martedì 28 febbraio 2017
GLI ADDII DI OSIP E NADEZDA
Kiev, primo maggio 1919 in un ritrovo di giovani artisti e letterati,
Nadezda Chazina - non ancora ventenne, ebrea, studentessa di
pittura - incontra un giovane che recita versi misteriosi e incantatori. Nadezda è sorpresa da un brivido; c'è qualcosa in lui
che irrazionalmente sente di condividere : " la sventatezza e la coscienza di una catastrofe ineluttabile". Lui è il bizzarro e anti -
conformista Osip Mandel' Stam, uno dei più grandi poeti del
Novecento, un uomo - ma questo Nadezda lo capirà solo più avanti - che " ha i tratti dell'ebreo errante e dell'esule perfetto". Nella Russia sconvolta dalla rivoluzione e dalla guerra civile, tra speranza e paura, nasce un amore assoluto e invincibile, segnato dalla costante presenza della poesia, che si fa rovente strumento di
libertà. Separati per quasi due anni dalla turbolenza della Storia,
Nadezda e Osip si ritroveranno nel 1921 e non cesseranno di amarsi fino a quando, nel 1938, al culmine del terrore staliniano,
Osip sarà deportato e morirà in un gulag siberiano. E se non morirà la sua poesia, sarà merito esclusivo di lei - indomabile nell'amore e nel coraggio come apparve a giovani visitatori della
sua vecchiaia quali Josif Brodskij e Bruce Chatvin - che per anni
aveva ricopiato, nascosto e distribuito ad amici fidati i versi del
marito fino a diventarne la memoria vivente.
frida
LA SCIENZA DEGLI ADDII
Osip e Nadezda
" Ho imparato la scienza degli addii
nel piangere notturno, a testa nuda ".
Osip Mandel' Stam da Tristia
LA SCIENZA DEGLI ADDII 1
Sono io, Nadezda... Osip, dove sei?
(...) Ma quando gli amici vanno via, il the è finito e la stanza è
silenziosa, la memoria e le mani la tormentano. Come
testamento la ricetta della marmellata di arance confidata all'
amica non le basta. E' vero, le poesie sono al sicuro, non
bisogna trascriverle né ripeterle giorno e notte, ma proprio per
questo, ora che la sua missione è conclusa, a lei che cosa resta
se non l'immagine di quel vecchio consumato come un'inutile
moneta dalla lima del secolo belva?
Le sue mani non vogliono star ferme, la memoria non le dà
tregua. Finchè un giorno capisce. La memoria le dice che c'è
dell'altro da salvare, che un altro testamento è possibile. Non
può andarsene dal mondo senza aver raccontato quanto sa di
quell'uomo allegro che ha vissuto con lei e mai ha lasciato che
perdesse il coraggio. Deve raccontare quanto sa della sua
terribile epoca. E dei versi, e degli uomini, dei vivi e dei morti.
E delle donne, quelle che hanno seguito gli uomini nella
deportazione e quelle che sono rimaste a casa come lei, a
torcersi nell'angoscia, perseguitate, sole, tacendo, mordendosi
la lingua. Del resto, Osip e lei non hanno mai creduto che il
tempo si muova in modo lineare, progressivo. Il tempo se ne
va e poi torna, torna a passare dove è già passato, raccoglie,
sposta, riporta: per questo l'occasionale reca il segno dell'
eterno. Ma soprattutto non vuole avere davanti agli occhi l'
immagine di lui come l'ha visto l'ultima volta, un uomo confuso
che inciampa e rabbrividisce mentre altri uomini in divisa lo
portano via all'alba senza il tempo di un saluto. Tantomeno il
vecchio cencioso della baracca. Vuole riportare l'immagine di
quel giovane sottile e pensieroso che recita cantando, a cui lei,
coi tacchi, arriva al mento e che guarda da sotto in su con
insolito stupore. L'uomo che ha conosciuto in un giorno di
festa quando, senza intendersene molto di uomini, ha fatto la
sua scelta, la scelta giusta.
Così un giorno a Pskov, malgrado la vicina la stia spiando e
il cuore, invece di battere, si ostini a borbottare come un ospite
seccante, prende una risma di fogli, una scorta delle amate
sigarette Belomorkanal e inforca gli occhiali rosa da vecchia
zia, per cui tutti la prendono in giro.
E si mette a scrivere. (...)
Elisabetta Rasy da La scienza degli addii
LA SCIENZA DEGLI ADDII 2
(...) Scrive e scrive, anche quando è stanca, o quando è malata,
quando le fragili ossa della mano si ribellano - pagine su
pagine, vita su vita.
