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martedì 4 febbraio 2025

L ' ATALANTE DI RAIMONDI

 


                                                     Tenerti a memoria come chi scompare...




Stefano Raimondi chiude - con questo nuovo libro - il lungo cammino della sua   Trilogia dell' abbandono, iniziata nel 2013 con  , Per restare fedeli ,continuata quattro anni più tardi con Il cane di Giacometti  e giunta ora al suo pieno compimento. L' abbandono che origina la Trilogia sarà - come sempre accade nella poesia dell' autore - un' esperienza concreta e dolorosamente vissuta, ma tuttavia non c'è nulla in questi libri di eccessivamente soggettivo, perché la scrittura non ha nessuna intenzione di farsi confessione o esibizione : al contrario, essa ambisce a trasformare il dato soggettivo in terreno comune, il pegno pagato dall' Io in riflessione sull' essere di tutti.




E siamo tutti qui

per allevare e crescere qualcuno

che duri, che resti, che faccia

qualcos' altro delle nostre ossa

del nostro bianco triturato a colpi d' aria

che dica tutto a qualcuno che venga

ancora e dopo e dopo ancora e sappia

raccontarci dei profili delle cose

tolte a poco a poco dal sangue

dal rimbombo di un bacio sceso

dalla bocca alla gola.



                                              ***


Ci sono istanti che a capirli

non raccontano più nulla, 

ma fanno strade, piazze, facciate

dove appendere finestre, balconi

ringhiere e non sapere quale sia

la porta, il modo di fare stanza, bocca :

l' abbraccio che fa restare stretti

fino al mattino, senza chiedersi niente

semplicemente, senza niente.



                                               ***


Tenerti a memoria come chi scompare

come l' insistere delle ferite sotto

le cicatrici, come fossi solo tu

il taglio, il sangue, il sale.


Ma non è questo il vero

il patto fatto a neve appena sciolta.


Si tengono vicini gli orli della sete

i baci, come gli annegati

la loro bolla d' aria.



                                                  ***


                                                              Si tengono le parole

                                                              strette come salvagenti.


L' avresti ripetuto 

un giorno intero, aggrappandoti

tremando per il silenzio arrivato

fino alla gola e tu non lo sapevi

ancora, delle bracciate fatte controcorrente.


L' avresti cercato dall' altra parte

l' orizzonte, se non ti fosse 

mancato il fiato.


Si giunge a riva sempre

come da una prima volta, sempre

con un respiro tolto in più, da benedire.



                                                ***


                                                            Dimmi da quale grazia partire

                                                            per rendere conto alla luce

                                                            alle tue mani, al fiato slegato.



Eppure ti ho creduto fino alla fine, fino

a quando il capogiro non si è fermato

sopra un' alleanza tolta dalla carne.

Ti ho creduto senza che nessuno

lo sapesse del giorno tolto, piano piano

dalle lenzuola, dai bordi della casa.



                                                      ***


                                                          Si cominciano così le preghiere :

                                                          a testa alta, con le mani premute

                                                    sulle gole, come per non morire mai.



...eppure non lo si sapeva 

di essere perdonati, di tornare

a fare i conti con le ore serene

con i respiri perduti tra le gambe

che non fossero le nostre, quelle

sbandate verso il basso, verso l' inferno.



                                                       ***


I perdoni si chiamano per nome :

si tengono vicini come le barchette

- inseguite nelle vasche dai bambini -

che si allontanano, si sgridano

che si guardano nei cerchi perdonarsi

come da rotte fuoribordo

scendere, scendere e non sai più

se aspettarle dall' altra parte

o credere ai fondali.



                                              ***


Siamo qui e non possiamo dirci

cosa abbiamo amato la prima volta

cosa c'è rimasto in cambio quando

l' acqua ci è arrivata addosso come

un tempo e si sono arrese

in un dirupo d' ossa 

le nostre boe girate piano.


Fanno appelli le carezze

dei volti che si scordano

uno dopo l' altro, in fila

e poi è un imploro solo

a ritornare come una marea.



                                             ***


E non si osava più neppure vedere

il niente, il torto, il dolore

di un seme uscito a fiotti.


