mercoledì 16 agosto 2017
LA STANCHEZZA CHE CURA 2
(...) C'è infatti una stanchezza buona, che può aprire a visioni
inattese. Sulla scia di Peter Handke ( scrittore, poeta e saggista
austriaco, n.d.r. ), il filosofo ritiene che ci possa essere una
stanchezza che cura, " quella stanchezza che non deriva da un
riarmo sfrenato, bensì da un cordiale disarmo dell' Io." Si
tratta di una particolare forma di reticenza o di potenza
negativa, che sottrae il soggetto alle sue stesse ansie di
prestazione, che relativizza la sua volontà di controllo e di
azione, aprendo uno spazio salutare di indugio e di cortesia.
Handke la definisce una " stanchezza profonda" che si genera
da una sottrazione gentile delle pretese dell' Io e permette un
particolare tipo di abbandono e di risveglio al mondo.
Mentre la stanchezza individuale è solitaria, sfibrante,
insofferente nei confronti della realtà circostante, questa
stanchezza profonda - al contrario - si pone in una sorta di
atteggiamento di abbandono al mondo, in nome di un ideale di
comunione con gli altri. Non si tratta più della stanchezza dell'
Io, ma della stanchezza del Noi. La prima ci rende scontrosi,
ci atomizza e ci isola dagli altri, facendoci semplicemente
cadere a peso morto dentro noi stessi: è come un buco di
passioni tristi che attira a sé soltanto nuove tristezze. La
seconda - al contrario - ci connette e ci declina verso l'altro
- come un clinamen - ( concetto della fisica epicurea che
consiste in una deviazione spontanea degli atomi nel corso
della loro caduta , n.d.r. ), per farci riposare un po' insieme.
(...)
Isabella Guanzini da Tenerezza ( La rivoluzione del potere gentile)
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