Sono io, Nadezda... Osip, dove sei?
(...) Ma quando gli amici vanno via, il the è finito e la stanza è
silenziosa, la memoria e le mani la tormentano. Come
testamento la ricetta della marmellata di arance confidata all'
amica non le basta. E' vero, le poesie sono al sicuro, non
bisogna trascriverle né ripeterle giorno e notte, ma proprio per
questo, ora che la sua missione è conclusa, a lei che cosa resta
se non l'immagine di quel vecchio consumato come un'inutile
moneta dalla lima del secolo belva?
Le sue mani non vogliono star ferme, la memoria non le dà
tregua. Finchè un giorno capisce. La memoria le dice che c'è
dell'altro da salvare, che un altro testamento è possibile. Non
può andarsene dal mondo senza aver raccontato quanto sa di
quell'uomo allegro che ha vissuto con lei e mai ha lasciato che
perdesse il coraggio. Deve raccontare quanto sa della sua
terribile epoca. E dei versi, e degli uomini, dei vivi e dei morti.
E delle donne, quelle che hanno seguito gli uomini nella
deportazione e quelle che sono rimaste a casa come lei, a
torcersi nell'angoscia, perseguitate, sole, tacendo, mordendosi
la lingua. Del resto, Osip e lei non hanno mai creduto che il
tempo si muova in modo lineare, progressivo. Il tempo se ne
va e poi torna, torna a passare dove è già passato, raccoglie,
sposta, riporta: per questo l'occasionale reca il segno dell'
eterno. Ma soprattutto non vuole avere davanti agli occhi l'
immagine di lui come l'ha visto l'ultima volta, un uomo confuso
che inciampa e rabbrividisce mentre altri uomini in divisa lo
portano via all'alba senza il tempo di un saluto. Tantomeno il
vecchio cencioso della baracca. Vuole riportare l'immagine di
quel giovane sottile e pensieroso che recita cantando, a cui lei,
coi tacchi, arriva al mento e che guarda da sotto in su con
insolito stupore. L'uomo che ha conosciuto in un giorno di
festa quando, senza intendersene molto di uomini, ha fatto la
sua scelta, la scelta giusta.
Così un giorno a Pskov, malgrado la vicina la stia spiando e
il cuore, invece di battere, si ostini a borbottare come un ospite
seccante, prende una risma di fogli, una scorta delle amate
sigarette Belomorkanal e inforca gli occhiali rosa da vecchia
zia, per cui tutti la prendono in giro.
E si mette a scrivere. (...)
Elisabetta Rasy da La scienza degli addii
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