" Laetatus sum in his quae dicta sunt mihi: in domum Domini ibimus ". (Mi sono rallegrato nel sentirmi dire che andremo nella casa del Signore) . Salmo del Vespro.
(…) Che cosa aspettiamo?
Ognuno di noi è in attesa del suo " miracolo" e forse anche per
questo guardiamo così spesso i nostri cellulari. Ma non ci
procureremo miracoli con stupefacenti occhiali che
" aumentano" la realtà sovrapponendole maschere, ma
allenando gli occhi a scorgere i prodigi insiti nel quotidiano.
I nostri occhi, sempre voraci e spalancati, proprio chiudendosi
possono aprirsi davvero, per questo indovini e poeti del mito
sono spesso ciechi. Non riceviamo miracoli perché non
instauriamo la giusta intimità con cose e persone, siamo
passanti la cui soglia di attenzione dura 8 secondi, divoriamo
senza gustare, preferiamo la superficie al tuffo. Assomigliamo
a Sisifo, che deve eternamente spingere il suo masso su un'
altura per vederlo poi inesorabilmente cadere una volta in
cima. Vorremmo essere liberi di non spingere invano, fermarci
e riposare, perché anche fermarsi è vita: oggi chi non si ferma
a guardare, non guarda, come chi non si ferma a pensare, non
pensa. Azione e contemplazione sono sistole e diastole della
vita: più si esagera da una parte, più l'altra reclama i suoi
diritti, perché il cuore senza azione resta acerbo, senza
contemplazione marcisce.
Fermarsi non vuol dire essere immobile,ma stabile,il contrario
di " in - fermo ", colui che è instabile perché non si ferma mai,
e perciò s'ammala. Fermarsi è creare ogni giorno spazi di
intimità che permettono al quotidiano di " miracolarci" senza
ricorrere ad effetti speciali: fermarsi è la cura per i " dis-
graziati", cioè chi non trova più grazia nel mondo. Infatti
la parola contemplare indicava in origine l'osservare la
porzione di cielo visibile dal recinto sacro del tempio. Il volo
degli uccelli, intercettato in quella cornice, diventava segno
del destino: era solo un volo animale, ma diventava anche un
volo dell'anima attraverso una strettoia di attenzione e attesa.
(…)
Alessandro D' Avenia
Grandioso l'articolo di Alessandro D'Avenia e ricchissimo di spunti di riflessione. Grandiosa la tua scelta di questi suoi brani così significativi insieme allo splendido pezzo di musica!!! Un paradiso!
RispondiEliminaFermarsi, respirare, comtemplare, esercitare l'attenzione, liberare la bellezza, rendersi consapevoli del nostro limite. E poi far festa per ogni cosa perchè ogni cosa è illuminata da una luce nuova, vera.
Grazie, Frida, con tutto il cuore!!!
Cara, hai detto tutto tu!
RispondiEliminaE io non posso che essere contenta del fatto che tu abbia recepito - nel profondo - ciò che volevo condividere attraverso la scelta di questo lungo articolo ( che ho un po' rimaneggiato e per comodità di lettura frazionato in quattro post ) e grata per l'attenzione.
Il brano (- o meglio - i brani, se l'ipotetico lettore ( e uditore ) ha il tempo di ascoltarli per intero ) non fanno altro che sottolineare la gioia e la speranza ( che fu anche del popolo ebraico quando poté liberarsi dalla cattività babilonese al tempo di Nabucodonosor II ).
Amo moltissimo questo scrittore, lo trovo puntuale e profondo, attento e sensibile, ho anche ascoltato degli incontri da YouTube e mi piace anche come parla, magari tutti ponessimo attenzione a quello cui ci invita... la scelta musicale di accompagno mi piace, anche se non sono amante della lirica...
RispondiEliminaMi fa piacere che tu abbia apprezzato questo scritto che ho trovato per me " illuminante ". Ma la gioia più grande ( dopo la scoperta ), è la condivisione.
RispondiEliminaGrazie per il tuo intervento.