Pensi di essere sulla Terra ma è un falso immaginare, e lo vedresti se non avessi rimosso il trauma. Tu non sei in Terra, sì come credi, e il fuoco che si allontana dalla sua dimora contro la legge naturale non è mai sceso così velocemente come ora tu sali
mentre qui non respiro più da un pezzo
e mi vengono in mente paesaggi regolari di pale eoliche
come penso che per noi il tresoro sia due cose diverse :
Il viaggio intimo e universale della nascita, della maternità, è affrontato in quest'opera dell'autrice con delicatezza e ironia, andando a sondare tutti i dubbi e le domande, le gioie e le paure, la forza e la fragilità che questo evento porta con sé. Alessandra Racca, con lo sguardo acceso sui dettagli del quotidiano, intraprende un dialogo interiore tra un " prima" e un " dopo" con sé stessa e un figlio immaginato, e poi con il figlio vero nei suoi primi mesi e anni di vita. " Di pancia" è un'investigazione sul senso di essere madre ( o di non esserlo), una raccolta sull'attesa, i cambiamenti, il sentirsi inadatti, l'amore, il pensarsi e il riconoscersi famiglia nel nostro tempo. E' un'opera che riesce ad andare in profondità dentro queste tematiche complesse con leggerezza, ma è anche un libro sul corpo che cambia, che genera, che ci parla : un canto nella vita e per la vita.
HO QUARANT'ANNI
Si misurano quarant'anni di madre:
troppi
bene così
sarai stanca
ognuno ha i suoi tempi
il corpo non
avresti dovuto.
Che hai fatto in tutto questo tempo?
Ho raccolto i minuti
ho amato le ore
ho esplorato i secondi
ho riempito il baule
ho scelto le parole
ho atteso l'ora giusta, la nostra
quando è venuto il tempo di dirti.
***
CICATRICE
Fra la promessa dell'esistere
e l'esperienza di te
c'è un margine
sul mio corpo il segno
d' essere stata soglia.
***
VENUZZE
Da qualche anno a inizio estate
affiorano
come ragnatele colorate
nidi di vene sottili sottopelle.
Guardo le gambe e mi dico
è così che si manifesta il tempo.
Dove stavano prima
questi segni?
Perché vengono
a galla ora?
Seduta sulla sponda del mio corpo
affronto questi inizi d'estate
scrutando ciò che sale in superficie
dal profondo.
Seduta sulle sponde del mio corpo
ho occhi di bambina
sul corpo di mia nonna
eppure queste gambe sono mie
a me tocca affrontare ora
la mia parte di mistero.
***
LA DONNA CANNONE
La donna senza figli
quella che ha fatto l'inseminazione
quella che non si sa
quella che avrebbe tanto voluto
quella che ha abortito
quella che ormai
sotto il tendone dell'adeguatezza
si chiede a ognuna
il numero prestabilito
prima dell'inchino normale.
Crescere in sé
la donna cannone
la libertà stellare
di volare in terra
dentro la carne la
più esplosiva
autenticità.
Alessandra Racca da Di pancia ( e altri organi vitali)
Un verso scarnificato fino all'osso, quello di Alessandro Cannavale, fino alla nudità strutturale della parola, perché il poeta riconosce e si riconosce nel lavoro nobile e umile della sottrazione, nell'essenzialità del visibile, per mostrarsi esattamente com'è. Nessuna contemplazione, se non quella di nuovi occhi, venuti al mondo per far scorgere un novus modus respiciens ad res.
Ci si ferisce talvolta
su roveti di ricordi.
Si cade e si risorge
su bianchi deserti
di un foglio di carta.
***
Retroguardia di primavera
balla solo il papavero,
veglia sull'erba di maggio,
porge a un orecchio di vento
la parola degli inermi,
l'impronta inaudita
di ogni premessa tradita.
Il cielo inciampa silente
su calici color sangue.
***
Amo le parole
che sgorgano reduci
da lunghi silenzi.
Solo per caso, senza cercare,
s'imbocca la via dell'incanto.
***
Se per un istante
volessero parlarsi
i destini degli ultimi
come stelle impazzite
nel cielo d'inverno,
intenso sarebbe il bagliore :
per il latifondo della retorica
sarebbe davvero finita.
***
Esserci è la notizia
che percorre l'universo :
concepire l'infinito
in un palpito,
conservarlo con cura
nell'ovatta di un sogno,
nascondere il dolore
in una bugia, se occorre.
