" Mi troverai vivo " è un guanto di sfida lanciato alla vita che - con ostinazione pone l' uomo - poeta di fronte a prove stremanti, gravide di turbamenti e afflizioni.
E' ancora l' incanto che lei cerca a tarda sera...
Con " Corpo di fondo " di Lucianna Argentino, entriamo nell' ambito della prosa lirica a carattere autobiografico. Di fatto, più che un' autobiografia in chiave tradizionale, l' autrice vuole compiere un recupero memoriale delle occasioni che più hanno visto fiorire in lei la dedizione alla poesia. Tuttavia - nell' opera - il riferimento a eventi precisi è labile, e anche i dati concreti per la ricostruzione degli episodi appaiono partecipi del clima di rarefazione che connota l' ordito del testo ( assistiamo a incontri d' amore, ad agonie, a cadute e , non di raro, nella pagina irrompe il rumore della storia : " I sommozzatori abbracciano i corpi degli annegati...". Nonostante l' inclusione nelle opere poetiche autobiografiche, colpisce la scarsa incidenza dell' io : prevalentemente l' autrice parla di sé in terza persona, quasi guardandosi vivere.
E' ancora l' incanto che lei cerca a tarda sera, schiudendo le persiane e sempre alzando lo sguardo al cielo, alla luna - alla sua luce perpendicolare, in discesa verso il nostro stare attoniti o distratti dinanzi a tutto ciò che non chiediamo, eppure viene come un silenzio stordito che nulla insegna perché nulla sa della spinta dal cuore al collo, nulla del loro inclinarsi all' indietro per superare l' altezza di quel gesto.
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A sedici anni sognava l' Africa o Calcutta. Voleva mettere le mani nel dolore, dividere il raccolto dalla gramigna - qui sulla terra dove il di più viene dal maligno. Da tempo, oggi, nelle mani ha la poesia e con le parole separa il bene dal male, esplora l' ordine matematico dello spirito, ma a volte bene e male le si confondono negli occhi, tra le mani e le mani fanno a meno degli occhi così come fa la poesia.
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Quando si lacera il tempo, lo rammenda col tessuto connettivo del silenzio cui segue il furore della penna. Ma di solito - sprovvista di segni - le cose le scuce, le separa dalla loro utilità, le ricuce sulla pagina ad altra necessità. Con le parole le ricama a un altro uso, un uso inutile eppure misteriosamente prezioso.
Indispensabile.
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Li abbracciano. I sommozzatori abbracciano i corpi degli annegati per riportarli in superficie e lei abbraccia le parole vive nel fondo marino del suo corpo contro il loro corpo gonfio di silenzio. Le porta a galla perché sulla carta portino al mondo la lucentezza delle tenebre e come è giusto essere temporali e come è perfetta l' equazione di vita e morte per noi numeri complessi nel moto relativo dell' esistenza.
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Aveva creduto fosse facile vivere, e allora accordava i passi alla proprietà geometrica del tempo, ma il modello matematico fallì le previsioni e ci vollero i cani molecolari per seguire le tracce dell' amore - particella a massa nulla. Ritrovare la chiara circostanza dell' io assolto dalla singolarità. Ora calcola la relazione metrica tra bocca e bocca, l' intermittenza dello sguardo perché la parola sia credibile dentro ciò che nasce in spirito ma in spirito non rimane. E' questo - pensa - che accade a noi esseri umani non sottraibili dalle variabili coniugate di corpo e di anima.
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Come i cani segue la traccia chimica della realtà. Come i cani annusa l' odore emotivo degli umani - la paura, la gioia e ne fa traccia alfabetica sulla pagina. Scompagina il silenzio, lo attiva perché nella parola sia parola trasparente che lasci passare la luce come fa la vita, a sorpresa, quando si fa materia e appare improvvisa in un giovane cervo che dal bosco attraversa la strada e nel bosco di nuovo scompare.
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E' un canto acerbo la memoria che si dispiega a lato del suo compimento - l' erba incolta che dal bordo del campo osserva il grano e lo racconta. E' tramandare il bene e il bello, ma pure l' inciampo, la caduta, perché tra ciò che si eredita - dicono - la paura, il trauma, ma allora - pensa - anche la gioia che strappa l' anima dal corpo, anche quella sta nella trascrizione dei geni. La felice sequenza della vita, l' impronta del mistero di ciò che in noi diviene. E allora è un dire grazie alla piccola Drosophila *, al suo genoma così simile al nostro, il farne qui poesia.
