidere diversamente , in che frangente qualcuno
sarebbe potuto intervenire, scendere dal treno.
Descrivere con precisione il corso dell'odio e della violenza vuol
dire indicare il punto in cui ci sarebbe stata la possibilità di
interromperlo, di infiltrarsi. Considerare l'odio non soltanto nel
momento in cui deflagra dischiude altre opzioni di azione.
Per alcune sue manifestazioni la responsabilità spetta alle
procure e alle forze dell'ordine, ma per le pratiche di esclusione
e di limitazione, per le piccole e malvagie tecniche di
emarginazione fatte di gesti, abitudini e convinzioni, per questo
sono responsabili tutti. Togliere a coloro che odiano lo spazio
per fabbricarsi su misura il proprio oggetto è responsabilità di
ogni membro della società civile, nessuno escluso. Non sono
ammesse deleghe. E aiutare coloro che vengono minacciati a
causa di un aspetto, fede o amore diverso, non richiede molto.
Sono le piccole cose che possono fare la differenza: aprire spazi
sociali e di dialogo a coloro che ne sono esclusi. Il gesto più
importante - forse - è evitare che l'odio ci isoli, che ci chiuda nel
silenzio, nella sfera privata, nella protezione del proprio refugium
o milieu . Il passo decisivo - probabilmente - è uscire da se stessi
e andare verso gli altri. Per riaprire - tutti insieme - gli spazi
pubblici e sociali. Se lasciamo solo chi è in balia dell'odio, questi
diventa la voce disperata del salmo citato all'inizio: affonda nel
fango e non ha sostegno. Non ha più appigli, nessun terreno che
lo sostenga. Si sente precipitare in acque profonde e l'onda lo
travolge. Il punto - quindi - è non è abbandonarlo, ascoltarlo
quando chiama. Non permettere che l'onda dell'odio monti di
nuovo, bensì creare un terreno ben saldo in cui ci sia spazio per
tutti. Sempre. (...)
Carolin Emcke da Contro l'odio
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