...quanto mi manchi...
frida
E ferma è l'ora in un colore eterno...
ALBERO CONOSCENTE
Il cuore ingombro di relitti
amari
pesa nel petto come grave
mola
e àncora alla terra i favolosi
pensieri che s'immergono
nel vento
con assetate cime avide
d'aria.
Le passioni mi radicano al
suolo,
contrappeso di lutto, esse,
all'aereo sorger d'alate respiranti
foglie.
Ma così s'equilibra in me
l' arcano
albero conoscente; e, se la
luce
beve dall'aria, un più
profondo filtro
trae dalla terra e lo nutrisce a morte.
***
V.
L' amabile pittore che dipinse
a marine e castelli le pareti
di questa bettola oscura nei
Borghi,
quanta favola finse
ai bevitori assorti,
da tanti secoli che brilla allo
sguardo
dei felici in questo buco
d'ombra!
Ma più luce vi mise egli sui
muri
bui che un sole di maggio;
egli l'intrise
della sua gioia ad altre gioie
incontro.
Io ti saluto,
pittore antico e popolare: un
raggio
del tuo sole lontano anche a
me giunse.
***
GRIDO ALLA MADRE
Madre, mia madre
dove sei nel lontano ?
dove ti sei sperduta dopo la
morte,
che più non mi mandi la tua
immagine,
e deserti sono i miei sogni,
ma meno della mia vita?
Io sto quaggiù lo vedi in
qualche pericolo:
strani mostri mi fanno le
cacce,
girano intorno alla
poca rupe.
Madre, se esisti ancora
in qualche punto
dell'universo
o sei tornata alla bontà
indivisa da cui ti staccasti nel
nascere,
fammi sentire
diminuita la mia solitudine,
schiariscimi gli occhi,
che io giunga a rivederti
nell'alto del tuo sereno,
e smetta di scorgere
al tuo posto le ambigue
larve che ti nascondono
al figlio.
***
FINE DI UN GIORNO
Sono belle le sere
quando la luce scende di colore
e dall'oro e dal viola
s' immerge nel turchino.
Ma questa grigia fine
di giorno sotto il cenere d'agosto
ha il pallore che scava il viso umano
un istante dopo la morte.
Dentro il cielo spettrale
i cipressi s'infiggono più neri
e più livido sotto le loro ale
si rizza il travertino
della chiesa che altissima trasale
con un sobbalzo d'ossa
gridato con un urlo senza voce
come quando nei sogni
si vorrebbe chiamare e non si può.
***
MURA
Mura ch'io vidi in un sogno d'infanzia
cadermi addosso a strapiombi di torri,
e blocchi d'ocra fulva e di tufo
sulla silenziosa via del sonno,
vi ritrovo, passati tanti anni,
lungo la stessa strada sonnolenta,
altissime mura deserte di voci;
tremano al cielo pochi fili d'erba.
Per miglia e miglia un sentiero solingo
circonda le altissime mura di sonno:
immobile il sole vi batte sul giallo
e ferma è l'ora in un colore eterno.
Giorgio Vigolo da Poesie scelte 1923 - 1982
Tomba di Raffaella
Il cimitero del Verano, a Roma, è pieno di tombe monumentali. Una di queste rappresenta una bambina che ci viene incontro stringendo un grosso quaderno. E ci racconta una storia incredibile e praticamente dimenticata. Il 25 Ottobre 1954, a Salerno iniziò a piovere. Una pioggia incessante che riversò sulla città mezzo metro d'acqua. Cesserà solo nel tardo pomeriggio del 26, dopo aver ucciso 318 persone. La RAI lanciò un disperato SOS e dette vita ad una pubblica sottoscrizione. I danni erano incalcolabili: le popolazioni colpite necessitavano di tutto. L' appello radiofonico arrivò naturalmente anche a Roma, e in particolare a casa della piccola Raffaella La Crociera, inchiodata da circa un anno nel suo lettino da una malattia incurabile. La sua famiglia, già modesta di suo, era finita completamente sul lastrico per i costi delle cure, e lei dunque sapeva di non avere nulla da offrire ai bambini salernitani. Tuttavia Raffaella aveva un dono molto raro: scriveva poesie, e le scriveva benissimo. Anche lei, cioè, poteva disporre di qualcosa da offrire, di sua esclusiva proprietà. Si fece dare carta e penna e subito cominciò a scrivere pressappoco così :
" Cara RAI, sono molto malata da oltre un anno e i miei genitori hanno speso tutto quello che avevano per guarirmi. Io non ho nulla da offrirti per i bambini di Salerno. Ti offro però questa mia poesia :
ER SINALE ( nel dialetto romanesco vuol dire " grembiule" )
" Giranno distratta pe'
casa,
fra tanta robba
sfusa,
ha trovato : ah !
come er tempo vola!
er zinale de scola.
