" I genitori devono essere affidabili, non perfetti. I figli devono essere felici, non farci felici " . ( Madre Teresa di Calcutta )
(…)Ho quattro anni e vedo mia madre in cima alla scala che lucida
il lampadario d'ottone. Strofina con l'ovatta imbevuta di Sidol,
ma lo fa con troppa calma per essere la viglia di Natale. E' in
ritardo sulle pulizie, come sempre.Quel tempo non va sprecato.
Mio padre gironzola intorno e non muove un dito. Guarda,
contempla, misura a occhio. In questo disordine sento dire :
" Fra poco avremo sorellina ".
" Quando? " domando io.
Mia madre appoggia il Sidol sul ripiano e non la mano indica
cinque: gennai,febbraio, marzo, aprile e maggio. " Ancora ce
ne vuole", tranquillizza. E riprende a lucidare.
" Se viene e non ci trova ?"
" Ci troverà, ci troverà ".
Io non ricordo cosa sia accaduto tra l'annuncio dato la vigilia
di Natale e la caldissima notte di maggio in cui mia sorella è
nata.So solo che i miei genitori hanno continuato a parlarmene.
Dicevano che ero stato io a chiedere a Gesù : "Mandami presto
una compagnia". E Gesù mi aveva ascoltato.
Io aspettavo e contavo: " Siamo a maggio?".
Quando arriva maggio, mi trovo dai nonni paterni. Vengono a
chiamarmi e mi portano a casa, nella stanza da letto dei miei
genitori. Mia madre accarezza un groviglio di stoffa bianca:
vuole che mi accosti, ma le gambe sono pezzi di legno. Più lei
insiste, più ho voglia di sparire. Le sue braccia stringono un'
altra creatura,il mondo non appartiene più a me.Non dico nulla,
mi volto e scappo dai nonni: sorellina non è arrivata qui , il
mondo è rimasto intatto. Nonna è la prima a raggiungermi: io
cerco di parlare, ma la voce rimane sepolta. Mi sforzo, faccio
un respiro, riprovo: non c'è modo di spingerla fuori. Nonna è
spaventata : scendono a lei le lacrime, non a me. Quel giorno, il
giorno in cui Gesù ha ascoltato le mie preghiere, le parole si
fanno nemiche e io inizio a provare il loro male,che è una specie
di voragine di cui non si vede il fondo. La storia del mio silenzio
comincia così.
Nessuno si aspettava quella reazione. Non tornai a casa per una
settimana e mio padre - quando veniva ad accertarsi che stessi
bene - assumeva un tono comprensivo : " Dai che sorellina ti
vuole vedere ". Io facevo di no con la testa. Nemmeno lui poteva
immaginare la malattia che sentivo in bocca, il desiderio di
parlare e non poterlo fare.
Quando la rividi,mia madre finse di non accorgersene.Io badavo
a controllare dove fosse mia sorella e lei scopriva un lembo di
lenzuolo per mostrarmela.
" Non ti pare bella ?"
Mi sentivo un soprammobile senza mobile. Una sola domanda
avrei voluto rivolgerle, ma restava nel sottosuolo. (…)
Giuseppe Lupo da Breve storia del mio silenzio
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