domenica 26 gennaio 2020
KAFKA E LA CHIAMATA DEL DAIMON 4
(…) La verità che Kafka ricerca è una verità nella quale il suono
dell'emozione si rende Parola , attraverso cui l' Altro scopre il
suo volto e nella quale si possano finalmente riaccostare i
frammenti della propria anima, perché l'identità prende forma.
" Una voce nel caos " è stata l'opera kafkiana ( Magris, 1974 ).
L'esistenza dello scrittore si può forse riassumere nel tentativo
di registrare il caos e l'assurdo, lo spalancarsi di quell' abisso
di nulla che sembra voler inghiottire l'individuo. Di fronte a
questo orizzonte, l'unica soluzione possibile sembra essere
quella della domanda. La passione per l'interrogativo che
contraddistingue tutti i suoi eroi, e che spinge il cane (Kafka,
1922 ) a rifiutare il cibo, a osservarlo soltanto per poterlo
analizzare e capire, contiene la drammatica metafora dell'
incapacità di accostarsi direttamente alla vita, di lasciare che
essa fluisca all'interno dell'essere. Il cane sa di essere diverso
dal resto degli altri cani,perché qualcosa in lui - fin dall'inizio-
non era in regola. In quel suo digiuno " scientifico" di cui
nessun altro animale intorno a lui sembra curarsi, si consuma
il dramma dell'abbandono, il quale si rivela - in realtà -
auto - abbandono .
" Era chiaro che nessuno si curava di me, nessuno sotto la
terra, nessuno sopra, nessuno nell'alto: io perivo per la loro
indifferenza, la quale diceva : ecco che muore, e così sarebbe
avvenuto. E non ero forse d'accordo? Non dicevo la stessa
cosa ? Non ero stato io a volere quell'abbandono?
Forse la verità non era troppo lontana, né io quindi ero così
abbandonato come credevo- abbandonato dagli altri - ma
soltanto da me che fallivo e morivo." ( Kafka, 1922 )
" Nessuno si cura di me", è una frase che sento ripetere molto
spesso dai miei pazienti e per la quale - in molti casi - c'è una
sola, amara risposta : " Nessuno ha cura degli altri". La
sensazione di essere abbandonati non nasce dalla mancanza
delle persone intorno a noi,non nasce dall'assenza del sorriso,
dall'assenza di un volto sul quale è scolpito l'interesse per la
nostra vita. L'abbandono è dentro e contro di esso non si
combatte attraverso un'incongrua ricerca di solidarietà.
Proprio per alleviare questa penosa sensazione, il cane-Kafka
decide di percorrere un'altra via. All'abbandono fa eco la
ricerca. Nonostante non riesca mai a rispondere ai suoi
interrogativi, l'animale - con il suo agire - pare indicare quale
unica strada la ricerca della libertà, come risposta alla
sofferenza dell'esclusione e della solitudine. Questa libertà che
- nel caso di Kafka - sembra poter provenire soltanto dall'arte,
fà di quest'ultima il tentativo di redenzione di un'esistenza
altrimenti fallita. Attraverso le migliaia di pagine dei suoi
diari, delle sue lettere, come dei suoi romanzi e dei suoi
racconti, lo scrittore boemo dà un volto al caos interiore, lo
affronta, ricerca una sua unità interiore. E se l'unica realtà
che pare comunque aprirsi è quella del vuoto, della solitudine
e dell'impossibilità di amare, dell'esilio come della privazione,
la sua attività diventa testimonianza e " implacabile esegesi
dell'esistenza " ( Magris, 1974 ). (…)
Aldo Carotenuto da La chiamata del Daimon ( Gli orizzonti della verità e dell'amore in Kafka )
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