Nero, sgualcito,
un po' vecchio e rattoppito,
è rimasto l'amico
der tempo passato.
Lo guarda e come
se gnente
a quell'occhioni
spunteno li lucciconi,
e se rivede studente
allegra e sbarazzina
tanto grande, ma
bambina.
Lo guarda e come
un'eco risente
quelle voci sommesse:
Presente!
Li singhiozzi, li pianti,
li mormorii fra li banchi,
e senti... e senti...
pure li suggerimenti.
Tutto rivede e fra
quer che resta,
c'è la cara sora maestra.
Sospira l'ècchese
( ex ) studente,
perché sa
che a scola sua non
non ce potrà riannà.
Lei cià artri
Professori,
poverina.
Lei cià li Professori
de medicina "
Domenica 31 Ottobre, alle prime ore del pomeriggio, dai microfoni della rubrica " Campo de Fiori ", la voce di Giovanni Gigliozzi raggiunse ogni angolo d' Italia con i versi della poesia, che fu messa subito all'asta per destinare il ricavato agli alluvionati salernitani. In poco tempo la sede di Roma della RAI fu tempestata di telefonate. Le offerte si moltiplicarono senza respiro fino al momento in cui, dalla Svizzera, offrirono l'incredibile cifra di mezzo milione di franchi ( 4 milioni di euro di oggi ). La piccola, che era rimasta sempre in ascolto, pianse di gioia. La stampa nazionale ed estera dettero ampio spazio all'episodio della piccola romana, poetessa in erba. Il 1 Novembre, un negoziante romano di giocattoli le annunziò di averle regalato una meravigliosa bambola , e quella sera Raffaella andò a dormire se possibile ancora più felice. Non si risvegliò più. La bambola, su un cuscino di fiori bianchi, precedette la piccola bara tra due ali di folla commossa.
Oggi due scuole, una a Roma e l'altra a Salerno, sono intitolate a Raffaella La Crociera, poeta..
Oggi - 8 Marzo - per la Giornata Internazionale della Donna, propongo la lettura di alcune poesie forse inconsuete : non si tratta della Donna Angelicata dei poeti dello Stil Novo; o della Donna Regina del Focolare di tante fiabe di un tempo ormai passato; né della Donna celebrata dal Romanticismo ispiratrice ( a volte ) di tragiche passioni; né del prototipo della Donna in Carriera o quella onnipresente alle Sfilate di Moda a dettar legge su come dovremmo esteticamente essere; e neppure della Donna - Barbie ( come usa adesso ) sempre ferma ai trent' anni... ma di quella che è composta dalla parte più nascosta ( o forse indicibile ) della sua essenza di femmina...
INNO ALL'UTERO
La prima cosa
che ho saputo di te
è stato un discorso di fretta:
ti chiamavano casetta di
carne,
ti avrebbero abitato
strani bambini trasparenti
fatti di vene e pelle
sottilissima;
spiati per un attimo
sull'enciclopedia ho
saputo di te
quando già
mi avevi rigato le gambe
di sangue caldo:
ero una giovane bestia
con la testa scurissima
i sogni malati
il corpo sordo,
ero piccolissima
o forse mai nata e tu
eri già l'utero
di una donna avevo
paura di te,
la violenza del pene
era la giusta risposta
alla tua schifosa
dimostrazione di esistere è
successo di colpo
non hai sanguinato più,
il mio seno è ingrossato
il mio stomaco ha avuto
fame
e nausea
nausea
e fame
canzone monotona
e assurda
domande notturne
lunghe ore
di corpo nudo
di profilo
allo specchio,
non eri mai morto
stavi fabbricandomi
un bambino
il mio cervello
è partito di corsa
dopo tante amicizie
e alleanze
contro di te,
se n'è andato
senza un saluto
ho fatto l'aborto
anche se amavo
quel bambino abbozzato
incosciente
identico a me
e tu da sasso
sei diventato ghiaia
e poi sabbia
e poi acqua
e poi fiume
e poi sangue
e ho parlato co
e ho capito te,
ti ho sentito
e difeso
e la mia nuova coscienza
è nata dal tuo sangue
che è il mio
e la nuova coscienza
è fatta finalmente
anche di carne
e tu sei una bomba
dentro di me
pronta a vendicare
il mio lungo sonno
schizofrenico
e tu ora
non devi più soffrire,
combatterai con la mia testa
ma questa volta
sarete dalla stessa parte.
