Anna Proclemer |
Ma c'era una cosa che era lievitata in me inavvertita e segreta, una presenza che pretendeva di essere riconosciuta e ascoltata: la mia maturità. Avevo trent'anni e dovevo cominciare a scoprire chi ero. Per fare questo avevo bisogno di essere sola; avevo bisogno di andare alla ricerca della giovinezza che non avevo avuto. Avevo bisogno di libertà, di irresponsabilità, di indipendenza per diventare finalmente responsabile e cosciente.
Mi rendo conto che tutto ciò suona forse orribilmente ibseniano. Ma non posso camuffare la realtà; non posso - in omaggio al buon gusto - scegliermi una verità di comodo per fare bella figura. Mi sono chiesta molte volte se questa ricerca di me stessa, questa operazione di recupero sarebbe stata possibile senza troncare il legame con B. Credo proprio di no. Fra noi l'affetto era profondissimo, ma la confidenza assai scarsa: troppo riserbi, tra noi; troppa diplomazia, e civiltà, e delicatezza, e prudenza, e pudore. Sono qualità in sé preziose. Pericolose in un rapporto. In sette anni di matrimonio non ricordo di avere mai alzato la voce o discusso con una certa vivacità, o sbattuto una porta o detto " non mi seccare ! ". E altrettanto posso affermare di B. Vivevamo con estremo garbo in una sorta di astratta tolleranza, tenendo accuratamente in disparte ogni sia pur lieve accenno di passionalità e di intemperanza. Persino gli impulsi del carattere venivano imbrigliati in ossequio a un ideale di compostezza e di razionalità. Con le più nobili intenzioni, con la più scrupolosa sincerità vivevamo una menzogna.
Anna Proclemer da Lettere da un matrimonio
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