domenica 7 ottobre 2018
IL DOLORE CHE TRASFORMA ( Introduzione )
Educare alla perdita è un paradosso: il dolore del lutto coglie sempre impreparati. E' una marea che sommerge tutti gli argini che ci eravamo faticosamente costruiti. In questa trasformazione subita e non voluta, in cui l'ombra del passato sembra allungarsi sul presente e sul futuro, appare empio ogni anelito progettuale. Provocatorio ogni invito a sostare nell'esperienza e a cercare tenacemente un senso in ciò che si sta vivendo.
Eppure, proprio in un'epoca di rimozione del lutto, in cui l'individuo è sempre più solo davanti alle cesure della vita, l'educazione è chiamata ad assumersi sino in fondo il proprio compito. Di fronte al diffondersi di un falso ideale di autosufficienza e alla tendenza a rimuovere ogni richiamo al limite e alla nostra intrinseca fragilità, si fa sempre più necessario cercare di allestire spazi di elaborazione e tentare una mediazione culturale tra il soggetto e il suo vissuto.
Questo testo si propone di attivare una " resistenza educativa" che faccia della memoria e della pratica del racconto di sé gli strumenti elettivi- non solo per lenire le ferite del singolo - ma anche per fondare emotivamente una nuova dimensione etica di convivenza.
Una bella presentazione che riguarda il tema delicato della perdita, è molto importante educare (nel senso di essere accompagnati e sostenuti) ad affrontare un lutto, perché "il dolore esige di essere vissuto", ma aggiungo che è altrettanto importante educare a perdere (ad esempio quando la scienza medica non può guarire una persona e, non accettando il limite, ci si accanisce con trattamenti inutili e dannosi e ci si dimentica che si può comunque prendersi cura fino alla fine senza far soffrire!) e a comunicare a qualcun altro una perdita e/o una cattiva notizia, anche qui è chiamata in causa la professione medica, leggendo mi sono riaffiorate alla mente le parole che ho udito una volta e che dicevano "ai medici viene insegnato di tutto fuorché a perdere"...per questo ho fatto questo esempio
RispondiEliminaE' grave per tutti " non saper perdere" perché la vita ci costringe ad essere - qualche volta e in certe situazioni- dei perdenti.( A meno che si soffra di un qualche delirio di onnipotenza per cui questa variante della vita umana non è neppure da prendersi in considerazione ).
RispondiEliminaParlando di individui mentalmente ed emotivamente sani, sappiamo tutti ( e lo accettiamo ) che a volte la vita ci mette con le spalle al muro.
E' vero che saperlo concettualmente non è lo stesso che accettarlo, ma uno dei compiti dell'educazione è anche questo : renderci edotti sulle nostre possibilità, ma anche sui nostri limiti. Il che è una condizione del " saper vivere" la miglior vita possibile.
( Per quello a cui ti riferisci tu, un conto è una giusta terapia che tenga conto delle innovazioni tecnologiche per allungare - e sempre meglio - la nostra permanenza terrena, alto è l'accanimento terapeutico che non giova a nessuno, salvo al narcisismo di chi non può accettare lezioni neanche dalla Natura, ritenendosi - come una sorta di onnipotente Dio - dispensatore di vita e di morte .
Ma sarebbe un discorso troppo lungo e complesso da fare qui ( del resto la questione è già ampiamente fonte di dibattito ormai in qualsivoglia luogo ).
Grazie per il tuo intervento - testimonianza.