Chandra Livia Candiani da Ascolta: questa voce non può essere perduta. Poesia femminista.
***
PER LA MIA ULTIMA MESTRUAZIONE
allora ragazza, arrivederci,
dopo trentotto anni,
trentotto anni e non
sei mai arrivata
- splendida nel tuo vestito
rosso -
senza qualche problema
da qualche parte, per qualche
motivo.
adesso è finita,
e mi sento proprio come
quelle nonne che,
dopo che la ragazzaccia che
erano se n'è andata,
siedono tenendo la sua foto
tra le mani,
sospirando " non era
bellissima?" non era
bellissima?".
Lucille Clifton da Nuovi poeti americani
***
DONNA SENZA FIGLI
L ' utero
scuote il guscio, la luna si
separa
dai rami e non arriva.
Il mio ambiente è una mano
senza le linee, vie
strette in un nodo, io
io la rosa che adempi, io -
sono il corpo,
sono l'avorio
empio come uno strillo.
Questo ragno che sono
crea specchi docili alla mia
figura.
Emissioni di sangue
e basta - Prova il rosso!
E questo bosco funebre
questa collina e questo
effetto luccicante
delle bocche dei morti.
Sylvia Plath ( Trad. di M. Sannelli )
***
IL CICLO
a quanto pare è una
mancanza di tatto
dire pubblicamente che ho il
ciclo
perché l'effettiva biologia
del mio corpo è troppo
concreta
è accettabile vendere ciò
che sta fra due gambe di
donna
più di quanto non sia
accettabile
nominarne i meccanismi
interni;
l'uso ricreativo di
questo corpo è ritenuto
bello mentre
la sua natura è
ritenuta brutta.
Rupi Kaur da Milk and honey
***
SANGUE
Le ragazze indiane
cominciavano prima
a mestruare. Così diceva mia
madre.
( O così mi pareva avesse
detto ).
E mi raccontò di Neema
che un certo solenne
pomeriggio,
era venuta in visita, anni
prima,
si era seduta nel giardino
roccioso
e aveva dato il mio nome alla
sua bambola.
Una ragazza graziosa e
raffinata, cui
era presto toccato
quell'incredibile
gocciolìo su una specie di
benda,
nominata solo per le sue iniziali,
che si portava
misteriosamente tra le gambe.
E io, ero più indiana o più
inglese?
Ero confusa, come sarei
sempre stata
ogni volta che il mio sangue
gocciolava
regolarmente nel mondo
esterno.
Avrei persino corso con
quell'impaccio,
goffa, nella gara con l'uovo nel
cucchiaio,
l'avrei trattenuto nello sforzo di
passare
un'arancia stretta sotto il
mento,
le mani legate dietro la
schiena.
Moniza Alvi da Un mondo diviso
Potresti contenere la mia paura...
Nell'attraversare il paesaggio di questa breve antologia, viene in mente il clima e l'ambientazione aspra e metafisica di " Ossi di seppia" di Montale. Ma - oltre a questo - in tutte queste poesie si avverte una condizione più solipsistica, di stallo del sé, dove la percezione sensoriale è vissuta come un inganno : lo sguardo non è più chiamato a recepire le cose e a plasmarle secondo la modulazione della luce, bensì a giudicarle : il poeta è una sentinella rimasta senza frecce. Il mondo esterno, quello dei fenomeni, dei movimenti e del divenire, si è tramutato in un luogo di clausura : il mare artificiale della città, come quello reale - visibile però nella lontananza del pensiero e del sogno - sono quasi un'unica, non pacificata dimensione. Anche la presenza dell'amore è fittizia, un residuo platonico, un richiamo al riscatto e alla salvezza; crea, però, solo l'illusione della rottura di questa crisalide dei sensi, di questo isolamento, di questo ripiegamento nei meandri dell'interiorità. E' poco più di un'immagine, un'apparizione, un'evocazione che si sovrappone a quella stessa del mare : il " tu" - infatti - resta volutamente generico, inespresso.
