Come crescere il gran guarda il villano finchè non sia maturo per la falce…
" Tutti morimmo a stento" parla della morte.Non della morte cieca
della morte psicologica, morale o mentale che un uomo normale
può incontrare durante la sua vita.
Direi che una persona comune, ciascuno di noi, mentre vive, s'
imbatte diverse volte in questo genere, in questo tipo di morte, in
questi vari tipi - anzi - di morte, prima di arrivare a quella vera e
definitiva. Così, quando tu perdi un lavoro, quando tu perdi un
amico, un amore… muori un po', tant'è vero che poi devi un po'
rinascere…
Ho voluto riportare ancora una volta alla ribalta un certo
campionario umano, al quale anche in precedenza mi ero rivolto
con interesse e attenzione. E' il mondo di tutti i diseredati, i
perseguitati, di coloro che la società calpesta condannandoli a
una sorta di morte morale, privandoli anche della loro primitiva
innocenza. Sono costoro - appunto - i protagonisti di questa
cantata: i drogati, le fanciulle traviate, le vittime della guerra, i
condannati a morte e quanti sono caduti nelle panie del male
perché non rimaneva loro altra scelta, dopo aver invano atteso
dal consorzio umano l'ausilio di un briciolo d'amore.Nelle parole
che io metto loro in bocca, essi concludono il loro calvario con
una supplica rivolta ai potenti e ai ricchi, a coloro che sulle loro
avventure hanno edificato la propria fortuna : abbiate pietà di
noi, vostre vittime, affinché " all'ultimo minuto / non vi assalga il
rimorso ormai tardivo / per non aver giammai pietà avuto ".
( F. De André )
RECITATIVO
( Due invocazioni e un atto d'accusa )
Uomini senza fallo, semidei
che vivete in castelli inargentati
che di gloria toccaste gli apogei
noi che invochiam pietà siamo i drogati.
Dell'inumano varcando il confine
conoscendo anzitempo la carogna
che ad ogni ambito sogno mette fine:
che la pietà non vi sia di vergogna.
Banchieri, pizzicagnoli, notai
coi ventri obesi e le mani sudate
coi cuori a forma di salvadanai
noi che invochiam pietà fummo traviate.
Navigammo su fragili vascelli
per affrontar del mondo la burrasca
ed avevamo gli occhi troppo belli:
che la pietà non vi rimanga in tasca.
Giudici eletti, uomini di legge
noi che danziam nei vostri sogni ancora
siamo l'umano desolato gregge
di chi morì con il nodo alla gola.
Quanti innocenti all'orrenda agonia
votaste decidendone la sorte
e quanto giusta pensate che sia
una sentenza che decreta morte?
Uomini cui pietà non convien sempre
mal accettando il destino comune
andate - nelle sere di novembre -
a spiar delle stelle al fioco lume,
la morte e il vento, in mezzo ai camposanti,
muover le tombe e metterle vicine
come fossero tessere giganti
di un domino che non avrà mai fine.
Uomini, poichè all'ultimo minuto
non vi assalga il rimorso ormai tardivo
per non aver pietà giammai avuto
e non diventi rantolo il respiro:
sappiate che la morte vi sorveglia
gioir nei prati o fra i muri di calce,
come crescere il gran guarda il villano
finchè non sia maturo per la falce.
Fabrizio De André Anche le parole sono nomadi
Non conoscevo questo brano ed è molto bello, anche la parte introduttiva, conferma ancora di più il talento e la profondità di questo cantautore e uomo, Fabrizio De André
RispondiElimina...e la sua pietà verso tutti gli emarginati, i ripudiati della Storia - personale e collettiva- dell'uomo.
RispondiEliminaGrazie del commento