venerdì 22 dicembre 2017

CONTRO L'ODIO 3

(...) Riflettere sulle strutture a priori dell'odio significa mettere in
  luce i contesti della giustificazione passata e del consenso futuro
  senza cui queste strutture non potrebbero prosperare. Analizzare
  concretamente le varie forme di cui si nutrono l'odio e la violenza
  significa sfatare il mito secondo cui l'odio sia una cosa naturale,
  come se fosse più autentico del rispetto. L'odio non è già dato:
  l'odio si crea. Lo stesso vale per la violenza, che viene preparata.
  In quale direzione odio e violenza si scateneranno, contro chi
  saranno diretti, quali soglie e ostacoli verranno giocoforza
  oltrepassati, tutto questo non è un caso o una realtà preesistente:
  sono elementi che vengono incanalati. Condannare l'odio e la
  violenza - quindi - non è abbastanza. Bisogna sforzarci di
  analizzarli nella loro modalità operativa, mostrare dove sarebbe
  stato possibile qualcosa di diverso, in che momento si sarebbe
  potuto decidere diversamente , in che frangente qualcuno
  sarebbe potuto intervenire, scendere dal treno.
  Descrivere con precisione il corso dell'odio e della violenza vuol
  dire indicare il punto in cui ci sarebbe stata la possibilità di
  interromperlo, di infiltrarsi. Considerare l'odio non soltanto nel
  momento in cui deflagra dischiude altre opzioni di azione.
  Per alcune sue manifestazioni la responsabilità spetta alle 
  procure e alle forze dell'ordine, ma per le pratiche di esclusione
  e di limitazione, per le piccole e malvagie tecniche di
  emarginazione fatte di gesti, abitudini e convinzioni, per questo
  sono responsabili tutti. Togliere a coloro che odiano lo spazio
  per fabbricarsi su misura il proprio oggetto è responsabilità di
  ogni membro della società civile, nessuno escluso. Non sono
  ammesse deleghe. E aiutare coloro che vengono minacciati a
  causa di un aspetto, fede o amore diverso, non richiede molto.
  Sono le piccole cose che possono fare la differenza: aprire spazi
  sociali e di dialogo a coloro che ne sono esclusi. Il gesto più
  importante - forse - è evitare che l'odio ci isoli, che ci chiuda nel
  silenzio, nella sfera privata, nella protezione del proprio refugium
  o milieu . Il passo decisivo - probabilmente - è uscire da se stessi
  e andare verso gli altri. Per riaprire - tutti insieme - gli spazi
  pubblici e sociali. Se lasciamo solo chi è in balia dell'odio, questi
  diventa la voce disperata del salmo citato all'inizio: affonda nel
  fango e non ha sostegno. Non ha più appigli, nessun terreno che
  lo sostenga. Si sente precipitare in acque profonde e l'onda lo
  travolge. Il punto - quindi - è non è abbandonarlo, ascoltarlo
  quando chiama. Non permettere che l'onda dell'odio monti di
  nuovo, bensì creare un terreno ben saldo in cui ci sia spazio per
  tutti. Sempre.  (...)


        Carolin Emcke   da    Contro l'odio





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