In " Dogali " emblema bellico ed efficace allegoria di questo serrato confronto con il vuoto, si disvela un campo di tensioni ancora possibili nell ' " infinita riserva dei dialoghi". Ma la stagione che si dispone ad accogliere generosamente i gesti, le parole e gli incontri, viene declinata al passato. E' come una breve - seppur intensa - estate che irrompe nel deserto dell'inverno: una rapida parentesi, cioè.
Diciamo, così, la nostra più
bella
stagione è nell'anima - le cose
viste e toccate,
dentro il tempo che viene.
Facciamo che niente
porti via la speranza che ci
guida.
Tu che piano respiri accanto a
me.
Sono, in poche parole,
proiettato
in avanti. Domani,
nei luoghi che saranno per noi
importanti.
***
Questo respiro,
il suo attraversare le strade
in punta di piedi -
e la sete da colmare
e il vuoto da colmare.
Domani e poi domani -
l'infinita riserva
dei dialoghi.
***
E sull'erba di giugno
abbiamo dimorato - sul più
bel prato dei nostri incontri.
Non possiamo che salutare
il nuovo giorno insieme,
perché tu ed io facciamo
ormai
una sola parte.
La generosa estate
ci ha regalato
tutti i suoi frutti.
da "Dogali "
***
Abbi fede. Tieni in vita la conchiglia
e il sasso
per me qui rinchiuso in città. Ti vedo
sparire di tanto in tanto, poi torni
con un nuovo messaggio di sole.
***
Piove a dirotto e là sullo scoglio
dei miei segreti c'è tutta la solitudine
del mare. Sì, eccomi piccolo e solo
mentre mi giro intorno, amore. Sai
la fatica delle parole che ritornano
a frotte nei giorni della conta e del
destino segnato. Inseguo l'altra faccia
della medaglia, la lieve incrinatura
del legno.
***
Prendi, prendi la mia mano,
è scivolata e non so più dove
potrò rifugiarmi. La mia mano,
Potresti darmi un legno
di fortuna,
contenere la mia paura.
Alberto Toni da Mare di dentro e altre poesie
Ho tirato su la nassa
a fatica
con le mani rosse
in mezzo a tanto azzurro.
E' una massa
di scuri sargassi
ciò che è riemerso
al mio abbraccio.
Ho scavato il tuo volto
di madreperla
dal fondo.
E' affiorato come un tesoro
da quel bozzolo di foglie.
***
Il mio baricentro mi ha sempre mentito,
sono inclinata.
La giusta angolazione
è sempre stata per me
una cosa molto personale.
Se procedo, io sbando.
La deviazione,
naufragio quotidiano e
contemplato, mi fa osservare meglio
i margini e tutte le polveri,
i lastroni di basalto
con le loro fughe irregolari, che tanto
somigliano alle mie.
Il mio procedere,
per quanto claudicante e incerto,
è studiato.
Ho il passo dell'ubriaco che ondeggia
e non progetta di arrivare
più in là del prossimo lampione.
Vi stupireste sapendo
quanti tipi di parietaria ho scoperto
e quanti fiori regalano le erbacce.
Quante timide minute creature
si scansano con garbo continuamente
dai nostri passi sicuri come scuri.
La pesantezza che si posa lieve
mi ha insegnato la delicatezza.
Guardando più in basso che in avanti,
ho perso l'orizzonte,
scoperto altri punti di fuga.
Esistono decine di villaggi in un metro
e la geografia li ignora.
Mapparli nella carta della mente
richiede lentezza.
***
Collezioni interi pantoni del bianco del tuo volto,
grattacieli di scale che digradano nell'aria.
Ho seguito il saliscendi della vita sul tuo corpo
col groppo di chi cade, con le mani sugli occhi
e due dita aperte alle tue truffe.
Adesso che le sfumature dei tuoi viaggi
seguono ben altre verticali, non mi resta
che immaginarti, puntino nell' azzurro.
Le gambe, sole ormai nell'aria,
vanno ancora in bicicletta.
