Con disperata gioia
(...) Il lavoro del perdono riconosce l'alterità dell'Altro come
inassimilabile alla nostra identità, ruota attorno alla sua
libertà irriducibile, riconosce la piega che non si può lisciare,
l'increspatura, la rugosità della parete dell' Altro, la distanza
che separa il reale dall'oggetto amato da ogni sua
rappresentazione ideale. L'interruzione della presenza dell'
amato spinge di nuovo - come il primo colpo per il
torturatore raccontato da Jan Améry - il soggetto verso il buio
pesto della notte. Per questo il perdono è un lavoro che può
avvenire solo in solitudine: palpare con incertezza e alla cieca
il corpo dell' Altro - divenuto straniero - per arrivare alla fine
a riconoscerne nuovamente l'identità. Questo movimento verso
la notte offre la chance di attraversare la bolla narcisistica
della nostra immagine ideale, di estrarsi dall'abbandono
assoluto ancora una volta. Il lavoro del perdono può diventare
- come talvolta diventa - un'occasione per provare a fare un
passo al di fuori delle sabbie mobili del narcisismo.
L' orgoglio dell' Io tenderebbe a rendere impossibile questo
lavoro, a respingere la violenza dell'offesa, ma proprio per
questo nulla come l'esperienza del perdono - quando davvero
avviene - mostra il limite della visione freudiana dell'amore
come accecamento e come pura illusione immaginaria.
L' Altro non è qui lo specchio buono che riflette le parti
migliori di me stesso offrendo un rifornimento libidico che
arricchisce il mio narcisismo, né è ridotto, come quando se ne
va, ad uno specchio infranto che non restituisce più nulla e
che diviene oggetto d'odio e di repulsa. L'innamoramento come
" concupiscenza mentale ", secondo una definizione di Lacan,
che ci lega alle virtù illusionistiche e persecutorie dello
specchio, lascia il posto ad un altro amore. Il lavoro del
perdono non si nutre dell'infatuazione narcisistica della
propria immagine ideale, ma viene dall'abisso del trauma dell'
abbandono; non confronta il soggetto con l'immagine ideale
dell' Altro, ma con la sua alterità più spigolosa, con il reale
più reale dell' Altro. Se l'innamoramento si soddisfa del
potenziamento dell' Io, il perdono conduce al di là dell' Io e ci
accosta al mistero della totale ingovernabilità dell' Altro, al suo
essere irriducibilmente straniero, eteros. (...)
Massimo Recalcati da Non è più come prima( Elogio del perdono nella vita amorosa )
Vero,ma altresì vero che potrebbe essere anche meglio...
RispondiEliminaIl perdono richiede una grande forza morale. Ricordo che qualcuno affermava che è più una dote divina che umana...
RispondiEliminaLo stesso Recalcati, in un passo del libro dice che " In psicanalisi la parola " perdono" non ha ancora avuto diritto di cittadinanza ( pag. 100 )...).Per questo, nel vasto panorama analitico, italiano e straniero
ho scelto questo autore: volevo che portasse in questa disciplina - di
diritto e di fatto - una parola che fosse di novità.
Anche se poi ( ma il discorso si farebbe complesso e ci porterebbe lontani) , già duemila anni fa un tale di nome Gesù Cristo faceva del perdono l'anima della propria predicazione...
Per esperienza personale posso affermare che dal perdono offerto a chi, in un certo senso, sia nell'amicizia che in amore, mi ha tradita o abbandonata( o comunque, in qualche modo, è venuto meno a quello che è, per me ovviamente, il valore principe che accomuna qualunque tipo di rapporto, la LEALTÀ)ho tratto un'esperienza che ha sempre arricchito quello che è la mia persona in modo positivo...così tanto che le persone stesse fanno ancora parte della mia vita, magari con ruoli diversi ma comunque, lealmente, presenti...al contrario, chi con presunzione(dandomi del "prete")non ha saputo,voluto,capito quanto bene c'è dietro a questo perdono(che va OLTRE l'amore)purtroppo l'ho perso, o si è perso, non ritenendo possibile metterlo in pratica o viverlo...peccato.
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