Questo è il testamento : le orme nella memoria - la memoria
non è sempre stata il suo bene, la sua salvezza? Stavolta non
sarà Orfeo a cercare Euridice agli Inferi, passando per quella
porta dell' Ade, laggiù in Crimea, che fa sognare Osip e i suoi
amici. Sarà Euridice, con l'incantesimo della memoria, a
cercare Orfeo. E non se lo lascerà sfuggire. Del resto, se lei
fosse stata Orfeo, non si sarebbe certo voltata a guardarla,
Euridice. A lei non era necessario guardarlo, Osip, per sapere
che le era vicino. (...)
Elisabetta Rasy da La scienza degli addii
LA SCIENZA DEGLI ADDII 3
(...) Ora non vede più neanche la luce fastidiosa della stanza
accanto : è tutto buio, o quasi. C'è un raggio, Osip l'ha scritto
in una poesia, e in una poesia tutto si avvera. Avrebbe voluto
seguire il raggio, diceva Osip nei versi, e che lei, Nadezda,
diventata raggio, imparasse dalla stella il senso della luce.
Sappi che mormoro, e mormorando ti affido al raggio che dura
in eterno, bambina mia - così aveva scritto Osip quarantatré
anni prima.
Ora non sente più il brusio della casa, ma quel mormorio sì, lo
sente : il mormorio delle labbra che si muovono e che niente
può far tacere. Anzi, ora che tutt'intorno c'è un silenzio
profondo, riconosce la voce: è una voce inconfondibile, che
recita cantando. Non riesce ancora a vederlo perché c'è un
gran buio, ma segue la traccia della voce. La voce è forte, deve
essere molto vicino, nel raggio insieme a lei. La voce è ancora
più forte, e si confonde con la sua, perché anche lei sta
parlando...
Sono io, Nadezda... Osip, dove sei? (...)
Elisabetta Rasy da La scienza degli addii
LA DEPRESSIONE NON E'
La depressione non è nera
la depressione è bianca,
di quel bianco lancinante
sulle palpebre al mattino,
di quel bianco lattiginoso
attorno alle orecchie,
di quel bianco sporco
del soffitto nella notte,
di quel bianco placenta
in cui ci si vede allo specchio,
di quel bianco albume
del cervello nella nebbia,
di quel bianco - viola
che sono le labbra dei morti.
La depressione è nera
solo negli occhiali,
che proteggono
dalle notti in bianco.
Anna Toscano da Doso la polvere
Perhaps, Perhaps, Perhaps
...e non dirmi sempre : forse...forse...forse...
lunedì 27 febbraio 2017
LETTERA A UNO CHE NON VISSE COME VOLEVA
Fratello, amico mio,
è per te questa carta che si è fatta aspettare
come i germogli del petto nell'estate.
Ti scrivo che ho pensato molto a te
e ti vedo adesso con il tuo collo inchiodato
che fugge dal torace e dalle mani:
con questo tuo modo di tenere gli zigomi
fuori di te,
più lontano dalla tua pelle che dal tuo nome.
Come credo ti dissi, giungerò all'improvviso
un giorno in cui nessuno viaggia,
un giorno ineguale che accorrerà ai miei occhi
quando io lo chiamo
e si sfilaccerà nel mio profilo
cresciuto di grappoli e di greggi.
Però adesso, precisamente adesso,
che ho di fronte una madre di Picasso
dell'epoca azzurra,
una madre inondata dai suoi materni echi
e dei suoi stessi verbi circondata,
dalle cui labbra sbocca un bimbo
intermittente e minimo,
precisamente adesso - dico -
mi viene la tua casa nel ricordo
e so, dall'odore, e dalla passione e dal tatto,
che cosa mi dirai quando ritorni:
del colpo nella quiete del bambino
e del grembiule con iniziali
all'ordine del giorno negli accordi familiari.
" Povero piccolo, cascò dall'arancio
la scorsa settimana, tutto intero cascò,
e non gli rimase altro
che una minima parte di labbro
per piangere a dirotto per le ginocchia
e il vestito e la caduta".
E la ragazza altissima con palpebre d'uva,
dove discorrono nella sera le rondini,
e la zia con i pettinini della chioma odorosa
e le braccia dolcissime.
E il pane in controluce di velluto
sui declivi dentro cesti abbagliati,
il pane udito sempre,
nella forma mutevole di braccia,
il molle pane
fratello primogenito del grano,
il cui fianco si ruppe in pianura.