***
Ora che ti ripenso
a centinaia di ore di distanza,
con due mari e tante terre
a separare le nostre mani,
qui dove anch'io sono lontana e in viaggio,
si ferma il dondolìo tra presenza
e assenza che cullava l'infanzia.
Tengo- comunque -
il corvo pronto e tesata la scotta.
Dovessi mai ritrovarti,
mia dispersa nave sorella.
***
Sono cresciuta piena di fratelli
in una casa mai finita,
più urla che amore,
più imprecazioni che fiori:
non ero mai sola.
Col bene nascosto
nelle tasche
urlavo più forte
per non sentire il mare
per non provare amore,
ma è arrivata lo stesso
questa tempesta nel cuore.
Annarita Rendina da Nasse
Edith Bruck è nata nel 1932 in un villaggio ungherese ai confini con l' Ucraina da una famiglia di origine ebraica. Nel 1944 viene deportata ad Auschwitz con i genitori, una sorella e due fratelli. Sopravvissuta ai campi di sterminio nazisti, dopo anni di pellegrinaggio in Europa, si stabilisce nel 1954 in Italia, adottandone la lingua. Nel 1959 pubblica il suo primo romanzo autobiografico " Chi ti ama " ( da cui verrà tratto un film ad opera del marito, il regista Nelo Risi ), in cui racconta l' infanzia poverissima e l'esperienza drammatica nei Lager.
La produzione poetica di Edith è stata raccolta nel volume" Versi vissuti " del 2018, che riunisce tre testi di poesie che l'autrice ha pubblicato nell'arco di un quindicennio, tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta : " Il tatuaggio" ( 1975 ); " In difesa del padre " ( 1980 ) e " Monologo " ( 1990 ).
***
" DI CHE COSA SCRIVE UN POETA SE NON DELL'ASSENZA, DI CIO' CHE MANCA SIA DENTRO CHE FUORI ? " , afferma l'autrice nella postfazione della raccolta.
NOI
Per noi sopravvissuti
è un miracolo ogni giorno
se amiamo; noi amiamo duro
come se la persona amata
potesse scomparire da un momento all'altro
e noi pure.
Per noi sopravvissuti
il cielo o è molto bello
o è molto brutto
le mezze misure
le sfumature
sono proibite.
Con noi sopravvissuti
bisogna andare cauti
perché un semplice sguardo storto
quello quotidiano
va ad aggiungersi ad altri tremendi
e ogni sofferenza fa parte
di una UNICA
che pulsa col nostro sangue.
Noi non siamo gente normale
noi siamo sopravvissuti
per gli altri
al posto di altri.
La vita che viviamo per ricordare
e ricordiamo per vivere
non è solo nostra.
Lasciateci...
Noi non siamo soli.
***
NASCERE PER CASO
Nascere per caso
nascere donna
nascere povera
nascere ebrea
è troppo
in una sola vita.
***
FORSE
Gli uomini
che contano
nella vita
sono uno :
il padre mancato.
***
VITA !
Quante grida al vento
quanta paura di tutto
che vita di terrore
d'amore di battaglie
per un poco di pace
per un palmo di terra straniera.
***
IL SEGNO
Morì d'impotenza
si potrà scrivere sulla mia tomba.
Chissà dove, non è detto che uno muore
nel luogo in cui è nato o vive.
Si può essere dovunque
in quell'ora incerta.
Non ci sono terre cattive e terre buone.
Vorrei però come un segno una piccola stella
a sei punte come quella che da bambina
brillava sul cappottino liso.
Incidetela ben bene nella pietra
come l'hanno incisa in me sulla mia pelle
nella mia carne, nelle mie viscere.
E se ci sarà un'altra vita
sarò una stella gialla
per ricordarvi che c'era una volta
Auschwitz.
Edith Bruck da Versi vissuti ( Poesie, 1975 - 1990 )
... e si diviene terra promessa...
La tua costruzione
su questa riva
miete già insonnie
fatte di molte perdite
nausee e gonfiori
con ricorsi a più consulti,
un apprendistato
che si esegue sulla pelle.
***
Il primo suono percepito
ricorda un'eco di vita
in fondo al mare,
poi le acque si rompono
come nel racconto
più antico
di una liberazione
e si diviene terra promessa.
