da " Lavorare stanca "
(…)Torino fu sempre la città più amata da Pavese, città degli studi,
del lavoro, degli amici, degli sfortunati amori.
" Città...dove sono nato spiritualmente, arrivando di fuori: mia
amante, e non madre né sorella".
Cittadino sino al midollo, sentiva Torino come sua città ideale.
Torino era il Po, la collina, la " barriera" non più città e non
ancora campagna, osterie che si chiamavano " Far West" e
cinema dove si proiettavano film americani.
" Quest'è il giorno che salgono le nebbie dal fiume / nella bella
città, in mezzo a prati e colline / e la sfumano come un ricordo".
E poi l'Hotel Roma nella centralissima piazza Carlo Felice
dove Pavese, esaurita la sua stagione di uomo e scrittore, giunto
ad un drammatico crocevia tra la vita e la morte, gettò i dadi e
scelse la via verso il nulla.
Una camera d'albergo, le telefonate alla disperata ricerca di
una voce amica, le ultime parole sul suo libro più amato, l'
avvelenamento con i barbiturici.
Era il 27 Agosto del 1950 : fuori l'aria distratta e anonima della
città - la sua città - deserta nel caldo torrido di quella fine
estate. Com'era lontano il mare - mai amato - come lo erano
invece stati i due fiumi della sua vita ( il Belbo e il Po ): quello
ligure di Varigotti che fa da sfondo alla storia de La spiaggia
e di Bocca di Magra dove si riuniva la casa editrice Einaudi o
quello calabro dell'esilio dove compose i suoi " tristia ".
" Uomo solo dinanzi all'inutile mare / attendendo la sera,
attendendo il mattino ".
E come apparivano lontane, sfumate nel ricordo, le sue amate
Langhe: i sentieri tortuosi, le curve morbide e sensuali delle
colline, le rive, le vigne che si perdono nel cielo, i campi di
granoturco ondeggianti al vento.
Com'erano lontani i tempi di Casale Monferrato, dove Pavese
trascorse uno dei periodi più tormentati della sua vita in un
momento tragico per l' Italia devastata dalla guerra civile, da
sfollato. Nel collegio Trevisio, retto dai Padri Somaschi, dava
lezione sotto falso nome agli studenti.
" Quel giro di portico intorno al cortile, quelle scalette di
mattoni per cui dai corridoi s'andava sotto i tetti, e la grande
cappella semibuia, facevano un mondo che avrei voluto sempre
più chiuso, più isolato, più tetro…"
Le lunghe ore trascorse nella biblioteca del collegio sono
dedicate alla lettura e allo studio dei testi mitologici.
A Serralunga di Crea, ospite nella casa del cognato, trascorse
lunghi periodi. In questi luoghi, impregnati di religiosità, gli
parve di trovare la strada che conduce a Dio.
In questo ambiente, con le suggestioni e la complicità del vicino
Santuario, nacque prepotente il bisogno di un colloquio con
Dio e la crisi mistica è puntualmente registrata nel diario del
29 Gennaio 1944: " Ci si umilia nel chiedere una grazia e si
scopre l'intima dolcezza del regno di Dio. Quasi si dimentica
ciò che si chiedeva: si vorrebbe soltanto godere quello sgorgo
di divinità. E' questa senza dubbio la mia strada per giungere
alla fede, il mio modo di essere fedele.Una rinuncia a tutto, una
sommersione in un mare di amore, un mancamento al barlume
di questa possibilità. Forse è tutto qui : in questo tremito del
" se fosse vero! ". Se davvero fosse vero… (…).
Franco Vaccaneo da La scoperta del mito con Cesare nel Parco
Tristezza e malinconia mi trasmette questo scritto, però mi piace il finale col riferimento alla sua ricerca di Dio, che, però, sembra non terminare in un incontro personale vista la scelta di porre fine alla sua vita, la depressione lo ha vinto ed è molto triste...
RispondiEliminaSì, davvero.
RispondiEliminaHo provato anch'io la stessa sensazione: sarà perché sono da poco rientrata da quei luoghi che amo molto; sarà perché sta arrivando l'estate, con le sue giornate afose, assolate e deserte, comunicanti un senso di solitudine e di vuoto (proprio come devono essere apparse all'autore il giorno di agosto in cui decise di porre fine ai propri giorni…)