Lucianna Argentino da Corpo di fondo
* Il nome scientifico significa " amante della rugiada ", ma è più nota come " il moscerino della frutta ". Tutte le conoscenze che abbiamo su cromosomi e geni, sulla struttura del Dna e sulle sue funzioni, sono state acquisite partendo dalla Drosophila.
Nel " Canzone per l' estate ", De André si chiedeva " com'è che non riesci più a volare ", e Rodighiero risponde " che mai si arrende in noi questo volare inquieto. ".
XLVII
Questi silenzi che portiamo velati
dopo tanto clangore d' imperturbate ore accese
dove si confondevano origine e destinazione
questi silenzi che sbrecciano da fuori
e a poco a poco irrompono nel tempo dei bilanci,
siano per l' anima questi silenzi di solstizio
come aurea luna della quercia
nella notte più lunga - squarcio, lanterna.
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XXXIX
E' un nido sulla soglia la sponda di salvezza,
il passo cadenzato del canto nell' intreccio ideale dei risvegli
quando mi dici - piango per tanta bellezza -
e candela gli occhi testimoni,
dici di intuire solo adesso il senso
nel gesto supremo di creazione.
Mia distesa dorata
benedizione delle bocche schiuse
sulla schiena
alito di meridiana nel buio quando viene
nell' acidula lingua d' usignoli.
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XXX
Se non io a consegnarmi a dio
o a te, se è l' anima che
da sola, si consegna,
se nella pazienza abbiamo messo in salvo
il tempo sacro dell' incompiutezza,
sia benedetta dell' acqua l' ansa inquieta
benedetta sia la nuca carezzata all' alba
amata sia la dissolvenza
( persa la pretesa di capire
il senso dello scorrere del fiume
il possente desiderio
tutto suo - di riaversi al mare )
***
XXVIII
Provvisori noi, noi sentieri d' oro del mistero
che credevamo eterno, abisso e dimora,
costole allargate al vasto respiro
portavamo ignari, corone di rose.
Niente era certo come il sangue.
Noi eravamo quelli del tempo antecedente l' indugio
ruggito di radura vergine. Urogalli.
I castelli non avevano torri.
***
XVII
Tu mi porti là, dove le cose vengono
quando devono venire, con levità
come di neve, se la neve torna al seme.
Vengono insieme nella pazienza e nella cura
nella radura dei richiami - sapienti echi di rami,
attesa d' abeti a correggere voli.
Annalisa Rodeghiero da A oriente di qualsiasi origine
Le tue orecchie si sintonizzano su stelle difficili....
Il filo che tiene insieme questa raccolta di poesia che spazia, spiazza e sconfina via via che procediamo nella lettura, potrebbe essere il viaggio, inteso come spostamento interno ed esterno, che l' incertezza e persino il dolore carica di ricchezza. La scrittura non ricerca l' aspetto lirico, ma si sviluppa in un linguaggio lucido che riflette sull' inafferrabilità del senso della vita, senza nessun ripiegamento malinconico, quanto piuttosto una consapevolezza pacata della continua e inevitabile mutabilità dei fatti della vita e dei sentimenti.
IO IN FOTOGRAFIA
Così questa sono io. Nel campo dopo che ci perdemmo.
Ho gli occhi rivolti in alto a destra
e la bocca un po' aperta.
Forse ho sempre questo aspetto.
Forse è un' espressione di sorpresa
perché sono ancora al mondo, per non parlare
di quella svolta sbagliata che portò a una quercia
( voglio dire foglia, foglia ) ; erba alta ( voglio dire
pizzicore da fieno ) ; la mia caviglia incerta ( voglio
dire il mio vecchio caro dolore ); il sapore caldo
della saliva in bocca ( voglio dire
lingua pesante ) ; le cellule del mio corpo
così nuove, fresche e non più in disordine
( voglio dire Speranza ) e oh il tempo lì
che era caldo, così caldo, così caldo, così caldo quel giorno.
***
ALL' ESTATE
Poggi leggera sul tuo cuore.
Non ti vuoi spostare.
Le rondini schiamazzano
in giro per casa. Tutta la notte
aspetti ansiosa che un venticello
ti faccia crollare addormentata.
Ti corichi davanti alla porta,
la testa rivolta a nord, ma
nessun altro dei punti cardinali
s' insinua furtivo nel tuo corpo. Le tue orecchie,
liberate con olio d' oliva, si sintonizzano
su stelle difficili, sonore e roventi.
L' estate sta finendo. Tu già
ti scontri col primo fiocco di neve,
la bocca aperta per gustarlo, pronta
a ingoiare tutte le stagioni.
