venerdì 8 settembre 2017
IL LIBRO CONTRO LA MORTE 2
1952
(...) La mia ingiustizia di fondo verso gli uomini deriva dal mio
atteggiamento nei confronti della morte. Non posso amare
nessuno che accetti la morte o la metta in conto. Amo-
comunque egli sia - colui che aborre la morte, che non la
accetta e che non la utilizzerebbe mai in nessuna circostanza
come mezzo per conseguire i propri fini.
Perciò non posso ammettere che qualcuno oggi lavori come
fisico nucleare o intraprenda di sua volontà una carriera nell'
esercito; ma nemmeno un religioso che ricorra a una vita
futura come consolazione per la morte degli altri, mentre lui di
per sé non pensa affatto di morire presto; né posso ammettere
che qualcuno giudichi la morte di un parente o di un amico
come giunta al " momento giusto ", quasi fosse una sorta di
coronamento di quella particolare vita; o chi alla morte di
un nemico provi soddisfazione invece che vergogna; o chi
ancora abbia fatto conto su un'eredità; - a chi potrei
ancora riservare la mia approvazione, chi non rientra- almeno
qualche volta o in rapporto a qualcuno - in una di queste
categorie? . Perciò io, che dico sì alla vita senza riserve né
limitazioni, devo condannare ogni uomo in base a una morale
che di fatto è assolutamente inapplicabile finchè esiste la morte
Sono a tal punto consapevole di questa contraddizione di
fondo del mio essere che, a ogni piè sospinto, mi esorto a
moderarmi e a soppesare con attenzione tutte le circostanze,
dopo aver pronunciato ancora una volta la più dura delle
sentenze all'indirizzo di un essere umano.(...)
1953
(...) E' mai possibile che la sua morte mi abbia curato dalla
gelosia? Sono diventato più tollerante nei riguardi delle
persone che amo. Veglio meno su di loro, concedo loro libertà.
Penso così: fate questo, fate quello, fate quel che vi dà gioia,
basta che viviate; fate, se così dev'essere, tutto il possibile
contro di me: offendetemi, ingannatemi, mettetemi da parte,
odiatemi,- non mi aspetto niente, non voglio niente, a parte
un'unica cosa : che viviate . (...)
1954
(...) Ai vivi che conosciamo bene, abbiamo sempre qualcosa da
rimproverare. Ai morti siamo invece riconoscenti perché non
ci proibiscono il ricordo. (...)
1976
(...) Caro Thomas Bernhard,
io L'ho criticata duramente e Lei adesso - fuori di sé - mena
colpi alla cieca. Sa benissimo con quanta serietà io abbia
sempre considerato il Suo lavoro: già Perturbamento mi
aveva colpito moltissimo e Glieli avevo detto di persona. Ma
poi Lei mi sbatte in faccia questa affermazione:" La morte è
la cosa migliore che abbiamo ". Da uno che era stato in punto
di morte e l'aveva scampata, mi è parso un ripugnante cinismo.
Nessuno sa meglio di Lei quanto siamo contaminati dalla
morte. Che Lei voglia diventarne pure il patrocinatore, mi ha
riempito di diffidenza nei confronti della Sua opera. Sono
persuaso che proprio questo Suo modo di pensare la
indebolisca e volevo dirGlielo apertamente.
Alle critiche Lei reagisce sempre accecato dall'ira. Ma poiché
io non sono un imbrattacarte, pensavo che un duro colpo da
parte mia - da parte di una persona che Lei in realtà considera
ben diversamente da quanto emerge dalla Sue contumelie -
potesse condurLa alla ragione. Lei non ha nessuno che Le
dica la verità, e la verità Le è forse diventata indifferente?
Volevo spedire questa lettera - il che avrebbe contraddetto nel
modo più assoluto i miei principi - per il caso in cui Bernhard
si fosse sentito eccessivamente urtato dalla mia critica, se
davvero gli avessi nuociuto.
Ma poi ci ho ripensato. La sua reazione, quale ne sia stata la
causa, è talmente ignobile, talmente al di sotto di quanto di
peggio gli uomini possano permettersi di dire anche se in
preda all'ira,, che non devo farlo. La cosa potrebbe
inorgoglirlo: come se fosse un tentativo da parte mia di
sottrarmi alle sue contumelie. Ma in tal caso l'avrebbe vinta
lui e si sentirebbe confortato nella sua bassezza. E questo
sarebbe il contrario di ciò che volevo ottenere. La lettera
resterà fra le mie carte, esattamente come l'ho scritta, a
indicare qual era il mio vero stato d'animo. (...)
Elias Canetti da Il libro contro la morte
"Ai morti siamo riconoscenti perché non ci vietano il ricordo". Già il ricordo...strana macchina, macina tutto, seleziona, addolcisce, cancella, ama i particolari insignificanti, cose considerate inutili e di poco conto. Ci ricordiamo per filo e per segno la filastrocca recitata come un mantra all'asilo, ma ci siamo scordati la faccia di nostro padre. Nei mostruosi archivi fotografici che ci siamo creati ci muoviamo come se entrassimo per la prima volta in un negozio di cristallerie, affascinati dai luccichii di mille ricordi perduti e che improvvisamente ci vengono alla mente stupendoci. Strana macchina il ricordo.
RispondiEliminaIl tuo bel commento è talmente poeticamente esauriente che non ha bisogno di nessuna aggiunta.
RispondiEliminaTi ringrazio per questo e del passaggio.