Sono calate in me le stagioni dell'anno...
COSA FACCIO ?
A Marzo:
sollevo nella neve i capolini degli anemoni,
accelero la primavera e il bel tempo
perché al più presto fino alle ginocchia
erompa l'erba incredibile:
voglio una cosa nuova
e giovane.
A Giugno:
frequento gli uccelli,
perché - non lo so.
Ciò mi calma.
Cammino nei boschi:
dicono che i galli forcelli
amino le uova di formica.
A Ottobre:
rastrello le foglie del giardino,
le porto nella carriola alla forra.
Mi troverai - Laura - di sera
sotto l'acero stabilito,
nella selva del buio bar.
A Dicembre:
spalo la neve davanti a casa
perché arriva fino alla finestra
e si ghiaccia su di essa.
Spargo la cenere sul marciapiede
perché si scivola e i marinai
tornano dalla città
ubriachi.
Sempre:
sto in piedi davanti alla finestra.
Guardo il barometro,
guardo un funerale,
guardo la gente nella folla,
guardo di fronte l'orologiaio
che, con la lente all'occhio, pulisce il meccanismo,
guardo e mi impegno come posso,
guardo attentamente,
guardo a lungo
tutto questo.
E non capisco.
***
SUL RAMO
Nessuno grida di gioia per essersi svegliato,
soltanto gli uccelli all'alba, gli uccelli dietro
la finestra,
tutti temono ciò che il giorno porterà loro.
Soltanto noi sul ramo, no.
Nessuno vuol rinunciare a ciò che possiede
e nel folto letto si aggrappa ai resti del sonno;
tutti vivono come se dovessero vivere in eterno.
Soltanto noi sul ramo, no.
***
IL BAULE
In soffitta dorme il mio ritorno,
la valigia, il baule con le borchie in ottone,
tutta la mia patria,
i passaporti, le cittadinanze,
i visti dell'emigrazione.
Il baule, la mia grande proprietà,
che qui devo custodire,
normale inizio dell'infelicità
e demente fine.
Baule di vecchi bambini ranciditi,
pronti a rimbambirsi e incretinire ancora,
e tra le cianfrusaglie che non servono a niente
la selvaggia solitudine, l'amarezza della nostalgia,
il ciarpame più disperato.
L'ululo dei cani oltre la mia terra carpatica,
il singhiozzo che mi vergogno di confessare -
e trasloco dopo trasloco,
dall' America in Europa,
il baule sulle spalle,
le scale scese,
la patria.
Tale il bagaglio, tale il viaggio.
Tale il mio orario:
tutti i lati del mondo aperti
e l'uscita da nessuno.
Tale è la trappola. Né cosa prendere da qui,
né con che giungere alla fine:
soffitta mia e ritorno,
perdizione e amore.
Che non so uccidere
né custodire.
***
DETTO CON UN SUSSURRO
Se fosse possibile entrare come Claudel
un giorno in Notre Dame
e uscirne come altro uomo.
Potrei incontrare là mia madre,
mi darebbe la mano raggrinzita
e direbbe con un sussurro:
capisco, è la più grande intimità,
capisco, è l'agghiacciante timidezza,
intuisco la vergogna
e non chiedo del timore.
Ma in fin dei conti cosa fai tu di diverso
da me che non ci sono più ?
Esci dall'uomo per vederlo meglio,
un oscuro profilo tracci sull'abisso del tempo,
vuoi intuire lui e te stesso;
ma più oltre vai, tanto meno c'è ritorno.
La ragione dell'uomo non gli ha mostrato il bene,
il genio non ha scelto quello che dovrebbe scegliere,
diciamo umanesimo, pensiamo speranza
e nessuno eleverà mai
la perdizione al di sopra della salvezza.
Cosa fai tu di diverso da me?
Vuoi essere testimone di idee non spente,
vuoi essere la guida di un eterno processo,
lo sconforto riempi di vana invocazione.
Cerchi soccorso a me
come io cerco te.
Tu che non sai ma sei,
e io che so ma
non sono.
***
LA QUINTA STAGIONE DELL'ANNO
Un uccello mi è volato attraverso; un uccello,
e ha lasciato la porta aperta,
e la sera stessa, al crepuscolo,
sono calate in me le stagioni dell'anno
vive e morte.
La prima giovanile, allegra,
ancora la sogno, ancora mi chiama
( Ah, vuote risate, assurdità ! );
la seconda fervida, ardente,
con il rosso labbro appena mi tocca.
La terza autunnale, la quarta invernale
e la quinta: morte ed eternità.
Kazimierz Wierzynski da Varie Raccolte tradotte da Paolo Statuti
"E non capisco"
RispondiEliminahttps://francobattaglia.blogspot.com/2021/07/qualche-giorno-papa-ed-io.html
Andrò a vedere.
RispondiEliminaGrazie e buona giornata!