***
SENZA CAPELLI
Possono mentire i calvi ? La natura delle pelle dice no :
è pallida come neonato, sostanza tenera come erezione,
ogni pensiero visibile, conoscenza pura,
mente attiva - brilla attraverso il cranio.
Ho visto una donna - del tutto calva - che faceva le pulizie.
Lavava il pavimento verde, spolverava scaffali,
tutta straccio e concentrazione, regina della luna.
***
DELLA MUTABILITA'
Troppe delle cellule migliori del mio corpo
prudono, frastagliate, inacerbite
in questa gelida primavera. E' il duemilaquattro
e non conosco un' anima che non si senta piccola
nella folla. Rasa a zero.
Abbassa gli occhi questi giorni e vedrai che i piedi
non si fidano del marciapiedi e le tue analisi del sangue
incupiscono il volto del dottore.
Alza lo sguardo e con la coda dell' occhio coglierai
eclissi, foglia d' oro, comete, angeli, lampadari,
raggiungili se vuoi, impara l' astrofisica o
il canto folk, il sacrificio umano, la mortalità,
a volare, pescare, il sesso senza toccarsi troppo.
Non ti preoccupare - però- di andare altro che in cielo .
***
LA SERENISSIMA
Ero sulla terra ma la terra non apparteneva
più al mondo, le era concesso poggiare
qua e là su zolle galleggianti.
Il marciapiedi ondeggiava sotto le mie scarpe.
Tutto quel che vedevo apparteneva all' acqua :
liquide chiese e teatri, monumenti, case,
liquido sole e cielo. Le mie mani vagavano
nell' acqua, raccoglievano acqua. La faccia rivolta
alle nuvole. Sentivo le membrane
del mio corpo tremare per il fluido
che contenevano, e il flusso maestoso della linfa,
il pulsare accelerato del sangue. Il motore di una barca
vibrò attraverso la terra, le onde, i miei piedi
fin dentro il mio petto. Lenta - lentamente - salii a bordo.
Anna Segre è medico, psicoterapeuta, orfana e autoimmune. E anche poeta e ha scritto vari testi di poesia, di cui l' ultimo " Onora la figlia ", che presenterò.
E' la vita stessa, questo tremore che ti possiede...
Leonard Nolens ( 1947 ) è uno dei più importanti poeti viventi delle Fiandre. Romantico, scrive spesso d' amore e dei modi per sfuggire all' identità. Le sue poesie si distinguono per i modi polifonici di pensare e per quelli immaginari di agire : ognuna di esse rappresenta un ragionamento; ogni ciclo un tipo comportamentale solido ed esplosivo.
ESULE
Non è qualcosa, non è qualcuno
ciò che forse ieri ti ha lasciato.
Non è qualcosa o qualcuno ciò che oggi
ti ha abbandonato qui al tuo destino.
E' la vita stessa, questa luce
col tuo volto così poco sostanziale.
E' l' esatta carenza di luogo
del tuo corpo posato qui su una sedia.
E' l' aria : una fuga di nuvole
sulla retina di un cieco, è questa
perpetua durata, in mancanza di respiro
divisa in misure e tempi.
E' la vita stessa, questo tremore
che ti possiede, questa trama che sei tu.
E' questa vita stessa che oggi
ti lascia solo con il tuo peso specifico.
E' l' oggi con tempo da cani e carne umana,
l' eterna febbre nella testa, la tua bestia.
E' soltanto la vita stessa che oggi
ti ha consegnato qui al destino.
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DUPLICITA'
Essa è il letto che non mi lascia sognare,
la prima colazione, impossibile a inghiottirsi.
E' il bacio del risveglio che così caramente mi sfigura
e affiora un morire che devo imparare.
Io sono il suo uomo che ha perso la solitudine
e, diventando solo nella sua duplice essenza,
si infatua di sé, ambivalente, insicuro.
Essa è la ferita insanguinata che mi può guarire.
E' la luce che mi priva della luce.
E' la via che mi sbarra il cammino.
E' la casa che mi aliena dalla casa
e mi imprigiona all' indirizzo che le dico.
***
EPITAFFIO
Ho un amore che è vecchio quanto me.
Non può morire finché non sarò morto io.
Le piace così tanto essere oppressa dal mio nome.
Pubblica la mia carne e il mio sangue finché non è tutto sparito.
Spaccia notizie obsolete su di me in tutto il mondo
e seleziona ciecamente i versi che non ho mai capito.
