IL LIBRO D'ORE DI RILKE ( 1905 )

 

 

                                           Concedi a ognuno - Signore - la propria morte…


Vivo la vita in cerchi che si moltiplicano
e sopra le cose si tendono.
Non potrò forse completare l'ultimo,
ma voglio tentare.

Ruoto intorno a Dio, torre antichissima,
ruoto da millenni;
e non so ancora se falco, bufera
o un lungo canto sono.


                                                 ***

Dio non temere. Dicono : mio
a tutte le cose che sono pazienti.
Simili a vento, che sfiora i rami
e dice: l'albero è mio.

Quasi non si accorgono di come brucia
tutto quel che la loro mano afferra -
neanche il bordo riescono a tenere
senza scottarsi.

Dicono mio come a uno a cui piace, mentre parla
con i contadini, chiamare amico il principe,
anche se il principe è molto potente e molto lontano.
Dicono mio di muri a loro estranei
e non sanno di chi è la casa.
Dicono mio e intendono il possesso,
mentre ogni cosa si ritrae, se le si accostano,
come un banale impostore
chiama suo il sole e la saetta.
Dicono: la mia vita, la mia donna,
il mio cane, mio figlio, eppure sanno
che la vita, donna, cane, figlio sono
ignote figure contro cui sbattono
ciechi, tendendo le mani.
Certo, questo è evidente solo ai grandi
che desiderano vedere. Ma gli altri
non vogliono sentire che nella povertà
del loro aggirarsi non hanno alcun legame
con le cose: così rifiutati dai loro averi,
disconosciuti dalle loro proprietà,
possiedono tanto poco la donna quanto il fiore
che per tutti è vita ignota.

Non perdere - Dio - il tuo equilibrio.
Anche chi ti ama e riconosce il tuo volto
nel buio, mentre oscilla come fiamma
nel tuo respiro - non ti possiede .
E se uno nella notte ti cattura,
e devi entrare nella sua preghiera:
                                 sei l'ospite
                                 che poi va via.

Chi può trattenerti? Sei solo tuo,
nessuna mano di padrone ti intralcia,
così come il vino non ancora maturo
- via via addolcendosi - a sé appartiene.

Concedi a ognuno - Signore - la propria morte.
Il morire che muove da quella vita
dove conobbe amore, senso e indigenza.


                                 * * * 
Del mio essere amo le ore buie
in cui tutti i sensi sprofondano;
in loro ho ritrovato - come in vecchie lettere -
la vita quotidiana già vissuta,
una leggenda lontana e superata.

Grazie a loro so di avere spazio
per un'altra vita, vasta e senza tempo.

E talora sono maturo come l'albero
che stormisce sopra una tomba e avvera
il sogno che il ragazzo di un tempo
( calde radici intorno gli si stringono )
in tristezze e canti ha perduto.


                                             ***

La mia vita non è quest'ora in salita
dove in affanno mi vedi.
Sono un albero davanti al proprio sfondo,
una sola delle mie bocche,
quella che per prima tace.

Sono la pausa fra due suoni
che solo a fatica trovano l'accordo,
perché il suono morte è dominante. -

Ma nel buio intervallo si incontrano
nella stessa vibrazione.
                E il canto resta bello.



                Rainer Maria  Rilke   da   Dalla misura delle stelle