lunedì 17 aprile 2017
CAPIRE IL DOLORE 1
(...) Non mi piace quest'uomo moderno: ho bisogno di
compassione, non solo per i miei dolori, ma per quelli di
chiunque soffre, perché il dolore non ha pelle e non ha razza,
appartiene semplicemente all'uomo, alla sua mente e alla sua
natura.
L' Occidente, se visto nella dimensione dell'indifferenza, è forse
la più vasta delle inciviltà. Non so se inorridire o piangere, se
arrabbiarmi o chiudermi nel silenzio della tragedia.
Voglio vivere un umanesimo che contenga la compassione.
Voglio sostenere ed essere parte di una cultura che ponga la
compassione come legame centrale. Voglio che si attivi e si
promuova una memoria del dolore dell'altro, per combattere
l'indifferenza e la finzione di una felicità attaccata all'ultima
invenzione del lusso. Voglio che l'uomo senta il dolore di un
altro uomo senza pregiudizi, perché il dolore è lo stesso, e
certi dolori sono inutili. Voglio che chi spende tutto per l'inutile
si ricordi di chi non può spendere nulla nemmeno per
l'essenziale e scopra che quanto noi stiamo sprecando è
necessario ad altri.
Questo nuovo umanesimo riattiverebbe il piacere dell'aiuto,
non del fare l'elemosina, che serve solo a puntualizzare la
differenza e dare prova di grandezza o del diritto di vivere nel
benessere, mentre l'altro, a cui diamo le briciole, ha il dovere
di fare il poveretto.
Si riscoprirebbe la bellezza del dono, che è prima di tutto
offerta di se tessi, metaforicamente espressa da un oggetto
pieno di noi. Si riscoprirebbe la grandezza dell'ospitalità, che
vuol dire stare insieme per conoscere l'altro, con la curiosità
che l'altro abbia qualcosa da dare, proprio perché è diverso.
La diversità come arricchimento, non come fonte di sospetto e
di esclusione.
Domina il invece il " mio", chiuso dentro mura o filo spinato e
circondato da mine anti- diverso. Il diverso come ladro - e si
dimentica che quel diverso diventa ladro perché è stato escluso.
La nostra non è una società della compassione, del sentire il
dolore e la gioia dell'altro, ma una società del volontariato, di
chi concede a ore servigi a basso prezzo, con indosso i guanti
della prevenzione e il terrore di una contaminazione
immaginaria. Il mondo è pieno di preclusioni e di odio,
compensati da un volontariato operato - per lo più - da gente
che si annoia e che non ha nulla da fare e allora va a vedere lo
spettacolo della povertà. Come quando, a Charenton , la
borghesia della Belle Époque parigina andava a vedere il
teatro dei folli sotto la regia del marchese De Sade.
Stare con uno del Ghana per un'ora alla settimana assicura
divertissement, con quel tanto di rischio che rende la cosa
avventurosa, e spiana la strada per un paradiso tutto bianco e
incontaminato. Una farsa, una maschera dell'odio di cui siamo
pieni.
Voglio far parte di un umanesimo senza volontari, dove tutti
siano disposti ad aiutare l'altro. Dove il bisogno non serva a
dare soddisfazione ai volontari, handicappati di diversa natura.
Dove tutti siano allo stesso momento bisognosi di essere aiutati
e desiderosi di aiutare, e non esista la categoria di chi dà e
quella di chi riceve.
Voglio un nuovo umanesimo che impedisca la guerra, non
attraverso istituzioni che la valutino giusta o ingiusta, di difesa
o di offesa, ma semplicemente che non la ammettano mai, in
quanto espressione dell'abbrutimento dell'uomo.
Voglio armarmi di bontà e debellare l'indifferenza:
- Per cogliere il dolore dell'altro: se non sai cosa mi fa soffrire,
come fai a dire che mi ami?
- Per cogliere il dolore dell'altro come inutile, ingiusto,
intollerabile ed evitabile;
- Per sentire il dolore dell'altro come imperativo a fare qualcosa
per alleviarlo o eliminarlo;
- Per avere voglia di compassione : asciugare le lacrime di chi
si è incontrato e soffre;
- Per amare la compassione come hanno fatto sempre gli uomini
veramente grandi e quelli che avevano le parvenze degli dei.
(...)
Vittorino Andreoli da Capire il dolore
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Pienamente d'accordo! Grazie, Frida!!!
RispondiEliminaSenza avere alcuna pretesa di dire una parola " definitiva" su un problema - quello del dolore - su cui si dibattono da secoli filosofi, teologi e santi ( nonché l'uomo comune che si chiede - perché - ), volevo condividere un brano dello psichiatra Andreoli che mi ha molto colpita perché - invece che cercare cause più o meno remote del problema, come fanno solitamente quelli che - per mestiere - si occupano del dolore umano - si è messo in gioco e in discussione in prima persona in una società che - per esorcizzare il problema - ci vuole tutti belli, giovani e sani -salvo ritrovarsi ( come dice una famosa fiaba di La Fontaine ) in inverno con " niente nella madia " per aver cantato tutta l'estate. E morire di fame. ( Diversamente leggi: i problemi non si risolvono da soli, o col passare del tempo. Non tutti, perlomeno ).
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