" La felicità non è avere quello che si desidera, ma desiderare quello che si ha " ( O. Wilde )
(…) In una sua celebre conferenza milanese gli inizi degli anni
Settanta, di fronte a un pubblico spaesato, Jacques Lacan
affermava che il discorso del capitalismo era fatalmente
destinato a scoppiare. C'era- sosteneva con una specie di
chiaroveggenza lui che era politicamente un liberale
conservatore - qualcosa di " folle e di infernale", di
" insostenibile"in quel discorso.Non stava ovviamente parlando
da economista; non interveniva sul tema marxista del crollo
del capitalismo e non stava nemmeno offrendo un'analisi
sociale del fenomeno del capitalismo e delle sue differenti
versioni storiche. Lacan era piuttosto interessato a cogliere
la dimensione pulsionale di quell'economia che individuava
nell'affermazione di un godimento cinico, individualista,
centrato sulla fede feticistica nei confronti dell'oggetto e,
soprattutto sulle sue false promesse di redenzione.
Il discorso del capitalismo ha tradotto la parola del desiderio
nel culto frivolo dell' homo felix - decisamente lontano dalle
vecchie nostalgie metafisiche -, impegnato nella ricerca della
propria felicità individuale su questa terra e al servizio del
culto dell' Io autonomo che pretende di diventare il padrone
assoluto di se stesso. Il discorso del capitalista ha voluto
fondare il suo trionfo sul narcisismo cinico, sulla
"gadgetizzazione" perpetua della vita, che ha come sfondo
sociale il naufragio dei grandi ideali collettivi della
modernità occidentale ( comunismo, socialismo, cristianesimo)
(…)
Massimo Recalcati da Ritratti del desiderio
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