Il pane - fratello -
il pane,
pane della tua casa
e della mia
e del fratello eterno che ci segue.
Il pane che giustifica la mitezza in pace,
quello che ci fa guardare verso l'alto la terra,
quello del lievito che trascorre in un abbraccio.
Il pane dell'uomo che riposa
col mio collo nella sua anima
e il mio ventre in suo figlio;
il tuo,
il mio,
quello di tutti.
E' per lui che,
quando nelle vendemmie imbrunisce,
tutti domandano se arrivò alla bocca,
o se è il suo odore di abituato albore
che ritorna alla bocca,
che prima del pane incarna
ed è il verbo e la voce di colomba.
Ti ho raccontato del pane,
fratello,
e della casa
dove il lievito cresce nella notte
e lo si sente sollevare
l'edificio del sangue;
dove il lievito
organizza il silenzio che lo abita,
aggruppa l'aria
e fonda l'acqua che lo fanno
profonda materia radunata e pura.
Ho poco ormai da raccontarti,
se non fosse che per svelarti tutto questo
ho lasciato momentaneamente fra le mie cose:
libri, quadri, vesti,
il mio cuore in un ramo
e sono adesso così vicina alla sua assenza
che quasi ne ignoro la causa;
tanto assoggettata a lui che devo già tornare
- senza attardarmi -
per aiutarlo a realizzare il suo compito
di palpitare a tempo e di bastarmi.
Eunice Odio da Come le rose disordinando l'aria
Elegia
...l'amore è uno stregone, un fuoco isterico, magnifico...
domenica 26 febbraio 2017
AFORISMA
"A volte non è nella luce accecante e persistente del sole
che si vede più chiaro,
ma nei bagliori subitanei della tempesta."
frida
Ne me quitte pas
...je ferai un domaine où l'amour sera roi...
L' INDE. QUE SAIS - JE ?
(...) In un capitolo di Notturno indiano, un membro della Società di
Teosofia di Madras, un signore raffinato e distante, sottopone il
mio personaggio ( il viaggiatore occidentale che si è recato in
India sulle tracce di un amico scomparso ), a una sorta di
esame, interrogandolo sulle sue conoscenze di quel Paese.
Imbarazzato dalla propria incompetenza e come punto sul vivo,
il protagonista risponde sgarbatamente : le sue conoscenze
sull' India consistono in una guida in inglese, India, a travel
survival kit e soprattutto in un libriccino della
collana francese " Que sais-je? ( una sorta di Bignami
transalpino ) che si intitola L' Inde. Que sais - je?
Quel mio romanzo era preceduto da una nota con le mie iniziali
che comincia così : " Questo libro, oltre che un'insonnia, è un
viaggio. L'insonnia appartiene a chi ha scritto il libro, il
viaggio a chi lo fece." Dietro questa specificazione, plausibile
per ogni libro, ma che sembra scritta apposta per narratologi,
si cela - non lo nego - una excusatio non petita.
E' tempo di ammetterlo : le conoscenze sull' India dell'insonne,
che coincide con chi ha scritto li libro, probabilmente non
erano molto diverse da quelle di chi aveva fatto il viaggio, cioè
il suo protagonista. " La cattiva coscienza", una faccenda che
si verifica ovviamente solo a posteriori, non tardò a intervenire
Come desideroso di togliere il mio personaggio dalla profonda
ignoranza in cui si trovava, cominciai a leggere tutto quello
che lui avrebbe dovuto aver letto sull' India prima di
intraprendere un viaggio del genere. Possibile - cominciai a
chiedermi - che con le conoscenze che ci hanno lasciato dal
Medioevo fino ad oggi tutti i nostri grandi viaggiatori, uno
scrittore avesse il coraggio di infilare in un suo romanzo - in
un continente del genere - e in situazioni tutt'altro che facili,
un personaggio così smaccatamente ignorante?
Libri e libri cominciarono ad accumularsi sulla mia scrivania,
finchè non mi sembrò di avere materiale a sufficienza da poter
suggerire al personaggio il comportamento giusto e le risposte
adeguate per le situazioni in cui si trovava. Rileggevo ad
esempio il capitolo allorchè il mio viaggiatore conversa di
notte nella stazione di Bombay con un jainista che va a morire
a Madras, gli dicevo : " Tira fuori almeno una frase decente
sul jainismo come l'hai letto su quello storico delle religioni;
non ti accorgi che la vostra è una conversazione fra sordi?".
