I MEDITAZIONE
(…) Mutevole, e perciò miserevole condizione dell'uomo! Questo
minuto sto bene, e sto male questo minuto.Sono sorpreso da un
improvviso cambiamento, un'alterazione verso il peggio e non
posso imputarla ad alcuna causa,né chiamarla con alcun nome.
Ci sforziamo di stare in salute e prendiamo deliberazioni su
cibi e bevande e aria e moto, e tagliamo e levighiamo ogni
pietra che va a formare quell'edificio; e perciò la nostra salute
è opera lunga e regolare: ma in un minuto un cannone batte
tutto,rovescia tutto,demolisce tutto;una malattia non prevenuta
nonostante tutta la nostra diligenza, non sospettata nonostante
tutta la nostra curiosità - anzi - non meritata, se teniamo conto
solo della sregolatezza, ci convoca, ci afferra, ci possiede e ci
distrugge in un solo istante. O miserevole condizione dell'uomo
che non fu impresso da Dio il quale,immortale egli stesso,
aveva collocato dentro di noi un carbone, un raggio d'
immortalità che avremmo potuto- soffiandovi su- trasformare in
fiamma; ma noi lo soffocammo col primo peccato; ci facemmo
mendichi col porgere orecchio a false ricchezze, fanatici col
porgere orecchio a falsa scienza. Così che ora, non soltanto
moriamo, ma moriamo sulla ruota,moriamo per i tormenti della
malattia e non basta, perché siamo pre- afflitti, super - afflitti
da queste paure e sospetti e apprensioni di malattia, prima che
possiamo chiamarla malattia; non siamo sicuri di star male:
una mano chiede all'altra attraverso il polso, e l'occhio chiede
alla nostra stessa orina come stiamo. O moltiplicata miseria!
Moriamo, e non possiamo goderci la morte perché moriamo in
questo tormento di malattia; siamo tormentati dalla malattia e
non possiamo starcene tranquilli finchè il tormento non arriva,
senza che pre- apprensioni e presagi profetizzino quei tormenti,
ché inducono quella morte prima che gli uni o l'altra sia giunti;
e la nostra dissoluzione è concepita tra questi primi mutamenti,
comincia a muoversi con la malattia stessa e viene alla luce
nella morte, che fa data da questi primi mutamenti. E' dunque
questo l'onore che deriva all'uomo dall'essere un piccolo
mondo: che egli ha in se stesso questi terremoti, improvvisi
scotimenti; questi fulmini, improvvise fiammate; questi tuoni,
improvvisi brontolii; queste eclissi, improvvisi offuscamenti e
oscuramenti dei sensi; queste comete, improvvise esalazioni di
fuoco; questi fiumi di sangue, improvvise acque rosse? E' egli
solo per questo a se stesso un mondo, perché ha in se stesso non
soltanto di che distruggere se stesso ed eseguire la condanna a
morte, ma di che presagire quell'esecuzione; di che aiutare la
malattia, antedatare la malattia, rendere la malattia ancora più
inguaribile a furia di tristi apprensioni, e , a far quasi meglio
divampare un fuoco, spruzzando acqua sui carboni; di che
ammantare una febbre bruciante in fredda melanconia per tema
che la febbre da sola non distrugga abbastanza rapidamente
senza quel contributo, e non porti a compimento l'opera ( che
è distruzione ) se non aggiungiamo alla naturale, innaturale
febbre che abbiamo, una malattia artificiale nata dalla nostra
stessa melanconia. O confusa scomposizione, o enigmatico
disturbo, o miserevole condizione dell'uomo ! (…)
John Donne da Devozioni per occasioni di emergenza
Un testo molto intenso accompagnato con un brano delicato
RispondiEliminaSono stata incerta se postare brani di questo complesso e poco conosciuto libretto di Donne (che ho impiegato un paio di mesi per reperire) perché non è obiettivamente di facile lettura. Però… però … ci dice qualcosa di vero sulla complessità del cuore ( e del cervello umano!) tenendo conto che siamo alla fine del '500 e la psicoanalisi era ancor di là da venire…
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