" Mi considerano pazzo perché non voglio vendere i miei giorni in cambio di oro. E io li giudico pazzi perché pensano che i miei giorni abbiano un prezzo ". ( Khalil Gibran )
(...)" Il lavoro - scriveva K. Max - è ciò che distingue l'uomo dagli
altri animali, perché fa di lui un essere capace di produrre da
sé i propri mezzi di sussistenza"
La storia del lavoro è quindi parte della storia delle civiltà
umane che nel tempo hanno dato a questa attività significati
differenti. Il Grecia e nell'Antica Roma il lavoro era
disprezzato dagli uomini liberi e affidato agli schiavi. Ancora
oggi, in molte lingue di origine latina, la parola è associata
alla fatica. " Travailler" in francese e " trabajar " in
spagnolo, contengono il riferimento al travaglio. In taluni
dialetti italiani si usa il termine " faticare".
Con il Medioevo si diffonde la servitù della gleba che lega i
lavoratori per tutta la vita alle terre del signore feudale.Negli
stessi secoli però cresce nelle città l'importanza delle botteghe
artigiane, del commercio, del prestito di denaro. La nascente
società borghese introduce nuove forme organizzative e nuovi
significati del lavoro, non più concepito solo in relazione alla
terra e alla fatica fisica, ma anche ad abilità manuali
specializzate e a capacità imprenditoriali. Lavoro non è più
sinonimo di servitù, ma diventa parte delle definizione di sé e
alla base delle libertà individuali.
Tra Seicento e Settecento lo sviluppo capitalistico porta con
sé la figura del lavoratore subordinato alle dipendenze del
mercante o del proprietario della bottega. Questo modello va
ampliandosi e consolidandosi con la rivoluzione industriale
fino ad assumere le dimensioni della fabbrica : qui, gli operai
sono concentrati nello stesso ambiente fisico e la loro attività
è organizzata in mansioni e turni.
Tra Ottocento e Novecento il lavoratore salariato acquisisce un
profilo sociale sempre più definito e nasce una nuova cultura
del lavoro. L'attività retribuita diventa uno strumento di
autorealizzazione, una dimensione centrale dell'identità
individuale e il mezzo principale che garantisce senso di
appartenenza e sicurezza.
A cavallo del nuovo millennio, con la globalizzazione dell'
economia, anche l'organizzazione è costretta a mutare. Il
modello novecentesco lascia il posto a una pluralità di forme
spesso frammentate e precarie, ognuna dotata di propri stili,
tempi e relazioni. Il lavoro perde il riferimento ai grandi
orizzonti di senso collettivo e i suoi significati diventano -
sempre di più - tanti quasi quanti sono gli individui che
lavorano. (...)
Massimo Cirri da Psicologia e mondo del lavoro
Mi pare che i "grandi
RispondiEliminaorizzonti di senso collettivo" li abbiamo persi un po' tutti. E stiamo pagando caro la visione del fai da te fai per te
Commento che in poche parole dice tutto quello che c'è da dire in proposito, sintetizzando in modo lucido la situazione.
RispondiEliminaNiente da aggiungere: solo mi piange il cuore prendere atto, avendo io a cuore il bene della collettività,di questo egoismo imperante che occlude ogni orizzonte .
Ora si va avanti ( si fa per dire ) con un'aggressività inusitata e con provocazioni becere da tutte le parti: sono ben poche - a mio avviso - le persone nelle cui mani sono depositati i nostri destini - ( almeno dei tempi correnti ) ad avere il senso della misura e dell'opportunità che non sia di parte e del rispetto ( che sempre cmq è cosa dovuta ).
Se continuiamo di questo passo, credo che per trovare statisti che abbiano il senso " del collettivo ", come giustamente fai notare tu, dobbiamo ritornare ai grandi personaggi dell' Antica Grecia , laddove è nata la demo- crazia.
Ti ringrazio per la visita e ti auguro un tempo buono ( compatibilmente con...).