giovedì 1 giugno 2017
AMORE 2
(...) Ma che significa dèmone?. Nel Timeo si legge che il dio dà a
ciascuno come proprio dèmone la parte dominante dell'anima.
Esso dimora nella terra, congenere al cielo, e perciò volto
verso l'alto. Ed è questo divino che si tratta di curare, perché
l'individuo abbia come ospite il dèmone ben ordinato e divenga
eu- demonico, cioè felice. La felicità dell'uomo è dunque nella
cura della sua parte divina, in termini junghiani potremmo dire
che è nella cura del suo Sé.
Prendersi cura del Sé, o di sé, è forse l'espressione più alta
della libertà dell'anima sancita da Platone nel mito di Er dove,
prima dell'incarnazione, l'anima, limitata ma non determinata
dalla sorte, si sceglie liberamente il modo di vita e quindi il suo
dèmone. Il processo di individuazione, quel processo
attraverso cui ogni uomo è chiamato a realizzare
compiutamente sé, non poteva trovare espressione migliore
dell'immagine platonica che presenta la vita dell'anima come
itinerario " psicologico" dove ci si prende cura del dèmone,
ossia del divino che c'è in noi. In questo senso è possibile
leggere il frammento 119 di Eraclito : " Il dèmone è per l'uomo
la sua condotta, la guida del suo condursi".
La raffigurazione del demonico come ambito fra l'umano e il
divino, e che per la sua posizione intermedia " connette tutto
con sé", è in Platone l'espressione più alta del simbolo, inteso
come ciò che compone e tiene insieme.
Diotima, " quell'amica di terre lontane" da cui Socrate dice di
aver appreso quell'unica scienza che conosce, colloca questo
simbolo all'inizio della sua narrazione e ne fa l'ambito di ogni
rapporto tra dei e uomini, quindi di ogni mantica e profezia, di
ogni consacrazione e magia, cioè di tutti quei misteri che per
Platone valgono come accenno verso quella controparte
celeste che, rimanendo nascosta, richiede- per accedervi - un
mezzo, una mediazione.
" Che due cose sole, senza una terza si colleghino bene" è detto
a proposito della dottrina degli elementi nel Timeo, " non è
possibile". Ci deve essere tra loro un legame che le annodi
l'una all'altra. Ma il più bel legame è quello che fa - per quanto
è possibile - un'unità di sé e ciò che collega. E compiere
questo nel modo più bello è il carattere essenziale della
proporzione". (...)
Umberto Galimberti da La terra senza il male. Jung: dall'inconscio al simbolo
Etichette:
amore,
anima,
C.G.Jung,
filosofia,
psicanalisti junghiani,
Umberto Galimberti
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Lungi dall'essere un atteggiamento egoistico o di chiusura, è fondamentale questo prendersi cura del Sé, in vista dell'individuazione del "daimon", del proprio talento da realizzare. E quanta importanza ha una tale cura e consapevolezza, per esempio, in ambito educativo!
RispondiEliminaGrazie!!!
Certo che non è egoismo. A questo proposito ho in mente una frase che a suo tempo mi colpì molto " Un me realizzato è ciò che di meglio posso offrire al mondo ". Non ricordo esattamente chi la proferì, ma qualcosa di simile l'ebbe a dire anche Oscar Wilde ( che se conosciamo la sua tribolata storia personale - però - non si capisce bene in che modo ebbe a realizzarsi....Per lui vale allora più un altro detto: "Fate come dico ma non fate come faccio!!!!!!!!!!!!! perché - effettivamente - a scrivere era bravissimo, ma....)
RispondiElimina