mercoledì 26 novembre 2025

L' UNGHERESE PRIGIONIERO

 
                                                Battaglia persa nei campi, in cielo splende la vittoria...




La vita di Jànos Pilinszky - per quel po' di briciole, converge in un punto. Il ragazzo nato a Budapest nel 1921, rampollo di una famiglia di intellettuali, laurea in Legge e in Storia dell' Arte, viene arruolato durante la Seconda Guerra Mondiale. Dal 1944 segue i tedeschi in ritirata, attraversa diversi campi di concentramento, resta in quello di Ravensbruck. L' esperienza lo disintegra. Ammutolito, Pilinszky si scopre poeta per poter dire l' orrore, lo sradicamento umano - La sua parola - però - è scontennata : scandita da una semplicità che spesso deraglia in allucinazione. Come di labbra che dicano nonostante cerniere di filo spinato. Del verbo, il poeta mostra il lato inerte, il roveto, la corona d' ossa. Nel 1946 pubblica la sua prima Raccolta, che lo elegge - all' improvviso - fra i massimi poeti ungheresi dell' epoca. Per il resto fece vita ritirata, geloso della propria scintillante solitudine. L' Ungheria sovietizzata lo accusò di " pessimismo " e per anni gli fu interdetto il pubblicare.
In Francia, Pilinszky, ha trovò un geniale traduttore nel poeta Lorànd Gaspar, di cui riporto una recensione :

"La Poesia di Pilinszky sorprende, sconvolge, lascia attoniti, sprofonda. Emerge dalle profondità del nostro universo come la Verità dal proprio pozzo: fragile, nuda, invulnerabile e avanza sonnambula lungo i bordi del baratro. Nessun passo falso, la precisione del bisturi. Una disperazione che sorride. Ogni suo testo spalanca in noi un sentiero infinito e tortuoso, singolarmente ostinato. Ostinatamente singolare . "
                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                         

LA PREGHIERA DI VAN GOGH


Battaglia persa nei campi

ma in cielo splende la vittoria.

Uccelli, sole, ancora uccelli.

Di notte, cosa resta di me ?


Di notte, una fila di lanterne

il muro di argilla bianca, brilla,

e nel giardino - dopo gli alberi -

come candele in fila, i vetri;


ho abitato lì, una volta, per poco -

non posso più vivere dove vivevo allora :

allora , mi copriva un tetto. Allora

mio Signore, eri tu a coprirmi.



                                                     ***


SCRITTO SUL MURO DI UN CAMPO DI CONCENTRAMENTO


Dove sei crollato, resti.

In tutto l' universo, questo 

posto è l' unico posto

che è davvero tuo.


I campi corrono ovunque.

Casa, mulino, pioppo - ogni

cosa lotta, ed è qui, con te,

come se fosse mutilata dal nulla.


Ma sei tu che non ti arrendi.

Ti abbiamo saccheggiato ? Ora sei ricco.

Ti abbiamo accecato ? Ci fissi ancora.

Futile testimone senza più verbo.



                                           ***


QUANDO ARRIVERAI


Sono solo. Arriverai 

e sarò il solo ancora vivo.

Piume in un nido vuoto.

Stelle che hanno divorato

il cielo.


L' orfanatrofio resiste :

come in una discarica invernale

rovisto fra i suoi rifiuti

per trovare frammenti

della mia vera vita.


Sarà una pace impareggiabile.

Inaudita perfino per il mio cuore.

Intorno a me, le estatiche

muraglie del silenzio.


Nuda eternità.

Ed è tua. E' impotente ed è tua.

Un regale candore 

creato per te, fin dal primo giorno.


Il tempo siede, non ha

più parole, come un manichino

di corde. Il desiderio

ha perso le braccia, non è

che un tronco che ansima.


Quando sarai qui, avrò perso

tutto - Nessuna casa - neanche

un letto. Potremo abitare

indisturbati nella pura estasi.


Non fare razzia di me - ti chiedo

soltanto questo : non abbandonarmi.

Se sei debole, morirò.

E' terribile svegliarsi

tra i cuscini quando non c'è

altro che il rumore della strada.



                                                 ***


AMORE, DESERTO


Un ponte, poi una strada di cemento, calda -

il giorno svuota le tasche

e mostra a tutti i suoi rari averi.

Sei solo nel catatonico crepuscolo.


Panorama pari al greto di un letto:

cicatrici che brillano, brilla l' oscurità.

La sera si fa bosco. La luce del cieco

sole mi intorpidisce. Non lascerò l' estate.


Estate. Caldo bulimico.

I galli immobili come cherubini

nell' aia dei recinti rovinati.

Le loro ali non tremano.


Sete. Chiedo acqua.

Ancora oggi sento quel febbrile

muovere la bocca : impotente

come una pietra metto a tacere

i miraggi. Gli anni


passano. Ancora anni. La speranza

è una tazza di latta rovesciata sulla paglia.



                                                 ***


PRIMA DI


Del futuro non so molto

ma il giudizio universale lo vedo innanzi a me.

Quel giorno, quell' ora, sarà la glorificazione

della nostra nudità.


Nella moltitudine nessun reciproco cercarsi.

Il Padre, come una spina, si riprende

la croce, e gli angeli, gli animali

del paradiso, scoprono del mondo l' ultima pagina.


Allora diciamo : ti amo. Diciamo

ti amo tanto. E nella mischia

sorta all' improvviso, ancora una volta affranca

il mare, prima di sederci a tavola.




                                    Jànos  Pilinszky



2 commenti:

  1. Leggerlo in altri il giudizio universale, non rende idea.
    Perché ognuno di noi ne attraversa uno diverso.

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  2. Sì, sono d' accordo. Il Giudizio Universale come atto fi fede è lo stesso per tutti ( se e quando ci sarà ) , poi ognuno ne " attraversa " ( termine che rende bene l'idea ) uno personalissimo qui in vita e deve farci dei conti.

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