***
La notte si accende
come un giglio di sangue
- fammi accogliere
il pianto e la debolezza
concedimi la resa
di essere sconfinato
sottile e forte, stremato e forte
debole e forte... forte.
***
Finché una mattina ti vedrò
tornare a casa,
negli occhi le arnie
delle api alla fine dell'inverno.
***
L' attesa rivive davanti alla finestra
nei piccoli abiti di fata
che asciugano sullo stendino,
pentagramma di note
disposte alla prima esecuzione.
***
Sarà immenso vedersi
con la nuova vita sulla pelle,
faremo costellazione
se un altro disegnerà nell'aria
la nostra vicinanza.
***
Sei un fiume che unisce
continuità e inizio,
ti ho aperto al sole
con tua madre
e ti navigo per sempre.
***
Adesso entriamo nell'ombra
della Terra, noi
vivi al mistero
come esche all'amo del mondo.
Marco Bisanti da Nella camera - esercizi per l'attesa
I nativi scoprirono che vivevano in America...
Morti senza tomba, tombe
senza nome.
E anche
boschi nativi,
stelle nella notte delle
città,
profumo di fiori,
sapore dei frutti,
lettere scritte a mano,
vecchi caffè dove c'era
tempo di perdere tempo.
Il calcio per le strade,
il diritto di camminare,
il diritto di respirare,
lavori sicuri, pensione
sicura,
case senza inferriate,
porta senza serrature,
il senso comunitario e il
senso comune.
***
Nl 1492
i nativi scoprirono che
erano degli indiani
scoprirono che vivevano in
America
scoprirono che stavano
nudi
scoprirono che esisteva il
peccato
scoprirono che dovevano
ubbidire
a un re e a una regina di un
altro mondo
e un dio di un altro cielo
e che questo dio aveva
inventato
la colpa e il vestito
e aveva dato l'ordine di
bruciare vivo colui
che adorasse il sole e la
luna e la terra
e la pioggia che la bagna.
***
L' utopia è là, all'orizzonte.
Mi avvicino di due passi,
lei si allontana di due
passi.
Faccio dieci passi e
l'orizzonte si sposta di
dieci passi.
Per quanto cammini, mai
la raggiungerò.
A cosa serve l'utopia?
Serve a questo : a
camminare.
***
Noi
abbiamo l'allegria delle
nostre allegrie
e abbiamo pure
l'allegria dei nostri dolori.
Perché non ci interessa la
vita indolore
che la civiltà del consumo
vende nei supermercati.
E siamo orgogliosi
del prezzo di tanto dolore
che per tanto amore
abbiamo pagato.
Noi
abbiamo l'allegria dei
nostri errori
dei ruzzoloni che provano
la passione
dell'andare e l'amore
verso il cammino.
Abbiamo l'allegria delle
nostre sconfitte
perché la lotta
per la giustizia e la
bellezza
vale la pena persino
quando si perde.
E abbiamo sopra tutte le
cose
l'allegria delle nostre
speranze
mentre impazza la moda
del disincanto
ora che il disincanto è
diventato
un articolo di consumo
massivo e universale.
Noi.
***
Vennero,
loro avevano la Bibbia e
noi avevamo la terra.
E ci dissero:
" Chiudete gli occhi e
pregate ".
E quando aprimmo gli
occhi,
loro avevano la terra e noi
avevamo la Bibbia.
Eduardo Galeano da La memoria del fuoco
Cornelius Ary Renan " Sappho "
Era il 600 a. C. quando Saffo componeva " Raccoglimi", un frammento potente che con la sua straordinaria forza evocativa ha superato la prova del tempo. Oltre due millenni e questa breve lirica è ancora qui a raccontarci le sfumature dell'amore e a farci rivivere il brivido delle emozioni che esso provoca. Nei preziosi frammenti che ci sono rimasti, Saffo racconta quasi esclusivamente l'amore: sentimento talvolta non corrisposto, altre volte non consumato, altre volte ancora esaudito anche se solo per un momento. L' immagine che viene fuori dai versi della poeta è - in ogni caso - quella di una forza sconvolgente che scombussola la vita di chi la sperimenta. L' amore - per Saffo - non può che essere un sentimento totalizzante che invade il cuore, la mente e il corpo, perfino i sogni e la realtà circostante. Ma se per i poeti suoi contemporanei spesso si tratta di qualcosa dai poteri devastanti, che non lascia scampo agli esseri umani che vivono in sua balia, per la poeta si aggiungono i temi della delicatezza e della capacità che esiste - dentro ognuno di noi - di riuscire a rendere questa gioia tormentosa un punto privilegiato da cui guardare il mondo.
