lunedì 27 agosto 2018

BORIS A EVGENIJA ( Lettera ) 2


(…)Ricordi quella sera d'inverno quando la possibilità di
      continuare a vivere insieme divenne così tristemente palese, che
      la chiara visione di una fine forzata, già vissuta nell'
      immaginazione e l'idea che avrei fatto in tempo a dire addio a
      te, vicina e amata, ma non a Zina, follemente amata di quell'
      amore non domestico, mortalmente subitaneo che può essere
      messo alla prova proprio nell'attimo dell'addio alla vita e all'
      universo intero; tutto questo - dunque - bastò perché io
      scoppiassi a piangere e tutto venisse fuori. Io non mi sono
      inventato il mio sentimento per Zina. è nato tutto da solo. Non è
      per vendetta che me ne sono andato nè per dimostrare prima
      qualcosa e poi tornare. Me ne sono andato in seguito a
      discussioni e considerazioni che abbiamo portato avanti per
      anni, in conseguenza di esse e di altre- nuove- più fresche
      sollecitazioni portate dalla vita. Me ne sono andato
      spontaneamente e senza che  nessuno me lo chiedesse; me
      ne sono andato via perché -per vivere -era diventato necessario
      agire. Scrivo queste cose perché tu non pensi di essere stata
      ingannata. Né tanto meno puoi pensare d'avere tu ingannato
      qualcuno; d'aver presentato quanto è successo in una luce
      falsa; di avere - parlando di me - mal rappresentato i miei
      sentimenti. Non puoi pensare che siano più piccoli e peggiori
      di quanto tu non abbia detto.
      Amica cara, citi con grande dolore - come per giustificarti - le
      parole da me pronunciate in primavera, alla tua partenza, a
      mo' di addio. Ma se ti astrai dalla loro precisione banale, dal
      loro significato particolare - continuamente modificato dalla
      vita che va avanti-cui bisogna sempre adattare la loro sostanza
      per vederla non solo nell'anima, ma anche nella sua
      realizzazione, allora nella cosa più importante non ti ho
      ingannata, e per nostra disgrazia comune - ahimè - non ho
      ingannato me stesso: a dispetto di tutto quanto dirò in seguito,
      non posso e non voglio disporre di te in modo duro e arbitrario,
      come di una moglie divorziata : non posso metterti in disparte
      e in un certo senso destituirti; non posso immaginarti relegata
      in qualche posto soltanto per volontà mia, e non anche tua,
      checché ne dica la ragione ( e adesso anche un nuovo dovere ).
      E preferisco piuttosto rompere la mia che piegare la tua - di
      volontà -, tanto vivi sono i tuoi diritti su di me, tanto riconosco
      il loro potere naturale su di me, e nel mio cuore, il loro posto
      legittimo. (…)


Boris  Pasternak  da  Il posto della vita ( Corrispondenza con Evgenija 1921- 1931 )

1 commento:

  1. Il matrimonio è finito ma non la delicatezza, il rispetto e l'amore, vorrei approfondire meglio la storia e il contesto in cui si sviluppa..

    RispondiElimina