martedì 14 gennaio 2020
COMPASSIONE 2
(…) Da qui la storica diffidenza dei filosofi - di quasi tutti i filosofi-
per la compassione.Esclusa dall'albo delle virtù forti e del forte
sentire. Non sempre catalogata fra le passioni. Osservata
piuttosto come un sentimento proprio dei deboli. O risospinta
nella terra nebbiosa delle religioni. Rinviata alle indecifrabili
increspature di una sensibilità incline alla commozione o,
femminilmente, al pianto ( c'è sempre qualcuno che associa le
lacrime alla donna.) Oppure - e qui bisogna ammettere che non
mancano le ragioni - considerata come elusione- non sempre
innocente- della domanda di giustizia e di eguaglianza. Come
elusione di un compito che dovrebbe essere anzitutto politico:
in effetti la giustizia,non la compassione,può o potrebbe mettere
ciascuno nella condizione di sopportare da se stesso gli oltraggi
dell'esistenza. Ma anche questa posizione, che oppone giustizia
sociale a compassione, si arresta dinanzi alle ferite che non
hanno un'origine materiale, che non appartengono cioè all'
ordine dei bisogni e dei diritti: il dolore - del resto - ha un tale
ventaglio di forme, visibili e nascoste - che ogni suo regesto
appare provvisorio, parziale.
La filosofia - quando non ha assunto il sentire della
compassione a fondamento stesso di una morale - ha mostrato
di volta in volta gli aspetti ambigui, autoconsolatori e dolciastri
della compassione.Scrittori e artisti hanno invece rappresentato
- della compassione - i gradi e le forme del suo manifestarsi, la
lingua, i gesti, la tensione conoscitiva; hanno mostrato la
grande scena in cui la compassione prende forma: la comunità
dei viventi, la finitudine che unisce nello stesso cerchio tutti i
viventi, uomini e animali. Con la singolarità dei loro corpi, e
desideri,e ferite. La rappresentazione letteraria, artistica e
teatrale della compassione dell'ininterrotto racconto di una
presenza : quella dell'altro, del suo volto, delle sue insondabili
profondità. Una presenza che corrobora la stessa identità di
colui che è soggetto dello sguardo. E smuove un sentire, che dal
soggetto torna verso il sentire dell'altro. Diventa - infine -
riconoscimento del legame che trascorre tra tutti gli esseri. Nell'
orizzonte di questa comune appartenenza, il dolore dell'altro
non chiama l'indifferenza, ma la prossimità. (…)
Antonio Prete da Compassione
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