Il tramonto accarezza
i ritardi sulle mie scadenze.
E ci sei tu
come accento nuovo
dentro la mia voce.
***
Scrivo perché mia madre,
il mare da cui provengo,
mi ha messo un'onda nel braccio.
Scrivo per quelli che han visto
e glielo si legge in faccia.
Scrivo per chi ha il viso arso
dal giorno in cui si è perso.
Alessandro Cannavale da L' agguato della tenerezza
Chi grida sull'alto spartiacque è udito da entrambe le valli.
Perciò la voce dei poeti intendono i viventi e i morti.
" Sull' alto spartiacque" di Margherita Guidacci, ci offre un intenso e fedele percorso di lettura attraverso le diciassette raccolte poetiche pubblicate dalla poeta, e alcuni testi inediti. Da subito orientata verso una poesia da una forte connotazione astratta e metafisica, lontana dall'ermetismo e pervasa da una costante tensione religiosa, Guidacci ha calato tale propensione anche nel racconto della propria sofferenza psichica, trasformando la narrazione di una penosa degenza in istituto psichiatrico, nella rappresentazione di uno dei volti del doloroso destino dell'uomo.
CITTA' MURATA
Questo nodo di pietra, questa città murata!
La medesima ansia fa cercare una porta
a chi è entrato, a chi è fuori.
Ma se almeno potessero vedere
di là dal muro, pregherebbero forse,
gli uni e gli altri, di non trovarla mai.
***
ATLANTE
Davanti a te la mia anima è aperta
come un atlante, puoi seguire con un dito
dal monte al mare azzurro vene di fiumi,
numerare le città,
traversare deserti.
Ma dai miei fiumi nessuna piena ti minaccia,
le mie città non ti assordano con il loro clamore,
il mio deserto non è la tua solitudine.
E allora, che cosa conosci?
Se prendi la penna, puoi chiudere in un cerchio esattissimo
un piccolo luogo montano, dire : " Qui fu la battaglia,
qui furono le sue silenziose Termopili".
Ma tu non sentisti la morte distruggere la mia parte regale
né salisti furtivo
col mio intimo Efialte per un tortuoso sentiero.
E dunque, cosa conosci?.
***
DAL DOLORE ALLA GIOIA
Il dolore
era piombo e pietra e mi
chiudeva in me stessa.
Ogni giorno una nuova
cerchia di mura,
un nuovo giro di catene.
Ma la gioia
mi dilata ora dal centro del
cuore
fino agli orli vibranti del mio
essere -
leggera come un fiore che
apra i suoi petali al
mattino...
No, più leggera. Io sono
spazio e luce.
Sono il crocevia del liberi
venti.
***
O mia gioia insidiosa, sempre insidiata!
Se tu non fossi insidiata,
non saresti la gioia.
E' necessario l'abisso
perché tu possa spiegare le tue ali.
E' necessaria la notte
perché si accenda il tuo raggio.
Ogni attimo in cui mi possiedi,
è vita che mi inonda, traboccante.
Ma in questo stesso attimo so che in me si ripete
una scommessa mortale.
***
Nel quadro grigio della mia finestra,
le nuvole sono branchi di uccelli impazziti.
Sta meditando un albero
la lezione dell' anno : foglie verdi,
poi foglie rosse, poi nessuna foglia...
Alcuni avranno un'altra primavera
e alcuni avranno una fine di fuoco.
Lo guardo e chino il capo
pensando a come ieri mi sei stato nemico.
Chissà se il nostro amore vivrà un'altra stagione.
" Il perché del titolo : " Terra magra" è una terra che produce poco, che non germoglia e non nutre; è un termine agricolo antico, ma che nella sostanza assomiglia a questi tempi così duri e difficili. Tuttavia vorrei sottolineare che nonostante il dolore, la fatica, le perdite e gli addii, nonostante cioè una dimensione tragica che c'è in " Terra magra" e che attraversa tutto il libro, c'è anche nei miei versi un invito a godere la gioia della vita, nelle piccole cose come nelle grandi; un invito a godere di ogni attimo e la memoria di chi non c'è più, ma va ricordato e conservato nei versi. " ( G. F. )
(...) Sta leggendo, non per sapere, non per imparare, non per accumulare, per ammassare, per acquisire. No, nulla di tutto ciò. Sta leggendo molto di più per dimenticare, per liberarsi, per perdere, per perdersi. Mentre torna ad essere solo, infinitamente solo.