Oppure rileggevo il capitolo in cui il viaggiatore entra nel
sordido alberghetto Khajuraho e colto da stupida paura,
reagisce facendo sapere che la sua ambasciata è al corrente
delle sue mosse e gli dicevo : " Comportati come quel
giornalista inglese che ha girato tutto il mondo e che in una
situazione del genere sa benissimo che ad un occidentale non
torcerebbero mai un capello; hai fatto la figura del fesso."
Così pensavo, convinto ormai di sapere a sufficienza sull' India
Ma sull' India non si sa mai abbastanza. (...)
Antonio Tabucchi da Viaggi e altri viaggi
sabato 25 febbraio 2017
IL BACIO
Calmare piano l'affanno
che ci portiamo appresso in due
- ad altezze diverse di spalle.
Ma le mani, le mani esibiscono calli
e morsi alle unghie
come di gran lavoro o fatica
per partenze diverse o solo diseguali,
nascoste dietro, tra le curve
dei non so
non voglio sapere...
E' questione di sporgersi oltre la spalla
la verità.
Con il mento piantato nel nervo.
Fammi scendere - ti prego - dal cespuglio
di rovi che ho messo
per pareggiare la misura.
Non è una richiesta - lo so :
vorrei solo un bacio.
frida
giovedì 16 febbraio 2017
IL RESPIRO DEL VIAGGIO
Lasciati trovare dietro a quel vetro
che scorre fotogrammi sui fiori
dell'inverno, o nel lampo di un malcelato
sguardo, sperduto tra le righe binarie
delle sorti altrui.
Sanno dove cercarti, le parole. Conoscono
il respiro del viaggio
e quelle voci che non dicono, e del dire
che sussurra piano. Fermarsi nell' attesa
è come librarsi in volo, dentro sé.
frida
Morricone - Mirelle Mathieu
Sanno dove cercarti, le parole...
mercoledì 15 febbraio 2017
PAROLE DEL GIUSTO
Le parole del giusto sono fonte di vita,
ma la bocca dell'empio cela inganni.
L'odio suscita contese,
la carità - invece - copre ogni fallo.
Sulle labbra del savio trovi la sapienza,
sulla schiena dello stolto trovi la verga.
I saggi mettono in serbo la scienza,
la bocca dello stolto è pronta rovina.
I beni del ricco sono la sua sicurezza,
la miseria del povero è il suo terrore.
Il guadagno del giusto serve alla vita,
quello dell'empio sfuma nei vizi.
Chi accetta la correzione
è sulla via della vita;
chi disprezza l'ammonizione si smarrisce.
Le labbra bugiarde nascondono l'odio,
chi diffonde calunnia è uno stolto.
Chi parla molto, non va immune da falli:
il prudente frena la lingua.
Argento puro è la lingua del giusto,
ma il cuore dell'empio non vale nulla.
Gli insegnamenti dei giusto nutrono molti,
la mancanza di senno uccide gli stolti.
Dal Libro dei Proverbi ( Bibbia )
DEDICA
Dei nostri incontri non parlerò a nessuno.
Né alle streghe né al vento
né a questi anni pieni di luce e di pazzia.
Nessun colore imbratterà quel bianco
dove ci siamo conosciuti, con gli occhi lieti
e la semplice magia di tutti i sogni.
Ogni lanterna sarà la nostra casa,
la nostalgia che assiste come fiocchi di neve,
il silenzioso ferirsi della goccia sul viso.
E nella casa ho visto
come specchio una candela,
la melodia che sale, il vino, quei profili di porpora
che guardano lontano
verso vangeli sconosciuti, un'amicizia.
Poi, le mille strade di un mattino.
Come quando, colmi di affetto e di tristezza,
stringendo in mano un segno della vita,
camminiamo sotto altari di pioggia
mentre appare - dal niente - una parola.
Marco Tornar da La scelta
" Dedica" vuole essere il mio segno di riconoscenza verso quelle
persone che - al di là delle metafore e delle situazioni contingenti-
sapranno riconoscersi in questa delicata poesie del ricordo. Ma
anche dell'attualità. Non c'è un tempo stabilito della vita per l'
amicizia perché, anche se la letteratura ( e la psicologia ? ) la
considerano quasi una prerogativa dell'infanzia e dell'età
giovanile, io penso - al contrario - che la vita e le sue vicissitudini
ci portino ad apprezzare meglio il calore e la tenerezza che
nascono dalla consapevolezza dell'età matura. Proprio come i
frutti autunnali che sono i più dolci perché trattengono nella loro
succosa polpa tutto il sole dell'estate .
frida
Nino Rota - Romeo and Juliet
Ogni lanterna sarà la nostra casa....
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