Mi sorprende - a pensarla - un ricordo remoto…
INCONTRO
Queste dure colline che han fatto il mio corpo
e lo scuotono a tanti ricordi, mi han schiuso il prodigio
di costei, che non sa che la vivo e non riesco a comprenderla.
L'ho incontrata una sera: una macchia più chiara
sotto le stelle ambigue, nella foschia d'estate.
Era intorno il sentore di queste colline
più profondo dell'ombra, e d'un tratto suonò
come uscisse da queste colline, una voce più netta
e aspra insieme, una voce di tempi perduti.
Qualche volta la vedo, e mi viene dinanzi
definita, immutabile, come un ricordo.
Io non ho mai potuto afferrarla: la sua realtà
ogni volta mi sfugge e mi porta lontano.
Se sia bella non so. Tra le donne è ben giovane:
mi sorprende - a pensarla - un ricordo remoto
dell'infanzia vissuta fra queste colline,
tanto è giovane. E' come il mattino. Mi accenna negli occhi
tutti i cieli lontani di quei mattini remoti.
E ha negli occhi un proposito fermo: la luce più netta
che abbia avuto mai l'alba su queste colline.
L'ho creata dal fondo di tutte le cose
che mi sono più care, e non riesco a comprenderla.
***
ESTATE
C'è un giardino chiaro, tra le mura basse,
di erba secca e di luce, che cuoce adagio
la sua terra. E' una luce che sa di mare.
Tu respiri quell'erba. Tocchi i capelli
e ne scuoti il ricordo.
Ho veduto cadere
molti frutti - dolci - su un'erba che so,
con un tonfo. Così trasalisci tu pure
al sussulto del sangue. Tu muovi il capo
come intorno accadesse un prodigio d'aria
e il prodigio che sei. C'è un sapore uguale
negli occhi e nel caldo ricordo.
Ascolti.
Le parole che ascolti mi toccano appena.
Hai nel viso calmo un pensiero chiaro
che ti finge alle spalle la luce del mare.
Hai nel viso un silenzio che preme il cuore
con un tonfo, e ne stilla una pena antica
come il succo dei frutti caduti allora.
***
NOTTURNO
La collina è notturna, nel cielo chiaro.
Vi s'inquadra il tuo capo, che muove appena
e accompagna quel cielo. Sei come una nube
intravista fra i rami. Ti ride negli occhi
la stranezza di un cielo che non è il tuo.
La collina di terra e di foglie chiude
con la massa nera il tuo vivo guardare,
la tua bocca ha la piega di un dolce incavo
tra le coste lontane. Sembri giocare
alla grande collina e al chiarore del cielo:
per piacermi ripeti lo sfondo antico
e lo rendi più puro.
Ma vivi altrove.
Il tuo tenero sangue si è fatto altrove.
Le parole che dici non hanno riscontro
con la scabra tristezza di questo cielo.
Tu non sei che una nube dolcissima, bianca
impigliata una notte fra i rami antichi.
***
PIACERI NOTTURNI
Anche noi ci fermiamo a sentire la notte
nell'istante che il vento è più nudo: le vie
sono fredde di vento, ogni odore è caduto;
le narici si levano verso le luci oscillanti.
Abbiamo tutti una casa che attende nel buio
che torniamo: una donna ci attende nel buio
stesa al sonno: la camera è calda di odori.
Non sa nulla del vento la donna che dorme
e respira; il tepore del corpo di lei
è lo stesso del sangue che mormora in noi.
Questo vento ci lava, che giunge dal fondo
delle vie spalancate nel buio; le luci
oscillanti e le nostre narici contratte
si dibattono nude. Ogni odore è un ricordo.
Da lontano nel buio sbucò questo vento
che s'abbatte in città: giù per prati e colline,
dove pure c'è un'erba che il sole ha scaldato
e una terra annerita di umori. Il ricordo
nostro è un aspro sentore, la poca dolcezza
della terra sventrata che esala all'inverno
il respiro del fondo. Si è spento ogni odore
lungo il buio, e in città non giunge che il vento.
Torneremo stanotte alla donna che dorme,
con le dita gelate a cercare il suo corpo,
e un calore ci scuoterà il sangue, un calore
di terra annerita di umori : un respiro di vita.
Anche lei si è scaldata nel sole e ora scopre
nella sua nudità la sua vita più dolce,
che nel giorno scompare, e ha sapore di terra.
***
UN RICORDO
Non c'è uomo che giunga a lasciare una traccia
su costei. Quant'è stato, dilegua in un sogno
come via in un mattino, e non resta che lei.
Se non fosse la fronte sfiorata da un attimo,
sembrerebbe stupita. Sorridon le guance
ogni volta.
Nemmeno s'ammassano i giorni
sul suo viso, a mutare il sorriso leggero
che s'irradia alle cose. Con dura fermezza
fa ogni cosa, ma sembra ogni volta la prima;
pure vive fin l'ultimo istante. Si schiude
il suo solido corpo, il suo sguardo raccolto,
a una voce sommessa e un po' rauca: una voce
d'uomo stanco. E nessuna stanchezza la tocca.
A fissarle la bocca, socchiude lo sguardo
in attesa: nessuno può osare uno scatto.
Molti uomini sanno il suo ambiguo sorriso
o la ruga improvvisa. Se quell'uomo c'è stato
che la sa mugolante, umiliata d'amore,
paga giorno per giorno, ignorando di lei
per chi viva quest'oggi.
Sorride da sola
il sorriso più ambiguo camminando per strada.
Cesare Pavese da Lavorare stanca
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