Lasciamolo il male del perdono

il rancore, con il suo secondo

in più per l' odio.



                                              ***


Ho visto cose strane dentro il giorno

respiri portati a mano, doglie gentili

sguardi scambiati per carezze

e una donna seduta all' Ipercoop

che allatta senza date, marche

senza scontrino e di continuo

preme la mammella con le dita

e non suona nessun allarme

quando esce, quando

non ha rubato niente.

E' così l' amore.



            

                              Stefano  Raimondi    da        L' Atalante

                                                               


venerdì 17 novembre 2023

RAIMONDI E IL SOGNO DI GIUSEPPE

 


                             Giuseppe spiega i sogni a Faraone -  Dipinto di Scuola Veneta



Nella Genesi si racconta di come il faraone d' Egitto, non riuscendo a interpretare un sogno inquietante, avesse mandato a chiamare - sotto suggerimento di un cortigiano - un giovane ebreo di nome Giuseppe, figlio di Giacobbe, recluso in una cisterna nelle prigioni di palazzo. Grazie alla scintilla di Dio viva in lui, infatti, Giuseppe era in grado di sciogliere ogni dubbio sul mondo delle visioni, e così fece anche con Faraone il quale, per ringraziarlo, lo liberò associandolo al trono.

Attorno a questo episodio, Stefano Raimondi ha costruito " Il sogno di Giuseppe ". Il libro però non racconta la vicenda biblica:  l'autore la usa per creare un contesto, uno sfondo; la raccolta è infatti priva di ogni dimensione narrativa. Al centro del quadro a cui l'esergo biblico ci conduce, c'è solo Giuseppe in cella ( la cisterna ), visitato regolarmente da sogni di fuga, naufragi e morte: un viaggio onirico lungo i trentanove componimenti disseminati di visioni, comparse e apparizioni di cui egli è - a un tempo - protagonista e voce narrante. La visionarietà di Giuseppe è associata ad una predisposizione all'ascolto, a sua volta legata all'esilio silenzioso in cui si trova. La sua figura è  anche assimilabile agli indovini dell' antica Grecia, come Tiresia, ai quali il dono della comunicazione col dio è data ad un prezzo di grandi sofferenze, e come Tiresia, Giuseppe - Raimondi si muove in una dimensione ubiqua, a cavallo  del mondo sensibile e di un mondo " altro", in un moto inesausto tra una dimensione orizzontale e una verticale.

E come Giuseppe, Tiresia e ogni indovino ( comunicatore del profondo ) è il poeta.




Il sogno di Giuseppe 

diventò di pietra : divenne

cisterna, poi casa e fondale.

A fuggire sarebbe riuscito solo

il corpo sottile di sabbia.

Le sue caviglie erano portali

soglie, dove liberare fratelli e padri.

La casa era sempre più vicina al sogno:

sarebbe crollata con il giorno

con il suo ritorno, indietro, nelle stanze.


La cisterna si fece casa, pelle

voragine di ascolti. Entrarci

era sognare, partire.



                                                 ***


                                  Non tutti i sogni sono uguali:

                                  alcuni vengono per ferire

                                  altri per avvisare.


 "Sono qui e penso a salvarmi.

Qualcuno verrà a togliermi

i polmoni dall' acqua

il legno da sotto le unghie.


Sento ancora le voci

dall'ultimo sogno: abbracciano

le madri intarsiate di luci.


Nessuna parola tiene più

a galla i corpi."



                                                       ***


" Ho fatto un sogno solo

aveva poche cose da dirmi

come sono poche le ore

che finiscono vicino alle cantine

e per niente e per poco respiro

stanno a guardia delle loro ombre."


Si resta nel sono come in amore, quello

che si tiene vicino per non dimenticarsi

per non lasciare il punto da dove si è partiti

insieme alle sembianze.


" E cambiano le cose sparse sopra i tavoli. "


Sopra le cisterne passano i mercanti

e i sogni devono essere raccontati

per salvarsi.



                                         ***


" E' un'altra frase sulle pareti 

incise, di questa cisterna

che mi tiene come una preghiera, come

una maledizione che non smetto

di ascoltare. E sono loro ancora

a gridare dai rifiuti, loro

le voci che non approdano

che fanno paura, loro

i làsciti, i lasciàti stare

che tengono a bada l'umano

che tolgono bende; che sono il taglio

e la guarigione insieme".