RACCOGLIMI
Vieni
inseguimi tra i
cunicoli della mia
mente
tastando al buio gli
spigoli acuti delle mie
paure.
Trovami nell'angolo
più nero
osservami.
Raccoglimi
dolcemente
scrollando la polvere
dai miei vestiti.
Io ti seguirò.
Ovunque.
Saffo
Nulla occorre che tu mi prometta...
ANTOLOGIA
Nessuno ha detto tutto in vita.
Chi muore soffia
attraverso la fessura
un vapore di nubi
per chi resta
per chi alzando la testa
di volta in volta
nel bianco ritrova
un profilo
e nel silenzio il farsi
un discorso
più lento, a prova
di tempo
ma ormai privo
di punti cardinali
un bianchissimo buio
in cui tutto è leggibile
tranne l'essenziale
forma della gioia.
***
Ritorna.
Scegli tu l'ora.
Nulla occorre che tu mi prometta
o accada.
Ma aspetta che ti riconosca.
Sii vero. Ritorna
perché riesca a lasciare
che vada.
***
LA CELLA
Riesce a stringergli la mano.
Ma le sbarre sono carne.
Buio senza finestrella.
Dietro al corpo c'è un foro
come un occhio alla rovescia
forse eterno.
E' a quell'occhio
che lei fa da sentinella.
***
Forse è così che impara la misura
chi ascolta
dopo anni di clausura
il rompersi inatteso dei portali
il buio tutt'intorno non più a pezzi
e l'orbita di un corpo
che è fatto di silenzio
più di quello che da piccola tenevi
in fondo a un pozzo.
***
Tanto nero
ma solo
raggiunto il fondo
senti
che non ha materia.
E' un foro.
Non dissimile
dal cielo.
***
Accade
che la via maestra sia già pronta.
Nei figli, la notte si fa cava per il giorno.
Nelle tre prime rughe intorno agli occhi
il volo ha il suo corredo.
E in ogni morte
( anche la più lontana )
mette radici
il nostro ultimo congedo.
Raffaela Fazio da Gli spostamenti del desiderio
Noi contiamo le crepe del giorno...
E' un'intervista alle pietre
la trasparenza del fiume
e tutto l'udito e tutta la vista
sono un'unica coscienza :
le distanze si compattano
e nessuno vive da ultimo
nell'acqua che riconosce
i fragili della sua stirpe.
L' oscurità della fretta
è urgenza che non salva
e la carreggiata dall'altra parte
è il regno che disattende.
***
Il gelo di dicembre
sui muscoli delle macchine
nell'ora che sbatte il pugno
contro un sole senza indirizzo.
C'è chi raschia con la spazzola
e chi rovescia mezza bottiglia
e chi stacca dal proprio vetro
un foglio di giornale sfinito.
Noi accendiamo i motori
e sprofondiamo nei sedili
e come orsi polari in letargo
contiamo le crepe del giorno.
***
Qui non abita il distacco
ma il contatto senza bisogno
e non c'è avviso per rendere noto
che tutto in noi è incustodito.
Veglierà per condannarci
la giustizia degli oggetti :
mandria di materie e forme
che tutto crea e ci distrugge.
***
Nuove luci nella notte
sfuggono da due finestre
nel punto in cui la montagna
ci ha abituati a un'assenza.
Forse quelle fronde sfoltite
aprono allo scambio di intese
nei frammenti che ogni sera
risalgono la propria caduta
e viene da scacciare i vetri
e imbrigliare i sipari
per costringere al coraggio
chi ci chiama dal buio.
***
Se la polvere ci parlasse
di sé non racconterebbe niente
ma ci direbbe delle crepe e dei ragni
e dell'infelicità dei pavimenti.
Svelerebbe l'ambizione dell' armadio
di non vivere con un fianco cieco
e la pena del chiodo nel sostenere
ciò che gli è impedito di ammirare.
Infine ci chiarirebbe la morte
dopo l'appello delle sveglie
quando dalla tenda alla trapunta
un nugolo d'oro ci circonda.
Luca Bresciani da Ogni giorno ha un cielo diverso