(…) Il solo silenzio che la comunicazione conosca è quello del
guasto, della défaillance della macchina, dell'arresto di
trasmissione. E' cessazione della tecnicità più che emergenza
di un'interiorità.Il silenzio diviene allora reperto archeologico,
residuo non ancora assimilato. Anacronistico nella sua
manifestazione, produce malessere e un immediato tentativo di
arginamento, quasi fosse un intruso. Evidenzia gli sforzi ancora
da compiere affinché l'uomo possa finalmente accedere allo
stadio glorioso di " homo communicans ". Al tempo stesso, però
il silenzio risuona come una nostalgia, fa appello al desiderio
di un ascolto senza fretta del fruscìo del mondo. L'ubriacatura
di parole rende invidiabile il riposo, il godimento di pensare -
infine-a ciò che è accaduto e di parlarne concedendosi il tempo
necessario nel ritmo di una conversazione che procede a passo
tranquillo sostando - alla fine - nello sguardo dell'altro. E il
desiderio, da rimosso che era, acquista allora un valore
infinito. Alle volte, grande è la tentazione di opporre alla
" comunicazione" profusa della modernità, indifferente al
messaggio,la " catarsi del silenzio " ( Kierkegaard ), nell'attesa
che sia pienamente restaurato il valore della parola.
L'imperativo di comunicare, nel senso moderno del termine, è
un atto di accusa nei confronti del silenzio, l'eliminazione di
qualsiasi forma di interiorità. Non concede tempo alla
riflessione perché pervaso da un'esigenza di reattività.Bisogna
restare connessi, eternamente disponibili, in stato di allerta.
Se il pensiero esige pazienza e riflessione, la comunicazione-
invece - è sempre caratterizzata da velocità e utilitarismo.
Trasforma l'individuo in interfaccia oppure lo priva degli
attributi che non corrispondono - nell'immediato - alle sue
esigenze. Nella comunicazione non c'è più posto per il silenzio:
vige un obbligo di parola, di replica e di confessione, perché la
comunicazione viene proposta come risoluzione di tutte le
difficoltà personali o sociali. In questo contesto, l'unica pecca
è comunicare "male"o, più riprovevole ancora, rimanere in
silenzio. L'ideologia della comunicazione assimila il silenzio al
vuoto, alla rovina, non riconoscendo che, talvolta, proprio la
parola è la lacuna del silenzio. Più che il rumore, è il silenzio
il nemico giurato dell' " homo communicans ", sua terra di
missione.Presuppone infatti un'interiorità, una meditazione, un
distanziamento dalla turbolenza delle cose, un'ontologia che
non ha il tempo di apparire, se non le si riserva attenzione.
La parola che la moltitudine dei mezzi di comunicazione finge
di liberare, diviene insignificante perché rimane sommersa
nella profusione locutoria. Alla fine regna soltanto la
malinconia del comunicante, sempre costretto a ripetere un
messaggio inefficace nella speranza che susciti- prima o poi -
qualche risonanza. Più la comunicazione si estende, più
ingenera l'aspirazione a tacere - almeno per un istante - per
poter sentire il fremito delle cose. La saturazione della parola
produce la fascinazione del silenzio o, quanto meno, induce una
prima presa di distanza da una comunicazione soverchiante e
onnipervasiva. (…)
David Le Breton da Sul silenzio ( Fuggire dal rumore del mondo )
Nessun commento:
Posta un commento