La sentinella diventa un'ombra;

da qui sembra la faccia conosciuta

di qualcuno.



                                               ***


" Mio padre non è mai partito:

il suo restare è come un'anfora voltata.

Ma a chi domando spazio qui

se è solo un sogno ad ospitarmi?

Lasciare che l'abbandono faccia doni

è quello che mi resta."


La luce ritagliava mezzogiorni a picco

sulle coste, senza muoverle mai.

Era da lì che i morti passavano

uno alla volta, per farsi riconoscere

e i padri per ultimi come spalle voltate.



                                                ***


"Non ci sono deserti grandi abbastanza

come questo respiro. Liberate

tutti gli sguardi, tutti

gli angoli delle case ; che giri

la luce su ogni pietra; che passi

il sangue in ogni paura, sopra 

ognuna delle travi che tengono

i soffitti rivoltati dalle cantine. "


Diceva così Giuseppe prima di sognare

prima che al buio potesse domandare

altro buio ancora.

Si tengono ombre in serbo

prima di morire, prima di lasciare

che l'acqua si faccia più madre 

di un fondale.




                          Stefano  Raimondi  da    Il sogno di Giuseppe



martedì 11 gennaio 2022

PIU' CHE SINCERI

 



                               Questo cercare di sapere dove inizi la fine di qualcosa...






Le storie stanno dove si raccontano
tra le parole:
nel loro stare  vicino al vero
al sogno di qualcuno.

( Maggio 2007 )


                                           ***

Fi tu ora i conti, falli
partendo dal due, facendo
il primo cerchio chiaro -

E' qui, su questa panchina
che ti ho concepito come
idea del piccolo, del minuto
del bruno, del mio occhio blu
della sua pelle d'ombra.

E' qui che ho trovato il centro
di tutto un fiato a ponte lungo:
quello impigliato tra i padri
e dai padri ai figli dei figli ancora
a tutta questa luce che ci tiene
tra un parco di bambini al sole
e una folla di silenzi pieni
che ti portano qui a salvarmi:
farmi uscire.

( Ottobre 2007 )


                                                    ***

Guarda le sponde di un fiume
come cantano una di fronte all'altra:
tengono un buio fatto di cori -

Sono le parole - assi
che fanno diventare padri i padri
e figli i figli, quelle
messe di traverso, quelle
che appoggiano, che scricchiolano
che tremano, quelle
che s'incurvano sino alla fine del passo
che sobbalzano e spostano, quelle
che fanno paura, che lasciano
la luce passare, quelle
che tengono l'aria a bada e il vuoto
quando vuole gridare, quelle
che nel nodo centrale fanno
cerchi di muschio e ombra
e si fanno tese e poi sicure, quelle
che se ti volti vedi che ti lasciano passare
e l'hai già dall'altra parte il piede
in un altro suono, un altro equilibrio
riconosciuto a fiato spesso
a mani calde
a memoria
come un nome.

( Novembre 2007 )


                                                    ***

- Ci sono parole testimoni, parole
passate di mano in mano
con il fiato rotto solo
dalle promesse -

Sono rimaste qui le parole lago
quelle ferme, circondate, quelle
lasciate riposare, che tengono
a bada il cielo e non lo dicono
subito, non lo fanno scendere:
ancorare. E sono come pietre
lasciate stare, mai alzate, fatte
di pietà e di gioia  - tetti ai formicai -
e non tengono l'acqua ma il vapore
bianco dei respiri: fiato sopra un volto
che non ho chiuso nella luce
ma lasciato tra l'ombra e una quiete
strana di bambino.

Sono queste le parole lunghe
le stesse che direi lasciando
tutto, le sole che farei
ripetere a un figlio
ad un riflesso nato in tempo.

