" Tutto quello che fa lo fa per te, vuole che tu gli dica " Ben fatto!"
(...) Nel corso di una peregrinazione sprezzante e sfiduciata nella
terminologia psichiatrica e psicologica per intercettare un
termine che rendesse ragione di ciò che mi sembra persèguiti
tutti coloro che cercano di mettersi in salvo dal rischio di
vergognarsi del corpo e dell'imbarazzante scarsità di fascino
che riescono a sprigionare, mi sono imbattuto con meraviglia
nel termine non tecnico " ammirazione ". Questo termine ha
saturato quasi del tutto il bisogno di raccontare gli incantesimi
della spasmodica ricerca di catturare lo sguardo dell'altro,
senza rischiare di connotarla come condizione psicopatologica
o una banalissima moda effimera e superficiale.
La ricerca di ammirazione ritengo sia una vicenda da chiunque
comprensibile, persino dai bambini più piccoli - anzi , forse da
loro dovremmo farci spiegare l'origine remota del bisogno di
essere teneramente rispecchiati mentre si cerca di crescere, ma
si soffre dei limiti e delle difficoltà frapposte dalla cultura degli
adulti e dai rituali educativi vecchi di millenni oltre che dei
limiti imposti dal corpo ancora fragile e debole.
Lo sguardo dell'altro e in generale lo sguardo sociale comunque
somministrato - anche virtualmente - è il regista indiscusso dell'
eventualità di cadere in vergogna o viceversa di assurgere al
godimento dell'ammirazione, anche se fulminea, effimera e
spesso notata e apprezzata solo dall'interessato che è lì apposta
per misurare gli effetti della propria fatica e dei mille sacrifici
autoimposti. (...)
Gustavo Pietropolli Charmet da L'insostenibile bisogno di ammirazione
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