Ho un amore, è sempre in pericolo
e può andarsene solo quando non conosco la strada.
La strada che stiamo percorrendo la facciamo rotolare fino a farla diventare
una pietra. Un giorno la deporremo sulla nostra tomba.
***
IL POETA A SE' STESSO
Avanti, provaci pure, spogliami
fino all' osso, rimarrò il taglio finale
del tuo vestito, il rettangolo riposato
del tuo letto, la tua forma più utile di speranza.
E tu, tu non sei altro che un barlume
di me, oh tu, la mia ombra che fuma una sigaretta dietro l' altra
fra due treni, il mio fantasma gemente
con le valigie, tu, il mio fantasma zoppicante
che ti laverà via attraverso la lenta porta girevole
di una stazione abbandonata.
Avanti, provaci pure, dimenticami,
amico mio, schiavo franco e assente.
Sono la tua frusta, tu sanguini dalle mie ore.
Sono il tuo lavoro e tu sei il mio servitore.
***
NOTTE TRASFIGURATA
Sediamo nude a tavola. I tuoi occhi illuminano la stanza.
Le tue mani, fosforescenti, come farfalle, sussultano nell' aria
quando mi parli o dormi sul tappeto nero.
Le tocco ogni giorno. La loro linfa vitale conosce il mio nome.
Le loro vene trasparenti conoscono il corso del mio destino. Il flusso
del nostro sangue che trasforma il bianco delle tue guance in desiderio macchiato.
La porta del giardino si spalanca. La pioggia che inizia a cadere fa frusciare gli alberi,
bagnando la finestra tremolante dove sei seduta, splendente,
una luce in cui mi vedo, in cui potrei scomparire.
Impili i piatti, togli le briciole e versi altro vino.
Sento il tintinnìo delle porcellane blu e dei coltelli in cucina,
lontano. Mi fanno male le gambe per non poterti raggiungere.
" Ciò che Preziosi, in questo notevole lavoro, vuole indagare è la condizione umana, che non si manifesta in situazioni particolari di indigenza, malattia, sopraffazione e via dicendo, ma si fa rarefatta , " assente " appunto, esibendo una fragilità nella sua più diffusa e anodina quotidianità priva di eroismi di qualunque tipo. L' uomo è chiamato all' assenza di sé perché l' assenza è sempre più feconda e ricca di suggestioni : laddove qualcosa non c'è si può sempre immaginare. E laddove qualcosa c'è, dobbiamo sempre montalianamente " riperderla " per comprenderla. E' un po' una situazione limite, che però ben illustra lo status quo dell' umano fatto di tante contraddizioni che sono - nostro malgrado - la nostra verità... Questa raccolta ha come intento lirico di fare esperienza dell' uomo in tutte le sue varianti, nelle sue vittorie come nelle sue sconfitte, nei suoi abbandoni come nei suoi ritorni : l' uomo è sempre tale sia quando si appassiona sia quando si disamora; è sempre in quel dolore sordo che non si placa, quel dolore per un paradiso mancato, per quel destino di nulla nel quale siamo relegati e condannati. Con estremo coraggio. Preziosi perviene a una condizione umana senza sconti e fonti di redenzione ( da laico quale egli è ). Eppure c'è sempre una storia da interrogare in maniera incessante, come quando in versi, scrive : "C 'è qualcosa di morto nel respiro / che insiste alla ricerca della vita / questo incedere sempre a testa alta / nei ricorsi di questa storia effimera / Perché qualcosa sfugge, non ne dubito, / qualcosa resta ancora da ascoltare / qualcosa volubilmente inerme e senza strada... "
Il 26 Ottobre 1965, Paul Celan, in viaggio verso la Provenza, cerca disperatamente di ristabilire un contatto con la moglie Gisèle. Di lì a un mese avrebbe cercato di accoltellarla. Recluso in manicomio, verrà trasferito verso metà febbraio del ' 66, alla Clinica psichiatrica della Sorbona. Da lì, per due mesi, Celan non smette di scrivere : trentacinque poesie che il poeta consegna via via alla moglie, dedicandogliene metà. Così, uscito dalla clinica, si ritrova con un piccolo Canzoniere. Un Canzoniere ribaltato e deformato : se in quello di Petrarca la donna era in cielo e l' uomo in terra, in quello di Celan la donna è in terra e l' uomo in ceppi : oscurato. Ma non è oscurata la sua poesia: questi versi infatti costituiscono una delle sue più belle raccolte, lirica e tragica allo stesso tempo, mortuaria e vitalissima...