(…)La restituzione origina dunque dalla gratitudine,che è memoria
di un bene ricevuto. E' grazia, gratuità, riconoscenza della
relazione imprescindibile che ci forma e ci nutre: comprensione
di sé come parte di un sistema di relazioni, ricomprensione di sé
e degli altri come inestricabilmente collegati.
La gratitudine è l'anima più profonda del dono gratuito, non
mutuo, non " contrattuale", mentre il dono non gratuito
presuppone, anzi pretende, il contraccambio.
La gratitudine è priva di valore economico proprio perché non è
scambiabile: nel momento dello scambio perderebbe infatti la
propria peculiarità di essere gratuita, restituzione libera,
riconoscenza - appunto -, e non solo sapere nuovo, ma atto
generativo, creativo. In questa dinamica, critico è non solo il
dare - che rischia di obbligare, vincolare più o meno
intenzionalmente il ricevente -, ma anche il ricevere. Si può
ricevere senza sentirsi obbligati a contraccambiare, a dare
almeno nella stessa misura? .Sì, se pensiamo che è dalla nascita
che riceviamo incessabilmente, che ci costituiamo - appunto -
nella relazione. Ci si può sentire grati non obbligati, grati di un
dono gratuito.
L'obbligo di restituire attiene ai sistemi di tassazione, a un
calcolo preciso di quanto vale ciò che si è costruito e ricevuto.
La gratitudine, in quanto priva di calcolo, si basa su un'
intuizione, su una percezione positiva di sé e dell'Altro. La
gratuità si può solo accogliere quando ci si propone.
Si può dunque ricevere senza sentirsi obbligati verso chi dà ?
Sì, nella misura in cui ci si è abituati a dare senza pretendere,
senza cioè definire gli atti conseguenti propri e altrui, senza
voler determinare - in forza del potere di un dono - sé e gli altri;
sì, nella misura in cui ci si è aperti agli accadimenti, senza
ricondurli esclusivamente alle proprie ragioni; sì nella misura
in cui si è mentalmente ( e spiritualmente ) in ricerca, cioè
scettici. " Levinàs ridefinisce la ragione proprio come questa
possibilità di ricevere, sovvertendo questa sua pretesa
sovranità". Si può ricevere con gratitudine nella misura in cui
si è in grado di dimostrare - dando e ricevendo - che si è
interessati ad un bene comune, ad aumentare il proprio
reciproco interesse, a privilegiare la propria e altrui felicità.
La felicità ( star bene nel mondo ) " rompe" il tempo, inserisce
una frattura nello scorrere ininterrotto delle cose, rendendolo
indifferente: allontana da noi l'angoscia dello spreco del tempo,
sospende la sottrazione irrecuperabile che ci divora.
Lo stare bene con se stessi e con il mondo non rimanda ad altre
aspettative inesauste - perché sempre deluse - e non chiede
altro tempo se non quello che si vive. E ci rende più liberi.
Ci si sente liberi perché si è ricevuto e si riceve molto, perché si
è riconoscenti alla vita.
E' il riconoscimento della non autosufficienza al alimentare il
desiderio di libertà . (…)
Carlo Penati da La Restituzione ( Saggio breve )
Davvero molto bello e se diventasse realtà quotidiana sarebbe più lieve vivere, tenendo tutti presente come obiettivo il bene comune, la circolarità dell'amore gratuito, un'esperienza che, purtroppo, è molto rara fare nella vita... l'unico vero amore gratuito è quello di Dio ed arriva a noi attraverso quei canali aperti del Suo amore che dovremmo essere tutti noi...
RispondiEliminaIndipendentemente dal fatto di essere credenti o no ( che fa comunque la differenza ), la Restituzione della gratitudine dovrebbe rappresentare una sorta di " dovere" etico indiscutibile.
RispondiEliminaIl fatto che siamo invece qui ad argomentarne, ci dice quanto obsoleta sia invece la questione.
Grazie a te del contributo di pensiero e del sentire.