Abbastanza solo per non esserlo mai più.
I libri stabiliscono le coordinate, disegnano le mappe di una contrada deserta, votata all'amore e all'erba incolta, attraversata da animali selvaggi e teneri, in cerca di una sorgente d'acqua, in cerca della sorgente del sonno.
Questo tocco delle parole, questa irradiazione della voce che nell'anima intorpidita del lettore rivela falde d'acqua viva, fonti di fuoco : i veri scrittori sono dei rabdomanti. Dei guaritori. La mano magnetica di colui che scrive, si posa sul cuore nudo del lettore, riassorbe la febbre, tramuta il sangue in acqua. (...)
(... ) Emily Dickinson potrebbe essere una delle figure esemplari di abitare poeticamente il mondo. Il suo sguardo era strettissimo, era il giardino di suo padre, la casa di suo padre e, alla fine della sua vita, non è stato altro che la sua stanza in cui non riceveva nessuno. Persino il medico rimaneva sulla soglia, e dava i suoi consigli da lontano vedendo la malata allungata sul suo letto. Abitava in uno spazio che si è ristretto sempre più. Allo stesso tempo, la carica delle sue poesie era sempre più grande, la loro solare densità sempre più alta. Possiamo anche dire che spiritualmente, è una giovane donna che ha trascorso la vita all'interno di una campanella di mughetto. L' impercettibile, il minuscolo, il muto e fragilissimo scorrere della vita, era ciò che lei abitava con contemplazione.
Contemplare è un modo di prendersi cura. E' demolire tutto ciò che in noi assomiglia a un'avidità, o anche a un'attesa o a un progetto. Guardare e commuoversi per l'assenza di differenza tra ciò che vediamo e ciò che siamo. Ho sotto gli occhi qui, in questo bosco, qualcosa che è molto più prezioso di tutto ciò che un museo potrà mai offrire. Nell'ordine, un po' di muschio, un po' più in là dei rovi, una felce che il sole attraversa come una vetrata. Questa felce è santa per la sua mortalità, per la sua fragilità, per il fatto che incontrerà il decadimento. Cosa fare di meglio se non salutare coloro che sono con noi in questo transitare? Sarebbe bello imbastire tutta una conversazione attorno attorno a questa felce... Il mondo è pieno di visioni che attendono degli occhi. Le presenze ci sono, ma ciò che manca sono i nostri occhi. Chi la vede questa piccola felce impigliata in un ramo spinoso? Il vento la conosce, il vento le parla. (...)
La celebre poesia di Montale si collega direttamente all'etimologia del nome della pianta Helianthus annuus, una combinazione delle parole greche " helios" ( sole ) e " anthos " ( fiore ), dunque " il fiore del sole", che la leggenda lega al mito di Clizia, la ninfa che si innamorò perdutamente di Apollo, il dio che traina il carro del sole, scortando ogni mattina l'astro ardente al centro della volta celeste. Clizia era anche senhal della donna amata da Montale, Irma Brandeis, cui questa poesia dal valore fortemente allegorico sembra destinata.* C'è chi afferma che in realtà la lirica non abbia un vero dedicatario, ma che il poeta stia parlando a sé stesso, esortandosi a vivere una felicità possibile, ignorando il proprio " male di vivere". Infatti Montale, stando alla datazione, non aveva ancora incontrato Irma quando scrisse questo componimento; eppure il girasole sembra prefigurare l'avvento della donna, come fosse una sorta di presagio.
PORTAMI IL GIRASOLE
Portami il girasole ch'io lo
trapianti
nel mio terreno bruciato dal
salino
e mostri tutto il giorno agli
azzurri specchianti
del cielo l'ansietà del suo volto giallino.
Tendono alla chiarità le cose
oscure,
si esauriscono i corpi in un
fluire
di tinte : queste in musiche.
Svanire è dunque la ventura delle
venture.
Portami tu la pianta che
conduce
dove sorgono bionde
trasparenze
e vapora la vita quale essenza;
portami il girasole impazzito
di luce.
Eugenio Montale da Ossi di seppia
* In questo sito si possono leggere " Lettere a Clizia " cliccando ( a destra fra i nomi degli autori ) Eugenio Montale.