venerdì 9 novembre 2018
IL SILENZIO E' COSA VIVA 3
(…) Ci sono esseri che entrano nella nostra percezione senza mai
diventare un nostro affetto, senza mai varcare la soglia del
cuore: figuranti e comparse della nostra vita quotidiana.
Accorgersi che hanno una vita, che per qualcun altro sono
importanti, che hanno bisogno - come tutti - di bene, sposta l'
orizzonte della nostra visuale, lo sposta sull'infinità degli esseri,
sulla nostra universale trama. E' importante scoprire che la
capienza del cuore può ampliarsi,che esistono pratiche che sono
come una ginnastica per il cuore e ci insegnano a non sentire l'
essere e la sofferenza solo di chi prediligiamo, ci insegnano la
coralità e l'equanimità del voler bene di tutti. Il bene perfino di
chi ci ha fatto del male perché - probabilmente - è stata la sua
sofferenza a farlo agire ciecamente, e augurandogli di non
soffrire è augurargli di uscire dall'ignoranza, è augurare il bene
a tutti e due, senza che significhi condonare l'azione, nè negare
la ferita. E' dare una possibilità di venire alla luce a tutto quello
che tenevamo stretto e nascosto, permettendoci di sentire la
rabbia, il rancore, l'odio, il desiderio di vendetta e lasciando
che si trasformino - nell'ospitalità del cuore - senza giudizi e
senza fretta. La pratica della compassione, quando è onesta, fa
affiorare il nostro buio, nostri danni, il rancore, il rimorso, l'
odio, e solo così possiamo prendercene cura, scoprirci
responsabili di quello che facciamo dei nostri pensieri e delle
nostre negazioni di tanta parte di noi che ha bisogno di pronto
soccorso, non di condanna.
Cesare Pavese scriveva : " L'offesa più atroce che si può fare a
un uomo è negargli che soffra " ( Il mestiere di vivere ).
La compassione non solo riconosce la sofferenza dell'altro e la
sente, ma anche non invita né augura di tollerare l'intollerabile:
sarebbe un crimine. Augura di trovare uno spazio interiore
abbastanza sgombro da non essere sommersi dal male, ma
poterne conoscere le cause e mettersi in viva attesa di un'azione
giusta che nasca dalla saggezza ed equanimità, non da vendetta
o rivincita. Inviare il bene significa consegnare l'altro a uno
spazio più ampio di me e di te; è affidarlo- con fiducia - nella
giustezza e compassione di quello spazio che ci affratella. Solo
accedere a quello spazio permette la vastità della compassione,
un'eco che si dirama ovunque: nessuno da portare, nessuno da
guarire né salvare, tutti - me compresa - da consegnare: umani,
animali, alberi e piante, erbe e fiori, montagne e fiumi, mari
universali visibili e invisibili.
Sottovalutiamo moltissimo la potenza del bene a distanza: è
anonimo, non visto, non dà riconoscimenti, non ci si può
aspettare nulla, ma è potente, preciso, puntuale.Non c'è bisogno
di verificare che il nostro augurio arrivi, perché è come un
canto: quello che conta è che il cuore si purifica, si arieggia e
canta.
Così, inviamo compassione a chiunque sentiamo in difficoltà
senza chiedere nessuna ricevuta di ritorno (…).
Chandra Livia Candiani da Il silenzio è cosa viva ( L' arte della meditazione )
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