venerdì 29 novembre 2019
BREVE STORIA DEL MIO SILENZIO 2
(…) Quando i medici mi visitavano, la prima cosa che chiedevano
era di cacciare fuori la lingua.
" Tossisci, tossisci ".
Io tossivo.
" Adesso deglutisci e fa' due passi. Vediamo come cammini "
Io camminavo su e giù nell'ambulatorio e ingoiavo aria.
Ricordo un dottore di Bari, un gran professore che aveva sulla
fronte una lampadina dentro una specie di coperchio per
caffettiere : " Signora, questo bimbo vive troppo in mezzo ai
grandi. Aria aperta, aria aperta" ripeteva, " la strada sarà la
sua maestra ". Mia madre prendeva appunti su un quaderno e
si riprometteva di discuterne con mio padre. Un altro dottore,
uno di Napoli, diceva che era l'umido dell' Appennino ad
allappare la lingua.
" E' chiaro, direi : al bambino occorre il mare "
Mia madre scriveva sul quaderno : " mare… mare ". E pure di
questo si riprometteva di parlare con mio padre.
" Non sarà mica colpa del ciuccetto ?" si azzardò a chiedere.
Il medico annuiva senza parlare : via questo ciuccio!
Avevo quattro anni e non ero ancora riuscito a liberarmene.
Mia madre mi ragionava così: " Se ti vedesse sorellina con
questa trombetta in bocca, cosa penserebbe ?" Io la guardavo,
ma non rispondevo. Certe volte mi facevo forza, gettavo il
ciuccetto giù dal balcone e cercavo la sua approvazione. Un
minuto dopo però tornavo ai vetri : dov'era finito? Ne avevamo
sempre uno di riserva e mio padre - quando terminava la
scorta - doveva correre in farmacia a comprarne un altro.
La verità era che i consigli dei medici non avevano successo e
io continuavo a non parlare. L'unico esercizio che mi
interessava era scoprire i segreti che mettevano in fila le parole
sulle labbra degli adulti. Contavo il tempo delle pause e
pensavo: dopo quante lettere bisogna fermarsi a respirare ?
Ogni frase sembrava un ponte sospeso sull'abisso. L'abisso era
il silenzio e le parole erano appese al filo che ci penzolava
sopra. Parlare era come salire su una funivia agganciata a
questo filo : ci si lasciava andare nel vuoto e via con le lettere,
una dietro l'altra. Io pensavo a quel che dovevo dire, prendevo
fiato e partivo, poi tentennavo. Non mi sentivo pronto a
completare la traversata sull'abisso. La ruggine impediva alla
funivia di correre. Mia madre si disperava,mio padre confidava
nella pedagogia.
" Lasciamolo stare. Deve venire il suo tempo "
Ma il tempo non veniva. Il tempo si nascondeva. (…)
Giuseppe Lupi da Breve Storia del mio silenzio
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