lunedì 27 febbraio 2017
LETTERA A UNO CHE NON VISSE COME VOLEVA
Fratello, amico mio,
è per te questa carta che si è fatta aspettare
come i germogli del petto nell'estate.
Ti scrivo che ho pensato molto a te
e ti vedo adesso con il tuo collo inchiodato
che fugge dal torace e dalle mani:
con questo tuo modo di tenere gli zigomi
fuori di te,
più lontano dalla tua pelle che dal tuo nome.
Come credo ti dissi, giungerò all'improvviso
un giorno in cui nessuno viaggia,
un giorno ineguale che accorrerà ai miei occhi
quando io lo chiamo
e si sfilaccerà nel mio profilo
cresciuto di grappoli e di greggi.
Però adesso, precisamente adesso,
che ho di fronte una madre di Picasso
dell'epoca azzurra,
una madre inondata dai suoi materni echi
e dei suoi stessi verbi circondata,
dalle cui labbra sbocca un bimbo
intermittente e minimo,
precisamente adesso - dico -
mi viene la tua casa nel ricordo
e so, dall'odore, e dalla passione e dal tatto,
che cosa mi dirai quando ritorni:
del colpo nella quiete del bambino
e del grembiule con iniziali
all'ordine del giorno negli accordi familiari.
" Povero piccolo, cascò dall'arancio
la scorsa settimana, tutto intero cascò,
e non gli rimase altro
che una minima parte di labbro
per piangere a dirotto per le ginocchia
e il vestito e la caduta".
E la ragazza altissima con palpebre d'uva,
dove discorrono nella sera le rondini,
e la zia con i pettinini della chioma odorosa
e le braccia dolcissime.
E il pane in controluce di velluto
sui declivi dentro cesti abbagliati,
il pane udito sempre,
nella forma mutevole di braccia,
il molle pane
fratello primogenito del grano,
il cui fianco si ruppe in pianura.
Il pane - fratello -
il pane,
pane della tua casa
e della mia
e del fratello eterno che ci segue.
Il pane che giustifica la mitezza in pace,
quello che ci fa guardare verso l'alto la terra,
quello del lievito che trascorre in un abbraccio.
Il pane dell'uomo che riposa
col mio collo nella sua anima
e il mio ventre in suo figlio;
il tuo,
il mio,
quello di tutti.
E' per lui che,
quando nelle vendemmie imbrunisce,
tutti domandano se arrivò alla bocca,
o se è il suo odore di abituato albore
che ritorna alla bocca,
che prima del pane incarna
ed è il verbo e la voce di colomba.
Ti ho raccontato del pane,
fratello,
e della casa
dove il lievito cresce nella notte
e lo si sente sollevare
l'edificio del sangue;
dove il lievito
organizza il silenzio che lo abita,
aggruppa l'aria
e fonda l'acqua che lo fanno
profonda materia radunata e pura.
Ho poco ormai da raccontarti,
se non fosse che per svelarti tutto questo
ho lasciato momentaneamente fra le mie cose:
libri, quadri, vesti,
il mio cuore in un ramo
e sono adesso così vicina alla sua assenza
che quasi ne ignoro la causa;
tanto assoggettata a lui che devo già tornare
- senza attardarmi -
per aiutarlo a realizzare il suo compito
di palpitare a tempo e di bastarmi.
Eunice Odio da Come le rose disordinando l'aria
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