( Lago di Lecco , Luglio 2008 )


                                            ***

- Quando qualcosa cambia si resta vicini
e soli come l'amore nelle preghiere -

Lasciare che i tempi si stratifichino
le immagini si sovrappongano
e tra tutto questo cercare di sapere
dove inizi la fine di qualcosa
che dica tutto e daccapo
con la pace di un fiato
che scorra, faccia vie.
Non sono ombre che amo
ma corpi che stringo, che tengo
vicino come le pareti stanno
intorno ai chiodi, le nuvole
attorno alle finestre, i gelsomini
nel bianco come i baci.

( 3 Aprile 2009 )




                          Stefano  Raimondi   da  Più che sinceri




venerdì 29 settembre 2017

SOLTANTO VIVE 1


(...) Lo so che sono una tra le tante: le
      murate, le sconfitte dal silenzio, le
      tolte male dai giorni, le
      lasciate sole.
      Lo so che sono come loro: le
      accusate, le impaurite, quelle
      con le porte chiuse, quelle
      lasciate lì a tremare.
      Lo so che sono come sono le
      soltanto vive. (...)




(...)  Basta togliermi gli specchi, le cose che
       ributtano i riflessi, le luci. Le vedo lo stesso
       le pelli rosse, slabbrate, sbendate, i buchi
       dell'acido che cantano da me preghiere
       come dalle cripte, suppliche ingioiate
       come dai sepolcri.  (...)




(...) Ho voluto studiare la parola, il suono che
      fanno nella mente. Ho voluto sapere di
      Antigone e le altre. Ho voluto solo sapere!
      E da qui faccio vermi e acqua insieme; da qui,
      sepolta come viva, tra la vagina e un muro. (...)
 





(...) Come questo giardino nascosto tra le case,
       resto ad aspettare il cigolare del chiudersi
       dei cardini e poi il sognare. Innaffio i fiori,
       parlo con la terra e dalla schiena scura
       sento l'umido girarsi sopra un fianco e
       sussurrare alle radici gesti muti, terminati.
       Solo tu cammini sulle aiuole, le calpesti,
       solo tu, visto dalle ombre. Strappi i germogli
       e nessuno che ti dica qualcosa, nessuno che
       blocchi questo scempio. Aspetto l'inverno
       come un sollievo. Il bacio di Proserpina
       è un perdono, dato come supplica e non
       come ringraziamento.  (...)


       Stefano Raimondi    da    Soltanto vive

  

SOLTANTO VIVE 2



(...) Ma quale amore, quale dolcezza mi resta attaccata a questi
       denti spaccati? Volevo sorridere senza sapere di te, che mi
       cercavi ancora come le foglie, quando si sfondano a vicenda
       sui tombini, per cadere. (...)



(...) Non ho trucchi, né colori per morire : ho solo paure.
      Non ho stoffe che mi sappiano coprire dal tuo sguardo che mi
      sbenda e che mi dice sì... e sul bianco ho del rosso che mi
      scende dalle gambe e non ha benedizioni.



(...) Sì! Sono una reliquia, un osso bianco messo sotto vetro, un
      brandello di tunica strappata, una goccia di sangue
      rinsecchita, una tibia slogata dalle preghiere, dalla forza delle
      tue invocazioni: piena di grazia morta.
      Tu sia benedetto da qui, ma altrove che si sappia il tuo nome
      e dove vivi.  (...)




(...)  Ti ho creduto come fa la messe a fine estate. Ti ho creduto che
       potevano bastarci, ti ho creduto come fece Sarah nella tenda
       dietro gli angeli - sì - ho creduto anche agli angeli.
       Ti ho creduto fino in fondo alle viscere, ti ho creduto - sì - ti
       ho creduto come la grotta crede al buio, al suo spiffero, al
       suo freddo che sale dalle pareti come le ombre salgono sopra
       i marciapiedi. Ma cosa faccio ora qui, lasciata stare come
       fossi io l'urlo della caduta, come fossi un cencio buttato tra il
       tavolo rotondo e la cucine nuova? Ti ho creduto, amore mio
       infernale: avevi occhi splendidi sulla lama e un sorriso
       bellissimo sulle labbra. Ti ho creduto - sì - ti ho creduto e non
       ho ancora detto nulla di me - incredula - che nel taglio aveva
       messo una gola che cantava .  (...)


             Stefano  Raimondi   da    Soltanto vive